Trentino: terra della viticoltura sostenibile e delle “bollicine di montagna”

Regione in prima linea nell’utilizzo di pratiche biologiche, della viticoltura in quota e nell’impiego di vitigni resistenti, il Trentino trova da sempre nella varietà dei suoi profili climatici e delle condizioni geomorfologiche un punto di forza che ha favorito lo sviluppo del secolare rapporto tra l’uomo e la vite, testimoniato dai segni di un’antropizzazione che trova massima espressione nelle valli dove la viticultura eroica è protagonista.

18 Gen 2022 - 09:43
Trentino: terra della viticoltura sostenibile e delle “bollicine di montagna”
[mp3j track="https://horecanews.it/wp-content/uploads/2022/01/Trentino-terra-della-viticoltura-sostenibile-e-delle-bollicine-di-montagna.mp3" Title="Ascolta la notizia in formato audio"] Situato nel versante meridionale della catena delle Alpi, con i suoi picchi innevati, le rocce imponenti che fanno da cornice alle numerose valli in cui è suddiviso, gli specchi lacustri, le distese coltivate, i borghi e paesini con le loro chiese e le torri campanarie dai tetti aguzzi, il Trentino trova da sempre nella eterogeneità un grande punto di forza, mosaico di ambienti, da quelli naturali a quelli trasformati dall’uomo, di grande suggestione. Un territorio di matrice alpina, interessato dalla sezione occidentale delle Dolomiti e da un'ampia serie di monti minori delle Prealpi, connotato da differenti profili climatici e condizioni geomorfologiche estremamente varie, in termini di altitudine, inclinazione dei versanti, esposizione e biodiversità, per non parlare della composizione dei suoli. Qui i segni dell’antropizzazione raccontano fortemente il rapporto secolare tra l’uomo e la vite, carico di simboli, significati, testimonianze di tecniche e di tradizioni tramandate di generazione in generazione, che oggi come in passato, sono improntate al rispetto dell’ambiente. Non è un caso che il Trentino sia tra le realtà che si son spinte con decisione nell’utilizzo di pratiche biologiche, limitando l’uso di trattamenti chimici, e nella viticoltura in quota per fronteggiare le crescenti criticità determinate dal fenomeno del global warming, oltre ad introdurre l’impiego di vitigni resistenti. Il surriscaldamento del pianeta, che anticipa forzatamente le fasi enologiche con conseguenze sul processo di maturazione del frutto, specie dal punto di vista aromatico, si fa sentire anno dopo anno. Esiste una ragionevole evidenza che il clima del territorio stia evolvendo con temperature medie più elevate, che possono incidere sul livello alcolico dei vini, e una piovosità in diminuzione, seppur con eventi concentrati e di maggiore intensità. Per questo collocare i filari sempre più in alto, dove prima l’uva faticava a maturare, su terreni di origine glaciale, con i loro materiali di riporto, accarezzati dalla ventilazione tiepida proveniente dal Garda, significa per i produttori far leva sulle grandi potenzialità del terroir per preservare la qualità dei propri vini, seppure scelte così ardue incidano in modo considerevole sui costi, una viticoltura, quella trentina, che evolve, in difesa di una tradizione radicata nei secoli.  width=

Aree di produzione, suoli e clima

Il Trentino è suddiviso in cinque zone di produzione, espressione della sua ricchezza climatico-ambientale e conseguentemente ampelografica. Più a nord la Valle di Cembra, patria del Muller-Thurgau e della Schiava, con i suoi pendii impervi dove l’uomo è riuscito a strappare fazzoletti di terra alla montagna nel rispetto dell’equilibrio ambientale, grazie alla creazione di terrazzamenti delimitati da muretti a secco che si sviluppano per ben 700 chilometri. Quest’opera di ingegneria agricola, riconosciuta per la sua valenza simbolica come Patrimonio UNESCO, ha consentito alla viticoltura eroica di trovare in questi luoghi una sua peculiare espressione. I filari si inerpicano anche a 1000 metri sul livello del mare, e trovano un ambiente ideale grazie alla consistenza del suolo composto in prevalenza da ciottoli di porfido, sabbia e calcaree, ad una grande luminosità e alle brezze provenienti dalle aree lacustri. La Valle dell’Adige, che segna il confine tra le Alpi centrali e le Alpi orientali, vede invece nella Piana Rotaliana la culla del principe degli autoctoni a bacca rossa del Trentino, il Teroldego, noto anche come l’Oro del Tirolo. In quest’area, riparata dal fresco delle montagne, i suoli sono ricchi di calcare e le escursioni termiche favoriscono una perfetta maturazione delle uve. La Vallagarina, porta del Trentino, anello di congiunzione tra territori e culture diverse, pianura e montagna, civiltà italiana e mitteleuropee, zona ventilata e con vigneti a 450 metri sul livello del mare, con i suoi terreni basaltici, poveri e rocciosi, è la patria del Marzemino, vitigno a bacca rossa che dà vita ad un nettare elegante e dal profumo di viola già apprezzato nel XVIII secolo da Wolfgang Amadeus Mozart. La Valle del Sarca, un'ampia valle a “U” di origine glaciale compresa tra il centro abitato di Sarche e l'estuario nel Lago di Garda, ha un clima mediterraneo grazie all’esposizione alle correnti del lago, ed è terroir di elezione della Nosiola, altro autoctono da cui si ottengono un vino bianco secco e un vin santo frutto dell’appassimento di grappoli selezionati su appositi graticci, chiamate arèle. La provincia di Trento ospita la denominazione Trento DOC, prima ad essere interamente dedicata alla produzione di spumante Metodo Classico fermentato in bottiglia.  width=

Storia della viticoltura

La viticoltura trentina ha origini antiche che si collocano in età preromana e sono da ricondurre alle pratiche delle popolazioni retiche che abitarono queste terre, come documentato da importanti reperti archeologici, il più significativo dei quali è un vaso di rame probabilmente utilizzato in riti devozionali legati al consumo di vino, noto come “situla etrusca” rinvenuto nel 1825 a Cembra e risalente al IV secolo a.C. Le conoscenze e le pratiche di coltivazione della vite furono perfezionate in età romana, epoca in cui i consumi da esclusivamente locali probabilmente si aprirono verso nord attraverso le rotte commerciali; in età augustea, come testimoniato da Plinio il Vecchio, i vini del Trentino, allora chiamati “retici”, conservati in botti di legno legate con cerchi di vimini, divennero celebri. Nel Medioevo furono i monaci Benedettini e Domenicani a preservare e potenziare le pratiche vitivinicole, accrescendone anche la fama oltre i confini locali con un ampliamento delle aree destinate alla coltivazione, finalizzato a garantire la fornitura di vino ai più importanti monasteri della Baviera e della Svevia. La disciplina rigorosa alla quale erano sottoposti viticoltura e commercio vitivinicolo è testimoniata fin da quell’epoca e dopo il 1100 da una abbondante letteratura, e dagli stessi statuti delle città di Trento, Rovereto e Riva. Successivamente la tradizione vinicola proseguì il suo processo di evoluzione e consolidamento. Nella prima metà dell’Ottocento gli attacchi dei parassiti e insetti, non risparmiò queste terre, con notevoli danni alle colture, ma fu proprio in Trentino che si scoprì il primo rimedio contro l’oidio, lo zolfo. Nel 1874 il perfezionamento delle pratiche e delle conoscenze in ambito vitivinicolo portò alla nascita della scuola agraria e della prima stazione sperimentale di enologia in Italia, l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Sotto la guida di Edmund Mach ebbe un ruolo primario nella ricerca, nella lotta alle infezioni della vite, nella formazione di viticoltori e tecnici del settore, e nella razionalizzazione della coltivazione e della produzione di vino, missione che ancora oggi anima il suo operato.

Trento DOC: la prima denominazione italiana riservata al Metodo Classico

Grazie all’intuizione di Giulio Ferrari, figura che ha contribuito a scrivere le pagine della storia dell’enologia trentina, il territorio vanta la prima denominazione italiana riservata esclusivamente al metodo classico, riconosciuta nel 1993 e seconda al mondo dopo lo Champagne. Studente dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, dopo numerosi viaggi in Francia in cui approfondì le sue competenze, nei primi anni del Novecento Giulio Ferrari decise di dar vita nella sua Trento alla produzione di un metodo classico a base chardonnay, un esperimento pioneristico per l’epoca ma che convinse subito per i risultati, tanto che negli anni successivi furono molti i produttori che lo seguirono nell’impresa, un percorso condiviso che è culminato nel riconoscimento della DOC. Il Metodo Classico Trento Doc è espressione piena del territorio ed è realizzato non solo con uve Chardonnay, ma anche Pinot Bianco, Pinot Nero e, marginalmente Pinot Meunier, provenienti da zone completamente diverse l’una dall’altra: dalle vette più elevate con clima alpino, ai pendii dal clima mediterraneo mitigati dall’Ora del Garda, ai fondi valle dal clima continentale. Ogni calice, così, diventa interprete dell’unicità e del carattere del luogo di origine. Oggi sono oltre 50 le aziende produttrici delle “bollicine di montagna” e sembrano destinate a crescere di anno in anno. A queste realtà, impegnate nel rispetto di un rigido disciplinare di produzione, è affidata la tutela della qualità del prodotto attraverso l’applicazione di stringenti canoni e controlli lungo la filiera, un compito importante di difesa del valore di un prodotto che sta diventando sempre più rappresentativo del suo terroir, conquistando il mercato nazionale ed internazionale.  width=
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