Ristorazione collettiva: i dati Oricon confermano la crisi del settore
Secondo l'annuale ricerca Oricon il settore della ristorazione collettiva è in profonda crisi a causa di diversi fattori che ne minano la tenuta
La crisi del mondo della ristorazione collettiva emerge dall'annuale ricerca condotta da Oricon (Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione), che evidenzia come il settore stia conoscendo un momento di difficoltà senza precedenti che ha posto in forte sofferenza i margini delle aziende che hanno chiuso l’anno con una decisa diminuzione del risultato d’esercizio, in non pochi casi chiudendo il bilancio addirittura in passivo. A causare tali gravi difficoltà è l’impennata dei costi di produzione rappresentati dal combinato disposto tra la cavalcata dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale, iniziata con la ripresa post-Covid, e i costi delle materie prime, ai quali si aggiunge una mancata revisione prezzi e appalti con richieste di menu sempre più complesse, in particolare nella ristorazione scolastica e sociosanitaria.
Un’esplosione dei costi che ha compromesso i margini (già limitati) delle aziende del settore che hanno chiuso l’anno con un risultato netto in forte contrazione mantenendo, non senza sforzi, i livelli occupazionali dell’anno precedente con circa 92.000 occupati. Questo dato testimonia la grande attenzione che il settore della ristorazione collettiva pone nei confronti delle persone, siano esse consumatori o dipendenti: oltre a combattere le difficoltà economiche pur continuando a garantire il pasto alle categorie più deboli, ha preservato il capitale umano grazie all’utilizzo prevalente di personale con contratti a tempo indeterminato.
Se confrontato ai catastrofici 2020 e 2021 il 2022 è stato un anno di moderato recupero. I ricavi relativi al mercato in appalto hanno superato i 3,7 miliardi di euro (+12,9% sul 2021) a fronte di 770 milioni di pasti serviti (+11,7%). La produzione ha quindi raggiunto in termini di volume di vendita circa il 90% di quella precedente la pandemia e il 91% in termini di valore economico.
Nonostante questi dati apparentemente positivi, solo se paragonati agli anni della pandemia, quello della ristorazione collettiva è un settore che rischia il collasso per una serie di fattori:
- i costi dell’energia ad esempio, tornati a scendere con continuità solo nel 2023, sono rimasti tuttavia su livelli significativamente più alti rispetto al 2020: il prezzo del gas è ancora oggi tre volte e mezzo quello medio del 2020 e quello dell’energia elettrica tre volte più alto di allora. Si calcola che nel corso del 2023 il settore sosterrà quasi 160 milioni di euro in meno di spesa per energia rispetto allo scorso anno, ma pur sempre quattro volte e mezzo in più di quanto spendeva nel 2020.
- I costi dei prodotti alimentari invece, contrariamente a quanto avvenuto per l’energia, hanno continuato a salire anche sotto l’effetto di evidenti spinte speculative. Rispetto a quattro anni fa i prezzi sono oggi il 30% più alti e l’incidenza degli acquisti delle materie prime sui ricavi è salita dal 29% del 2019 al 36% del 2022.
- La revisione prezzi dei contratti, introdotta nel 2022, ha avuto un effetto insignificante e non è servita a bilanciare gli aumenti dei costi: in percentuale le poche revisioni concesse hanno fatto recuperare solo il 12% dei maggiori costi sopportati, quindi l’88% non recuperato sui prezzi ha eroso il patrimonio delle imprese.
Nel 2022 inoltre il costo delle materie prime alimentari per le aziende della ristorazione collettiva è cresciuto in media del 22%, generando maggiori costi per 329 milioni non recuperati sui prezzi.
Restando in tema di materie prime un discorso a parte lo merita tutto il comparto del cibo biologico e a Km zero, che ha conosciuto una progressiva e inesorabile avanzata senza un corrispondente adeguamento dei prezzi, praticamente inalterati e, allo stato attuale, assolutamente incongrui rispetto alla qualità erogata. Nel 2015, ai tempi della prima indagine condotta da Oricon, appena l’11% delle materie prime alimentari acquistate dalle aziende proveniva da agricoltura a filiera controllata (che comprende quella biologica). Oggi questa percentuale è raddoppiata.
È il settore delle mense scolastiche a farne un uso massiccio, anche a seguito degli obblighi imposti dalla normativa CAM: nel 2023 i prodotti a filiera controllata, quelli a filiera corta (compresi i prodotti a km 0) e quelli certificati rappresentano oltre la metà (56%) degli acquisti alimentari in questo segmento di ristorazione rispetto al 35% del 2018 e al 30% nel 2015. Oltre al mancato adeguamento dei prezzi è cresciuto in modo esponenziale il differenziale di prezzo tra biologico e convenzionale.
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