Viticoltura Etnea: dove la potenza del vulcano si fa eleganza nel calice

Nella Sicilia orientale, tra le sabbie scure e le pietre laviche alle pendici dell’Etna, dove l’antropizzazione è conquista faticosa perché deve fare i conti con una natura esplosiva, imprevedibile e severa, una viticoltura estrema quanto sapiente si fa custode di autoctoni come il Nerello Mascalese, fiore all’occhiello dell’enologia isolana.

17 Dic 2021 - 09:47
Viticoltura Etnea: dove la potenza del vulcano si fa eleganza nel calice
[mp3j track="https://horecanews.it/wp-content/uploads/2021/12/Viticoltura-Etnea-dove-la-potenza-del-vulcano-si-fa-eleganza-nel-calice.mp3" Title="Ascolta la notizia in formato audio"] Ci sono luoghi in cui la viticoltura sfugge alle simmetrie, alle geometrie perfette che creano un ordine nel paesaggio e l’antropizzazione è conquista faticosa perché deve fare i conti con una natura esplosiva, imprevedibile e severa. Accade nella Sicilia orientale, ad un passo dallo stretto di Messina, in un’area che si estende oltre il territorio che va dalla fascia costiera bagnata dallo Ionio e le campagne punteggiate di oliveti, agrumeti e boschi di castagno. Siamo tra le sabbie scure e le pietre laviche alle pendici dell’Etna, il più grande vulcano attivo in Europa, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, luogo estremo, fonte di grandi suggestioni, poiché eroico è l’impegno nell’affrontare forze mai placate che ne forgiano l’essenza. Non un cratere ma tanti crateri, colori che si mescolano, dall’azzurro del cielo e del mare, al nero della sabbia vulcanica, al verde della vegetazione, delle coltivazioni. Qui ogni pietra respira perché “Idda”, cosi lo chiamano gli abitanti del luogo, è una creatura che vive, silente e al tempo stesso potente nella sua imprevedibilità. Appellativo che racchiude il rispetto e al tempo stesso la soggezione, il timore reverenziale nei confronti di un’entità che nella storia ha dato tanto e ha saputo togliere: fertilità, ricchezza dei terreni, microclimi preziosi, ma anche distruzione improvvisa e senza appello. Di questi luoghi diventano plastica espressione vigne contorte, imperfette e diseguali, fiere perché resistenti alla domesticazione, filari che fanno fatica a trovare una dimensione che abbia a che fare con la linearità, terrazzamenti in pietra lavica che seguono i contorni irregolari della montagna. Una terra di contrasti come quello di un clima che è al tempo stesso montano e mediterraneo, con forti escursioni termiche che favoriscono una perfetta maturazione delle uve, e un suolo che ha mille volti grazie a una composizione geologica unica e irripetibile, regalata dall’attività secolare del vulcano, fonte di mineralità straordinaria per le viti che affondano in profondità le loro radici. Qui autoctoni dalle origini antichissime come il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Carricante e la Minnella sono sopravvissuti alla devastazione della fillossera e rappresentano la ricchezza ampelografica del territorio in cui vengono sapientemente coltivati.  width=

Origini e clima

L’Etna nasce circa 600.000 anni fa, nel periodo Quaternario, durante il Pleistocene medio, a seguito di eruzioni sottomarine nella zona di collisione tra la placca Euro-Asiatica a nord e la placca Africana a sud, al centro di un golfo marino, detto pre-etneo, nel quale si specchiavano le catene montuose di Peloritani e Iblei. Nel corso dei secoli è arrivato a raggiungere un’altezza di 3220 metri dovuta al sovrapporsi di colate laviche, cenere e lapilli risalite dal centro della terra, dove ogni sovrapposizione ha portato con sé qualcosa di diverso, per struttura e chimica degli elementi. Questo è il motivo per il quale il suolo etneo è fortemente eterogeneo, ogni microzona può essere diversa dall’altra, da qui parte la tipicità dei diversi versanti. Nel corso del tempo le eruzioni hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante mettendo a rischio anche gli insediamenti abitativi. La presenza del vulcano, che si sviluppa su una superfice troncoconica, e la vicinanza del mare, influenzano fortemente anche il clima del terroir che varia da un crinale all’altro dell’Etna. Altitudine ed esposizione danno origine a diversi microclimi e di conseguenza a tre diverse aree con connotazioni peculiari per la coltivazione della vite. Il versante Est, con una altitudine compresa tra i 400 e i 900 metri sul livello del mare, è caratterizzato da piogge abbondanti e improvvise a seconda dei venti che arrivano dal mare, condizione che viene accolta dalla natura drenante del terreno vulcanico. Il versante Nord dove i terreni sono tipicamente vulcanici, sabbiosi e di natura scheletrica, con una altitudine compresa tra i 400 e gli 800 metri, rappresenta una microzona soggetta a forte variabilità nelle temperature e con cambiamenti climatici improvvisi; qui la viticoltura utilizza tecniche tradizionali come quella ad alberello. A confermare la variabilità ambientale sono i tempi della vendemmia: per il Nerello mascalese inizia a fine settembre e si conclude la prima settimana di novembre. Il versante Sud con un’altitudine compresa tra i 600 e i 1000 metri accoglie i vigneti più alti del vulcano.  width=

Storia e viticoltura

Della presenza della vite e della produzione di vino sono testimoni grandi poeti dell’antichità: Omero, Virgilio, Plinio nei loro scritti esaltano la qualità dei vini etnei e la fertilità del vulcano. La coltivazione della vite risale al XVII secolo a.C., come confermano i ritrovamenti di viti fossili e palmenti rupestri. Gli antichi Greci, che al loro arrivo in Sicilia si trovarono di fronte ad una viticoltura primitiva, introdussero la Vitis Vinifera di origine caucasica e tecniche di allevamento più avanzate come l’alberello egeo, oltre ad ampliare le superfici destinate alla relativa coltivazione. I Romani diedero ulteriore impulso, anche da un punto di vista strutturale, introducendo il torcularium, cioè un impianto per la pigiatura dell’uva, quello che diventerà il nostro palmento.  Con la decadenza dell’Impero la viticoltura ha una battuta di arresto, e con la dominazione islamica viene confinata nelle aree interne o nei possedimenti dei monasteri. Nel Medioevo latifondisti e feudatari si dedicano alla bonifica e alla conversione di aree boschive e la vite diventa la coltura più diffusa nel versante sud occidentale, crescita che viene frenata solo da ripetute eruzioni dell’Etna, culminate con quella del 1669. Dalla seconda metà del 1700 la viticoltura torna a diventare centrale nell’economia dei luoghi soprattutto nella contea di Mascali e modifica il paesaggio del versante orientale, costellato da vigneti ed alberi da frutta dalla costa ionica fino alla collina. Si sviluppa un fiorente commercio dei vini con le marinerie francesi, austro-ungariche e britanniche. Il catasto borbonico conferma nella metà dell’800 l’ulteriore espansione della viticoltura: in alcune aree i boschi mancavano ormai del tutto, la pastorizia era quasi estinta e le terre erano tutte vitate, con uno sviluppo che interessa l’area Nord dell’Etna che si arricchisce di case padronali, palmenti, cantine, e nel 1888 vede l’istituzione della Regia Cantina Sperimentale. Nel 1900 la fillossera e la grande crisi commerciale determinano una battuta d’arresto, nel dopoguerra i vigneti cedono il passo a colture più redditizie, ma gli anni Novanta segnano la rinascita della viticoltura etnea, grazie alla resistenza di alcuni imprenditori che restituiscono al paesaggio la sua dimensione viticola originaria, seguendo modelli viticoli ed enologici più moderni.

Il Nerello Mascalese

Se c’è un autoctono che racchiude in sé l’essenza della viticoltura etnea è il Nerello Mascalese. Si fanno risalire le sue origini all’epoca della colonizzazione greca, nel VII secolo a.C., quando alla diffusione del culto di Dioniso si associò la coltivazione del vitigno. La produzione del vino, successivamente, si estese nel catanese e nel messinese fino alle pendici dell’Etna. Noto anche come “Niuriddu Mascalisi”, deve il suo nome al territorio in cui ha avuto la massima diffusione, la piana di Mascali, area compresa tra la costa Ionica e il vulcano. Coltivato tra i 350 e i 1000 metri sul livello del mare, su suoli lavici dall’alta capacità drenante caratterizzati da elevata fertilità, il Nerello predilige il sistema ad alberello e molte delle vigne sono a piede franco, perché il terreno sabbioso di origine vulcanica unitamente ad un clima più freddo hanno reso immuni i vigneti della zona dall’attacco della fillossera. La ventilazione d’alta quota, il calore che nasce dallo specchio ionico prospiciente, favoriscono una vendemmia, frutto di un lavoro manuale e di una accurata selezione dei grappoli, che si può definire tardiva dal momento che le uve maturano nella seconda decade di ottobre. I suoli minerali e ricchi di ossidiana, con tessitura basaltica e presenza di argille allofane con buona conduzione termica, gli strati di lava che si alternano sulle pendici dell’Etna, l’elevata altitudine, l’escursione termica tra il giorno e la notte, rendono il Nerello Mascalese un vino affilato, pungente, dalla spiccata freschezza aromatica, e al tempo stesso minerale. Dal colore rosso rubino tende al granato, abbastanza trasparente, per la presenza di una quantità modesta di polifenoli, dal tannino vellutato, il Nerello Mascalese riesce a tradurre la potenza del vulcano in eleganza. Per questo motivo è stato probabilmente avvicinato ai Pinot Noir della Borgogna, accostamento per alcuni visto come una forzatura, ma certamente significativo. Entrambi i vini, pur diversi tra di loro, trovano nella finezza e nell’eleganza, e non nella struttura e potenza, il loro elemento distintivo. E come il suolo dove viene coltivato, il Nerello Mascalese è un vino che può avere più facce, che sa mostrarsi in diverse espressioni, mantenendo un legame con le vigne da cui ha origine, rispecchiando il profilo del versante del vulcano cui appartengono, piena e fedele espressione del suo terroir.  width=
Compila il mio modulo online.