Aminee gemelle e origini del Greco di Tufo: Cantine di Marzo dedica un simposio

Ricostruire la storia antichissima del Greco di Tufo è ancora oggi molto difficile. Se ne è parlato un simposio organizzato dalle Cantine di Marzo

22 Sett 2023 - 14:15
Aminee gemelle e origini del Greco di Tufo: Cantine di Marzo dedica un simposio

Parlare di origini del Greco di Tufo, una delle denominazioni più note e prestigiose del territorio irpino, significa intraprendere un percorso di ricerca sia storica che territoriale sulla varietà molto complesso.

Ne sa qualcosa Ferrante di Somma, alla guida di Cantine di Marzo, realtà vitivinicola risalente al Seicento, tra le più antiche dell’areale e di Italia, che da sempre porta avanti un’attività di ricostruzione testimoniale delle tradizioni enoiche della famiglia, oltre che di analisi e studio approfondito sul territorio e le relative cultivar, la cui struttura ed evoluzione nel tempo rappresentano un elemento chiave per comprendere l’essenza delle produzioni ed orientarne gli sviluppi futuri. 

In questa sua veste di eterno ricercatore, la stessa che ne 2017 lo ha spinto a puntare su una attività di zonazione valorizzando le peculiarità di singoli vigneti e traducendo questo focus sulle unicità di versanti, suoli e condizioni micro ambientali nella realizzazione di una linea di Cru (Vigna Laure,  Vigna Ortale e Vigna Serrone), Ferrante ha voluto organizzare nell’ambito del Tufo Greco Festival 2023 un simposio che mettesse al centro da un lato gli studi più recenti sul tema, dall’altro un excursus degustativo storico delle sue etichette.

E così tra le mura dell’antico castello di famiglia che con le sue atmosfere rende di per sé già tangibile l’idea di viaggio nel tempo, ha invitato ad intervenire Antonella Monaco, ampelografa ed esperta di viticoltura medioevale, in particolare campana, per presentare le sue ipotesi sulle origini del nobile vitigno che ha attraversato la storia. 

Un contributo prezioso, quello della Monaco, che parte da lontano, dall’epoca romana, tra la piena età repubblicana per arrivare a quella imperiale, con le testimonianze scritte e tramandate che coprono quattro secoli rappresentando la prima base della ricerca e che sono legate ad un termine ricorrente, “aminee” (o aminnee per usare una espressione più fedele agli antichi testi), utilizzato da quattro autori latini, Marco Porcio Catone, Varrone, Columella e Plinio il Vecchio, in riferimento a viti pregiate e famose dell’epoca.

In particolare Plinio nell’elencare 50 tipi di vino diversi suddivisi in quattro classi di qualità, inseriva inizialmente tra i più importanti quelli campani considerandoli tra i più apprezzati, condizione destinata però a venir meno già alla fine del I secolo quando i vini portoghesi, spagnoli e francesi iniziarono a diventare preferiti nel commercio a discapito di quelli nostrani in costante declino qualitativo.

Verso la fine del III secolo con la disgregazione dell’Impero Romano, la crisi agraria profondissima, che in Campania portò all’abbandono della coltivazione di ben 130mila ettari di terreno, si aggravò a causa delle vicende storiche: all’invasione di popolazioni straniere si sommarono la peste e la guerra goto bizantina, condizione che portò le campagne a spopolarsi. In questo frangente si perse la memoria dei vini e dei loro nomi, venne meno il riferimento ai vini delle aminee, mentre restò in piedi solo una dicotomia, vino greco e vino latino, unica riscontrabile nelle testimonianze scritte del IX e X secolo.

Il primo documento che per la prima volta in Campania accenna ad un vino greco famoso è del 1010 riportato nelle Gesta del Ducato Napoletano curato da Bartolomeo Galasso in cui tale Giovanni riceveva in comodato dalla Badessa del Monastero dei santi Marcellino e Pietro un casale, insieme all’autorizzazione ad aggiungere acqua alla vinaccia, un modo per ricavare ulteriore vino ottenendo una bevanda leggermente alcolica da offrire alle maestranze.

Ma come mettere in relazione questo testo con le aminee di cui parlavano gli autori latini e ormai scomparse dalle testimonianze documentali? Secondo la Monaco sarebbe impossibile perché nei testi di Catone, Varrone, Columella, mancherebbero le descrizioni morfologiche dei vitigni, riducendosi le loro osservazioni al comportamento di questi ultimi rispetto alla produzione e alla coltivazione; in più i nomi dei vini venivano ricondotti direttamente al territorio di provenienza (vino greco, vino italiano, ecc.) e non ai vitigni, per arrivare ai nomi delle uve bisognerà infatti attendere addirittura il 700.

La riscoperta della relazione tra viti aminee e viti greche campane tornerà al centro degli studi nel 1500 grazie a Giovan Battista della Porta che nel suo “Villae Libri XII” sostanzierà la corrispondenza riconducendola al valore economico riconosciuto per entrambe più elevato rispetto alle altre viti. Il vino greco era infatti particolarmente prezioso nei commerci nel Mediterraneo, doveva quindi necessariamente avere una origine nobile nelle viti aminee.

Ad avallare la tesi della corrispondenza nel 1900 arriveranno poi gli ampleografi: Michele Carlucci che parla del Greco Bianco di Tufo come vitigno delle regioni meridionali di Italia, soprattutto della provincia di Avellino, molto apprezzato e coltivato per la qualità superiore del suo vino e quindi molto probabilmente da identificarsi in continuità con la aminea gemella degli antichi autori e con il vitigno coltivato nel I secolo sulle falde del Vesuvio; medesima posizione espressa dal collega e professore della scuola enologica di Avellino Lorenzo Ferrante che nel 1927 pubblica un opuscolo che ricostruisce la storia del vitigno e per il quale non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto che la varietà detta Greco del Vesuvio o Greco di Tufo sarebbe l’Aminea Gemella tanto stimata in epoca romana, diffusa e coltivata esclusivamente in alcune zone della provincia di Avellino e di Napoli.

Una corrispondenza da considerarsi dunque come una certezza? Non esattamente. A mettere in discussione la teoria secondo la Monaco sarebbero le note degli studiosi sugli aspetti morfologici del Greco di Tufo, caratterizzati da una notevole variabilità anche a causa dell’esistenza di numerose varietà. E così non dovrebbe meravigliare che secondo Lorenzo Ferrante il grappolo sarebbe alato, come se fosse sdoppiato, caratteristica che non si risconterebbe nella più antica descrizione ufficiale del Greco di Tufo risalente a 50 anni prima (1875), secondo la quale il grappolo sarebbe al contrario poco spargolo, non compatto.   

Per derimere i dubbi secondo la Monaco potrebbe venire in soccorso solo l’analisi genetica, che con uno studio ufficiale pubblicato nel 2005 rivelerebbe attraverso una tabella valoriale come il profilo di tutte le diverse varietà di Greco reperite in Campania troverebbe esatta corrispondenza di parametri dell’Asprinio d’Aversa.  

Insomma la teoria della corrispondenza tra Greco di Tufo e Aminee gemelle è tutt’altro che certa ma resta una base importante nella ricostruzione della storia dell’antico vitigno, in attesa che ulteriori tasselli e testimonianze si aggiungano ad un quadro, per quanto non definito nei contorni, di assoluto fascino.

Come di assoluto fascino si è confermato il percorso di degustazione delle etichette di Greco di Tufo di Cantine di Marzo che ha abbracciato un orizzonte temporale di ben 35 anni, un primo focus sui tre Cru, Vigna Serrone 2020, Ortale 2017 e Laure 2016, e infine l’incredibile esperienza delle annate 1990 e 1988.

L’obiettivo per Ferrante di Somma è di aprire le porte della sua cantina per ulteriori momenti di approfondimento sulla storia del Greco di Tufo, anche più allargati, con la consapevolezza che la ricerca delle origini di uno dei vitigni simbolo della viticoltura irpina rappresenti un momento importante per la crescita e la valorizzazione del territorio. 

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