La spesa alimentare negli ultimi 10 anni: lo studio Confcommercio Confali

30 Gen 2020 - 04:37
La spesa alimentare negli ultimi 10 anni: lo studio Confcommercio Confali
Negli ultimi dieci anni, a fronte di un calo generalizzato dei consumi, è cresciuta dal 17 al 18% l’incidenza della spesa alimentare sul totale dei consumi. È il dato principale dello studio “La spesa alimentare e l’evoluzione del commercio al dettaglio in Italia negli ultimi 10 anni”, diffuso in occasione della presentazione di Confali, il nuovo organismo di coordinamento della filiera agroalimentare di Confcommercio che riunisce le sette Federazioni nazionali di categoria del comparto agroalimentare.

La spesa per prodotti alimentari nello studio Confcommercio Confali

L’ultimo decennio è stato contrassegnato da una sensibile perdita di ricchezza e di reddito per le famiglie italiane, con inevitabili riflessi sui consumi. Nel 2019, in termini reali pro capite, gli indicatori di reddito, ricchezza e consumo medio si posizionano ancora molto al di sotto dei massimi storici raggiunti nel 2007. In termini di consumi, nel 2019 la spesa reale è ancora inferiore di 851 euro a persona. Nell’ambito di queste dinamiche generali del reddito e del consumo la spesa per l’alimentazione ha confermato il proprio ruolo all’interno dei bilanci familiari. Nel decennio 2007-2018 la spesa per i beni alimentari ha evidenziato una dinamica in valore meno negativa rispetto al totale, in considerazione anche di una minore elasticità di questi consumi al variare del reddito, portando a un incremento dell’incidenza dell’alimentare all’interno della spesa complessiva (che comprende gli affitti) sostenuta mensilmente alle famiglie. Dentro la buona dinamica della quota alimentare sono diversi i trend che muovono le singole voci di spesa (tab. 1) che compongono il mix della spesa per l’alimentazione domestica. Vi si ritrovano i macro-trend del salutismo, ormai qualcosa di consolidato e diffuso negli orientamenti dietetici e quindi dei comportamenti d’acquisto: alla tenuta dei prodotti ittici fa da contraltare la riduzione del pane e della carne ed emerge con chiarezza e con intensità inequivoca la crescita della spesa per la frutta e per la verdura rispetto al totale alimentare e al totale di tutti i consumi. Frutta e vegetali valgono nel 2018 oltre il 4% della spesa aggregata e quasi il 23% della spesa alimentare, con una crescita di 4,2 punti percentuali assoluti rispetto all’incidenza che avevano nel 2007.  width=Un aspetto che va tenuto presente nella lettura dei dati della tabella 1 è che questi riflettono non solo le variazioni quantitative, ma anche l’andamento dei prezzi. Naturalmente è opportuno tenere conto delle diverse dinamiche delle due componenti per comprendere la reale natura delle scelte di consumo delle famiglie. Nel periodo preso in esame i prezzi per l’alimentazione, domestica e fuori casa, sono risultati lievemente più dinamici rispetto al dato medio, il quale sconta al proprio interno dinamiche ben differenziate. Crescono molto i prezzi delle cosiddette spese obbligate e si riducono rapidamente, per contro, i prezzi dei prodotti tecnologici, giusto per fare un esempio di aggregati che presentano opposte dinamiche di prezzo. Anche all’interno delle spese per l’alimentazione domestica l’andamento risulta abbastanza articolato. Tra i più dinamici sono risultati i prezzi dei prodotti ittici, tra i meno inflazionistici proprio la frutta e la verdura, confermando, pertanto, in termini di consumo reale la crescita di importanza di questa voce di consumo. Le dinamiche dei prezzi incorporano anche le modifiche intervenute nel mix di beni acquistati all’interno dei grandi aggregati di spesa. Per i prodotti della pesca gli incrementi hanno risentito, oltre ai problemi legati alla scarsità del prodotto, anche di uno spostamento verso prodotti più lavorati e con più elevato contenuto qualitativo. Per contro sui beni ortofrutticoli la ricerca di prodotti meno “esotici”, l’attenzione alla stagionalità e alla prossimità del prodotto hanno determinato un mix di beni acquistati i cui prezzi sono risultati meno dinamici. Depurando la spesa dalla componente relativa al prezzo, il quadro d’insieme che ne emerge risulta, in termini quantitativi, leggermente negativo (tab. 2). La riduzione della spesa alimentare è sostanzialmente allineata al dato complessivo (-15,4% rispetto al -15,1% del totale consumi).  width=Inoltre, è ben evidente che sono presenti voci di spesa cicliche, il cui consumo segue le dinamiche macroeconomiche, sospinto oltre che da fattori sociali e culturali, anche da un effetto reddito collegato ad elasticità consumo-reddito maggiori dell’unità. È il caso di frutta e vegetali e spese per pasti e consumazioni fuori casa che calano in volume piuttosto rapidamente nei periodi peggiori della crisi (tra il 2008 e il 2013) e che crescono in misura relativamente vivace quando si innesta una pur modesta ripresa (dal 2014 in poi). L’innovazione di prodotto sostiene la voce “altro”. Le tendenze “salutistiche” penalizzano le voci dell’alimentazione più tradizionale, cioè pasta, carne e formaggi.

Caratteristiche demografiche delle famiglie e spesa per prodotti alimentari

Le dinamiche relative alla spesa media mensile delle famiglie sono sintesi di situazioni e di andamenti tra loro articolati, pur con alcune costanti. Analizzando la struttura e l’evoluzione a valore e in quantità della spesa di due tipologie familiari piuttosto differenti sotto il profilo demografico (tabb. 3 e 4), la coppia con due figli a confronto con il single anziano, cioè con età uguale o maggiore a 65 anni, emerge con forza sorprendente l’omogeneizzazione degli stili di consumo alimentare. Le differenze in quota rispetto al totale consumi sono moderate tra le due tipologie e vanno nella semplice direzione di enfatizzare, per la famiglia con figli, sia il contenuto di carboidrati sia quello proteico mentre frutta e verdura hanno quote più esigue. Lo stesso fenomeno può essere letto meglio rapportando le quote delle voci dell’alimentazione al totale alimentare piuttosto che al totale consumi, ma non emergerebbero difformità rispetto alle tabelle presentate.  width= width=L’evidenza più significativa riguarda l’evoluzione radicalmente differente dei consumi in quantità tra le due tipologie familiari, sia per i consumi totali sia per il complesso degli alimentari. Rispetto al 2007, nel 2018 la spesa reale media complessiva della famiglia con figli si è ridotta a volume del 16,6% (l’indice 2007=100 è infatti pari a 83,4 nel 2018). Lo stesso dato per i single è +4,6%. Analoghi riscontri si hanno per la spesa alimentare. Pertanto, nonostante l’attenzione politico-mediatica ai pensionati e alle pensioni faccia immaginare dinamiche differenti da quelle evidenziate nelle tabelle, derivando forse più da qualche luogo comune che da precise analisi, la vera crisi da cui non siamo ancora usciti riguarda le famiglie numerose mentre se c’è una categoria di consumatori che si è completamente ripresa dai picchi negativi sono proprio gli anziani, cioè i pensionati, soprattutto i single.

L’evoluzione del commercio al dettaglio in Italia

Il sistema distributivo nel corso degli anni ha registrato nel suo assetto organizzativo un profondo rinnovamento indotto dai nuovi orientamenti e comportamenti di spesa dei consumatori, dall’introduzione di nuove tecnologie, senza dimenticare gli effetti sulle attività delle imprese derivati dall’evoluzione del quadro normativo in materia di commercio. Attualmente il settore del commercio al dettaglio conta una rete di circa 610mila imprese, di cui oltre il 90% (escludendo la componente degli esercizi non specializzati) è rappresentato dagli esercizi del “piccolo dettaglio”, ovvero imprese generalmente di piccole dimensioni la cui principale funzione è quella di offrire un indispensabile servizio di prossimità, complementare alla grande distribuzione che è basata, invece, su convenienze di prezzo e localizzata spesso in aree periferiche e decentrate (tab. 5). Nel periodo recessivo della nostra economia e negli ultimi anni di ripresa, gli effetti sia della deludente dinamica dei consumi, sia di processi riorganizzativi a livello aziendale, hanno prodotto un ridimensionamento generalizzato dei punti vendita, con poche eccezioni, in tutti i settori merceologici con un calo complessivo di circa 73mila esercizi tra il 2008 e il 2019.  width=Da segnalare che l'evoluzione dei comportamenti di acquisto dei consumatori ha influito molto anche nella diffusione di altre forme di vendita che operano con modalità non tradizionali, al di fuori dei negozi, e che hanno nella convenienza di prezzo e nella modalità di distribuzione dei prodotti i punti di maggiore interesse. Il numero di queste attività non è elevato (oltre 21mila imprese), ma è in continua crescita soprattutto in due settori, la distribuzione automatica di prodotti e le vendite attraverso internet.

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