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Tassa Airbnb. Accolto il ricorso: la decisione passa all’Unione Europea

La tormentata storia tra Airbnb e l’Italia sembra non trovare fine. Lo scorso luglio l’Agenzia dell’entrate aveva imposto alla piattaforma statunitense che funge da intermediario per il fitto di appartamenti per breve periodo il pagamento della cedolare secca, una tassa applicata ai guadagni ottenuti tramite contratti di fitto turistici stipulati a partire da giugno 2017. Questa […]

Redazione - Pubblicato il 8 Gennaio 2018 alle ore 6:30

Airbnb

La tormentata storia tra Airbnb e l’Italia sembra non trovare fine.
Lo scorso luglio l’Agenzia dell’entrate aveva imposto alla piattaforma statunitense che funge da intermediario per il fitto di appartamenti per breve periodo il pagamento della cedolare secca, una tassa applicata ai guadagni ottenuti tramite contratti di fitto turistici stipulati a partire da giugno 2017.
Questa aliquota del 21% viene giustificata dallo Stato come un mezzo per evitare i pagamenti in nero e regolarizzare al fisco la posizione dei proprietari degli appartamenti messi in fitto tramite la piattaforma, i quali non sono professionisti del settore immobiliare.
A chiedere provvedimenti al Governo erano stati anche gli albergatori e le associazioni di categoria, che da tempo si battono affinché per le case in fitto tramite la piattaforma (e per i proprietari) entri in vigore una regolamentazione equivalente a quella già esistente per gli alberghi.
Ma Airbnb è passata quasi immediatamente alle vie legali, presentando ricorso al Tar del Lazio e chiedendo l’annullamento del provvedimento.
Il tribunale amministrativo ha respinto la richiesta, ma i vertici della piattaforma non si sono dati per vinti e si sono appellati al Consiglio di Stato che, nei scorsi giorni, ha invece ritenuto opportuno rinviare il problema alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affermando che non è possibile per la giustizia italiana prendere provvedimenti su una questione che riguarda il diritto comunitario.
La principale linea difensiva di Airbnb, infatti, mette in evidenza che la cedolare secca viola una norma del diritto dell’Unione Europea la quale prevede la libera prestazione dei servizi. Prima di questo punto a suo favore, a novembre Airbnb aveva ricevuto anche l’appoggio dell’Antitrust, la quale riteneva che il provvedimento avrebbe potuto ostacolare la libera concorrenza.
Per ora, quindi, la nuova normativa – grazie alla quale lo Stato ipotizzava di recuperare circa 100 milioni di euro in un anno – resta sospesa in attesa del giudizio dell’Unione Europea.
Intanto, Alessandro Tommasi, Public Policy manager di Airbnb Italia, si dichiara soddisfatto: “Abbiamo dovuto aspettare ma oggi vediamo finalmente riconosciute le nostre ragioni. Ora tocca al governo cogliere forte e chiaro il messaggio arrivato dal tribunale e dall’Authority, prendendo definitivamente atto che il testo così com’è non funziona e che cerotti messi all’ultimo minuto non faranno che peggiorare la situazione”.
Quando sul piano legale questa situazione si definirà in modo chiaro, certamente servirà anche ai governi degli altri Paesi per regolarsi nei confronti del portale e potrebbe dettare alcune regole chiare e precise per porre fine a quello che, nel tempo, va a configurarsi sempre più come un problema causato da un vuoto legislativo.


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