Eolie: tra terre vulcaniche, viticoltura eroica e Malvasia

L’arcipelago delle Eolie è terra di vulcani e di quella viticoltura eroica nella quale l’economia locale ha trovato fondamento fin dal neolitico, e vede nella Malvasia la massima espressione del suo terroir

8 Febbraio 2022 - 10:39
Eolie: tra terre vulcaniche, viticoltura eroica e Malvasia
[mp3j track="https://horecanews.it/wp-content/uploads/2022/02/Eolie-tra-terre-vulcaniche-viticoltura-eroica-e-Malvasia.mp3" Title="Ascolta la notizia in formato audio"] Sette isole, a nord della costa siciliana, in pieno Mar Tirreno meridionale. Due vulcani attivi e un territorio impervio, prevalentemente montuoso. Forti pendii, altitudini mozzafiato, pianura che trova spazio in rarissimi altipiani e nelle caldere dei coni vulcanici, rare sorgenti di acqua dolce, terrazzamenti a picco sul mare blu, e poi sole, vento salmastro, sabbia scura, aria che sa di zolfo, il colore intenso delle bouganville, la luce della malvasia sui graticci ad appassire, capperi nel sale e braccia intente a fare i conti con una natura da domare. L’arcipelago delle Eolie, riconosciuto da poco più di vent’anni come patrimonio UNESCO, da secoli incanta gli dei come gli uomini con la sua rara bellezza, li seduce con i suoi sapori, li ammalia con l’atmosfera dei luoghi in cui l’isolamento diventa parte dell’esistenza influenzandone l’evoluzione e le condizioni. La mitologia greca racconta che Eolo vi si trasferì: viveva a Lipari, e riusciva a prevedere le condizioni del tempo e le correnti osservando la forma del fumo sbuffato dal vulcano attivo di Stromboli. Grazie a questo potere guadagnò grande popolarità e conquistò la fama di “re dei venti”, dando alle isole il loro nome.  width= In queste terre che agli dei hanno donato capacità profetiche, agli uomini nei secoli è stato richiesto ingegno e caparbietà, uniche armi per plasmare un ambiente generoso ma al tempo stesso ostile. Versatilità e dedizione sono state e continuano ad essere il segreto della sopravvivenza e dell’interazione tra uomo e natura, così come della coltivazione della vite che fin da tempi antichissimi ha conquistato il suo spazio e il suo ruolo centrale nell’economia e nella tradizione. Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli, Filicudi, Alicudi e Panarea sono da sempre state il fulcro di importanti rotte commerciali, note ai primi navigatori Fenici e ai colonizzatori Greci, ed è proprio grazie a queste che l’economia locale ha trovato fondamento fin dal neolitico anche sulla produzione enologica, come testimoniano numerosi ritrovamenti archeologici di anfore vinarie. La viticoltura isolana nel tempo ha conosciuto grandi trasformazioni ma ha mantenuto un filo conduttore che va oltre le tecniche e la filosofia produttiva: la passione e l’attaccamento a questa terra vulcanica, alla sua potenza e alla sua unicità, e la volontà di tradurle in vini che ne interpretino l’anima.  width=

Un ambiente generoso ma ostile e una viticoltura eroica

L’arcipelago eoliano nasce nel Pleistocene inferiore, a seguito di eruzioni vulcaniche sottomarine, e da un punto di vista pedologico è costituito da suoli molto giovani di matrice lavica, composti da sabbie, ceneri, pomici, tufi ricchi di minerali. Nelle aree in cui l’uomo è riuscito a praticare attività agricole si sono formati substrati poco profondi caratterizzati da sofficità, porosità e capacità drenante. Il clima tipicamente mediterraneo è da sempre mitigato dall’influsso del mare e dai forti venti. La prima presenza dell’uomo alle Eolie risale a circa 6000 anni fa, sugli altipiani del Castellaro Vecchio di Lipari. A Portella di Salina invece si riferiscono i primi ritrovamenti archeologici che testimoniano una fase iniziale di domesticazione delle vite risalenti al 1450 a.C., vinaccioli carbonizzati rinvenuti in una capanna di un villaggio della media età del Bronzo. Di fatto da quell’epoca la vite è diventata sempre più parte integrante della vita e del paesaggio eoliano, definendone i contorni e determinando una vocazione agricola più che marinara delle isole dell’arcipelago. La viticoltura in queste terre non può che essere definita eroica per motivi agronomici e logistici: si pratica tra le pendenze di un territorio vulcanico che possono superare i 400 metri sul livello del mare, con l’impianto dei vigneti realizzato creando terrazzamenti dal ripristino di vecchi muretti a secco, in luoghi che rifuggono alla meccanizzazione o la rendono particolarmente ostica, richiedendo fatica e sudore. Anche la scarsità di risorse idriche genera criticità, come l’isolamento che rende gli approvvigionamenti di ogni genere e l’organizzazione delle attività sempre più difficili da pianificare. La vendemmia richiede cura e dedizione e forza nelle braccia: i grappoli sono recisi a mano delicatamente, uno ad uno. Le cassette sono caricate sulle spalle e portate lungo i pendii dove stazionano i mezzi destinati a trasportarle in cantina. Sui terrazzamenti poi il lavoro continua perché i grappoli vanno disposti su graticci dove riposeranno per l’appassimento. Oggi la superficie vitata ricopre circa 160 ettari e si concentra nelle isole di Salina e Lipari con una coltivazione prevalentemente ad alberello e con due principali vitigni autoctoni, la Malvasia delle Lipari e il Corinto nero.  width=

La Malvasia vitigno antico e ancestrale

Dell’unicità delle eolie non si può parlare senza far riferimento alla Malvasia, vitigno principe, antico e ancestrale, diffuso ai tempi della colonizzazione greca, tradizionalmente utilizzato solo per la produzione di vino passito, ma che da dieci anni a questa parte viene vinificato in una versione secca. Di origine micenea, probabilmente del borgo di Monemvasia nel Peloponneso, antico porto commerciale, si è completamente adattata alle condizioni pedoclimatiche uniche e irripetibili dell’arcipelago, maturando una tipizzazione nel corso dei secoli favorita dai limitati scambi con il mondo esterno. Dal profumo intenso, e dal colore ambrato paglierino, raffinata e fruttata, “densa, zuccherata e dorata”, come la descrisse Guy de Maupassant nella sua “Vita errante”, nell’Ottocento la Malvasia dell’arcipelago era nota in tutta Europa; a quell’epoca una flotta di vascelli eoliani era pronta a farle raggiungere i porti più lontani. Poi arrivò la fillossera che distrusse tutti i vigneti. Solo da trent’anni si può dire che la viticoltura ha ripreso slancio, nonostante le difficoltà dovute alla parcellizzazione, alle criticità relative alla produzione e ai trasporti. Le caratteristiche del suolo di origine vulcanica che variano da un appezzamento a quello attiguo, il clima che cambia da un versante all’altro, la vicinanza del mare, la viticoltura biologica, fanno si che si ottenga un prodotto molto legato al territorio e altamente distintivo. Dalla forma irregolare e più spargola, più lunga rispetto alle altre malvasie italiane, limitata nella produzione e capace di adattarsi ad un areale difficile, questo biotipo ha un’aromaticità più delicata, gentile e suadente, meno esuberante e stucchevole, espressione dell’anima mediterranea, del suo sole, della potenza della mineralità del vulcano e della brezza salmastra. Parte dalle sue grandi potenzialità sono considerate ancora inespresse dai produttori che, consapevoli di poter sempre più migliorare la qualità in vigna come in cantina, sono quotidianamente impegnati nel riorientare gli sforzi di quella viticoltura eroica che oltre le difficoltà ripaga dando vita a vini che sanno farsi interpreti dell’anima e dell’essenza dei luoghi.  width=
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