Le Marche del Verdicchio, il vino bifronte
Eclettico, versatile, plastico, il Verdicchio trova nelle Marche il suo territorio di elezione. Capace di prestarsi alla produzione di spumanti, bianchi fermi, macerati e passiti, dà vita a un vino dal doppio volto che si mostra con tratti differenti
Viaggiando a est del Monte San Vicino, vetta dell’Appennino umbro marchigiano, procedendo verso sud ovest in direzione della catena dei Monti Sibillini si può scoprire la bellezza di una valle dai paesaggi suggestivi. Ampi pascoli si alternano ad aree protette, baluardo della biodiversità, dove l’aspra morfologia ha favorito la conservazione di una vegetazione spontanea, e a zone dove l’antropizzazione ha restituito l’ordine geometrico che accompagna la coltivazione della vite, un territorio ricco di testimonianze di un passato medioevale evocato da antiche mura, eremi, abbazie e castelli che si ergono tra le colline e da un patrimonio artistico culturale la cui storia si intreccia con quella di un vitigno dalle antichissime origini. È la Valle del fiume Esino e si sviluppa parallelamente alla linea della costa adriatica, condizione che la rende anima duale nella sua identità pedoclimatica. Risente infatti contemporaneamente degli effetti degli influssi del mare e di quelli della presenza delle catene montuose e per questione di altitudini, esposizioni, suoli fisicamente continui ma tanto diversi presenta un’eterogeneità che la caratterizza. Una alterità che prende corpo anche nel vitigno che qui ha trovato il suo territorio di elezione, il Verdicchio, e da cui nasce un vino bifronte, dalle due facce, che si manifestano ciascuna con i propri tratti a seconda che si muova nell’areale dei Castelli di Jesi, nella Bassa valle dell’Esino, o in quello di Matelica riconducibile alla Alta Valle.
La storia del Verdicchio
La coltivazione della vite nelle Marche ha origini molto antiche e sull’introduzione del Verdicchio in queste terre sono state formulate diverse ipotesi. La prima legherebbe la sua comparsa nel 1400 all’insediamento nella regione di alcuni coloni veneti trasferitisi per ripopolarla in seguito ad una grave epidemia di peste. A sostegno di questa tesi ci sarebbero degli studi genetici che evidenzierebbero diversi punti di continuità tra Verdicchio, Trebbiano di Soave e Trebbiano di Lugana, ma il recente ritrovamento di vinaccioli nella tomba di un guerriero piceno del VII secolo a.C. tenderebbe a smentirla collocando in epoca molto più remota la sua diffusione. Ci sono poi numerose testimonianze che consentono di ricostruirne la storia come quella riportata da alcuni cronisti del 1600 e risalente al 410 d.C. epoca in cui, in piena crisi dell’Impero Romano, i Barbari invasero la nostra penisola. Pare che Alarico, re dei Visigoti, nella sua discesa verso la capitale abbia fatto incetta di barili dell’antenato dell’attuale Verdicchio considerandolo vero e proprio elisir per i propri guerrieri capace di renderli più audaci in battaglia. La coltivazione sistematica del vitigno emerge invece da alcuni documenti che ne attestano la diffusione nel XVI secolo mentre solo dopo la metà dell’800 si iniziarono a concentrare gli sforzi per migliorarne qualitativamente la resa dal punto di vista produttivo. È in questo periodo che inizieranno i primi esperimenti per la sua spumantizzazione.
Jesi o Matelica?
Che la diversità sia ricchezza è noto e la si apprezza ancor di più quando si tratta di vitigni e vini. Nel caso del Verdicchio marchigiano è interessante scoprirla nel confrontare le sue declinazioni nelle due denominazioni, Jesi e Matelica, territori collinari in cui si esprime con connotazioni nettamente distinte nonostante la loro continuità geografica. Il Veridicchio jesino, dal timbro più solare, è coltivato in quella che si definisce Bassa valle dell’Esino, quell’area collinare dai terreni sabbioso argillosi e dalle condizioni microclimatiche di tipo mediterraneo che degrada verso il mare Adriatico dai cui influssi diretti fa discendere la sua natura più “marina”. Il verdicchio di Matelica, quello dell’Alta valle dell’Esino, è figlio di un territorio chiuso, solcato da molti corsi d’acqua, con un clima continentale caratterizzato da forti escursioni termiche tra giorno e notte e suoli dove si alternano sabbia, argilla, ghiaia, marna, scisti e calcare (il cosiddetto Flysch), condizioni che donano ai vini un’acidità più pronunciata ed un profilo gusto olfattivo complesso. In entrambi i territori il Verdicchio, così chiamato per il colore degli acini che mantiene la sua tonalità verde anche in piena maturazione, conferma la sua natura plastica e versatile prestandosi alla produzione di vini fermi, spumanti metodo classico e di vini passiti.
Il Verdicchio una storia di design
Il Verdicchio ha conquistato nel corso dei decenni una visibilità e riconoscibilità a livello nazionale ed internazionale crescente e un impulso in questa direzione lo ha dato sicuramente anche l’incontro con il mondo del design italiano. Nel 1953 Francesco Angelini, imprenditore vitivinicolo cofondatore dell’azienda Fazi Battaglia, decise di indire un concorso con l’obiettivo di fare creare un contenitore che rendesse immediatamente riconoscibile il suo vino Titulus. A quell’epoca il Verdicchio era ancora poco conosciuto e a vincere fu l’architetto Antonio Maiocchi che creò una bottiglia ad anfora, dalle forme sinuose, ispirata agli antichi contenitori etruschi, ancora oggi ammirata e imitata anche se resta unica e inconfondibile, protetta da un brevetto che ne garantisce l’originalità. Venduta in tutto il mondo è diventata il simbolo del Verdicchio e della sua terra, ma anche una delle icone di riferimento del vino italiano essendo entrata nell’immaginario collettivo come espressione del Made in Italy.