La Puglia del Primitivo avanguardia dell’innovazione vitivinicola italiana

Da “serbatoio d’Europa” a realtà produttiva che si impone sui mercati internazionali con tassi di crescita a due cifre, la Puglia è oggi riconosciuta come avanguardia dell’innovazione vitivinicola italiana e il suo Primitivo conquista pubblici sempre più ampi.

1 Febbraio 2022 - 11:34
La Puglia del Primitivo avanguardia dell’innovazione vitivinicola italiana
[mp3j track="https://horecanews.it/wp-content/uploads/2022/02/La-Puglia-del-Primitivo-avanguardia-dellinnovazione-vitivinicola-italiana.mp3" Title="Ascolta la notizia in formato audio"] [mp3j track="https://horecanews.it/wp-content/uploads/2022/02/Il-Primitivo-le-origini-e-la-sua-storia.mp3" Title="Ascolta la notizia in formato audio"] Incuneata tra il Mar Adriatico e lo Ionio che lambiscono i suoi ottocento chilometri di coste, c’è una terra florida e fertile che dai monti della Daunia a nord alle zone ventilate e sabbiose del Salento a sud, passando per le Murge e la Valle dell’Itria, si snoda in un itinerario per metà collinare e metà pianeggiante. È la Puglia, regione in cui la vite, insieme agli olivi, è parte integrante della storia, delle tradizioni e del paesaggio fin dai tempi della colonizzazione greca che portò con sé diverse varietà e il sistema di coltivazione ad alberello. Orazio e Catullo in epoca romana decantavano il colore il profumo e il sapore dei vini pugliesi e Plinio il Vecchio definiva la regione “viticulosae”, cioè piena di vigne. La ricchezza e biodiversità dei suoli di quella che Dante Alighieri definì “terra sitibonda dove il sole si fa vino”, da secoli consentono non solo di ottenere grandi quantitativi di uve ma anche di dar spazio ad un numero di varietà autoctone tra i più significativi del nostro paese. Dal clima mediterraneo e mite, tra le aree più soleggiate d’Italia e d’Europa con temperature che arrivano d’estate a sfiorare anche i 45 gradi, sin dall’epoca rinascimentale la regione è stata considerata principalmente come “serbatoio” al quale attingere per poter realizzare il taglio di vini senza troppo corpo o gradazione alcolica. Sul finire dell’800 questa vocazione conobbe un forte impulso dal momento che in Europa una grande epidemia, quella della fillossera, aveva colpito la vite, con un calo drastico delle produzioni che richiedevano con urgenza una integrazione; la Puglia si prestò fino a quando non rimase essa stessa vittima della crisi. Corrisponde a questo periodo storico anche la nascita dei “trani”, osterie per la mescita di vino sfuso milanese: a causa di un litigio doganale ai pugliesi venne infatti negato temporaneamente il commercio del loro vino con la Francia e così iniziarono ad aprire a Milano vinerie che diventarono subito molto popolari. Si sostituivano alle “piole” piemontesi e offrivano vino di Trani ad un prezzo molto contenuto; trani a Milano divenne sinonimo di osteria e il “trannatt” ne era il frequentatore abituale. Il trascorso di “cantina d’Europa” è ormai destinato ad essere raccontato come parte di un percorso evolutivo che va assumendo nuove connotazioni e vede oggi la Puglia sempre più impegnata nel bilanciare il peso qualitativo delle sue produzioni vitivinicole rispetto a quello quantitativo, grazie ai tanti investimenti realizzati negli ultimi trent’anni che hanno portato anche ad una diffusione capillare di una viticoltura sostenibile. Non è un caso che Forbes l’abbia recentemente definita come “avanguardia dell’innovazione” della viticoltura nostrana. Oggi varietà come Negramaro, Bombino Bianco e Primitivo, un tempo sconosciute al mercato mondiale del vino, sono celebrate per la loro peculiarità, mentre vini come il Salice Salentino, il Rosso di Cerignola e il “Five Roses” si trovano nei ristoranti e nelle enoteche di tutta Europa e degli Stati Uniti.  width=

Zone di produzione e suoli

La Puglia può contare su un numero di vigne secondo solo alla Sicilia. La sua estesa superficie vitata si sviluppa prevalentemente in aree pianeggianti con una esposizione ai venti provenienti dal mare. L’ampia varietà pedoclimatica che la caratterizza rende i suoi vini profondamente diversi tra loro ed è un piacere scoprirli in un viaggio che dalla parte settentrionale a quella meridionale del tacco dello stivale consente di individuare diverse zone di produzione, ciascuna con le sue peculiarità: dalla Daunia e Alta Murgia, alla Bassa Murgia e alla Valle d’Itria passando per la provincia di Taranto fino ad arrivare in Salento. Situata nella parte più settentrionale della regione la Daunia, terra aspra della provincia di Foggia, è protetta ad est dal Gargano che la ripara dai venti freddi e degrada verso il Tavoliere delle Puglie. Con il suo clima continentale, caratterizzato da inverni freddi ed estati lunghe e calde, ed i suoli calcareo argillosi e sabbiosi ricchi di sostanze minerali dalla buona capacità drenante, è patria del Nero di Troia e del Bombino Bianco. Procedendo verso sud le Murge sono un altopiano di forma quadrangolare che si sviluppa nella Puglia centrale. L’Alta Murgia, l’area Nord-Occidentale dell’altopiano confinante con la Basilicata, ha un suggestivo aspetto lunare determinato da fenomeni carsici. In superfice si presenta come un deserto roccioso ma in profondità è ricca di falde acquifere ed è costellata da grotte e gravine. La pre Murgia, corrispondente al territorio di Castel del Monte, è caratterizzata invece da suoli di natura tufacea. Qui, tra Barletta e Trani, l’altopiano degrada fino al mare la cui presenza smorza le rigide temperature invernali e il caldo delle estati torride. La varietà protagonista di questo territorio è ancora una volta il Nero di Troia. Nel territorio al centro della Puglia, che abbraccia invece le province di Bari, Brindisi e Taranto, famoso per i trulli in pietra calcarea, si individuano due aree, la Bassa Murgia e la Valle d'Itria. Qui l’altitudine delle aree coltivate a vite è compresa tra i 350 e i 420 s.l.m.; il territorio è caratterizzato da fenomeni carsici e il suolo è di natura calcarea e argilloso-calcarea, con terre dal colore rossastro derivate dalla dissoluzione delle rocce.  width= La vitivinicoltura della Valle d'Itria è vocata ai vitigni a bacca bianca come la Verdeca, che sviluppano aromi fini e buona acidità, mentre la bassa Murgia resta patria di uve a bacca rossa come il Primitivo. Il clima è caratterizzato da inverni rigidi ed estati generalmente lunghe, calde ma miti e sempre ventilate, con interessanti escursioni termiche notturne. Dai pendii delle Murge fino all'area che si estende alle spalle della Valle d'Itria in direzione del mare e che si affaccia sulla costa ionica, ancora oggi nota come Magna Grecia in memoria della colonizzazione ellenica del VII secolo a.C., si incontra un’altra zona, quella della provincia di Taranto, dove il clima è di tipologia mediterranea, con temperature mitigate dalla vicinanza del mare soprattutto sulla fascia costiera e frequenti brezze marine. I suoli di natura prevalentemente argilloso-sabbiosa e, con il loro colore rossastro, rendono l’aura del paesaggio intensa. L'epicentro della vitivinicoltura storica dell'area è l'agro di Manduria e dintorni, da sempre patria del celebre vitigno Primitivo. Infine il Salento, estremità a sud della Puglia, bagnato dal mar Adriatico e dallo Ionio, noto per le sue spiagge e le bellezze naturali, territorio pianeggiante e assolato, soprattutto nelle aree localizzate tra Lecce e Brindisi, con un clima mediterraneo caratterizzato da costanti brezze marine e buone escursioni termiche. Il suolo è di natura prevalentemente argillosa, ma sono presenti anche terreni rossi e ciottolosi, ricchi di minerali e terreni calcarei. I vitigni più diffusi sono il Negroamaro, la Malvasia Nera e il Primitivo, ma anche Malvasia Bianca, Verdeca e Fiano.  width=

Il Primitivo, le origini e la sua storia

Le origini del Primitivo, eccellenza della viticoltura pugliese, risalgono a tempi antichissimi. Pare che siano stati i Fenici a condurre le prime barbatelle del prestigioso vitigno nella nostra penisola, diffuso successivamente dai Greci e apprezzato particolarmente dai Romani che ne esaltavano le qualità. Al vino che nasceva dalle viti di Primitivo veniva riconosciuto un appellativo, “merum”, che significa vero, a rappresentarne la schiettezza e sincerità rispetto ad altri nettari che avevano bisogno di aggiunte e correttivi come il miele o le resine per risultare piacevoli e corposi. Gli acini piccoli e di forma sferica, dalla buccia bluastra ricca di pruina, ricchi di zuccheri, consentivano in modo naturale di dar vita a vini rotondi e dall’elevato contenuto alcolico. Oggi nel dialetto pugliese il buon vino continua a chiamarsi “mjier” o “mieru”, in continuità con l’antica tradizione. Con la caduta dell’Impero non si hanno più notizie della sorte delle colture di Primitivo, se ne perdono le tracce fino ad arrivare alla fine del 1700, quando, Francesco Filippo Indellicati, ne iniziò ad osservare le caratteristiche mettendolo a confronto con altri vitigni. Il prete di Gioia del Colle si rese conto che la varietà maturava prima delle altre e dava un frutto scuro, profumato e dolce la cui vendemmia poteva anticiparsi ad agosto. Creò dunque la prima monocoltura di quello che chiamò il “Primaticcio”, che si diffuse ben presto sul territorio. Per diffondersi in Manduria, il luogo vocato alla sua produzione, bisognerà invece che si attenda il 1881, data del matrimonio tra la contessa Sabini di Altamura e Don Tommaso Schiavoni Tafuri di Manduria. La giovane nobile portò dalla sua città natale alcune barbatelle di Primitivo che il marito seppe ben impiegare nelle sue terre. Sono invece recenti le ricerche ampelografiche che hanno dimostrato la parentela genetica con un vitigno croato del quale sarebbe gemello anche lo Zinfandel Californiano. Il nostro Primitivo proverrebbe dunque dall’altra sponda dell’Adriatico anche se non abbiamo certezze su quando e come questa diffusione abbia avuto luogo. Quello che è certo è che questo vitigno, che soffre la siccità quanto l’eccesso di umidità, riesce ad esprimersi in modo completamente diverso di fronte al variare delle condizioni del terreno e del clima con cui deve fare i conti e in corrispondenza del tacco dello stivale ha trovato il suo terroir di elezione dando vita ad un nettare unico che ha contribuito al riconoscimento della qualità e del valore della viticoltura pugliese. Oggi il Primitivo è uno dei vini italiani più esportati, un trend in crescita da ormai 20 anni. La sua piacevolezza gli consente di compiacere il gusto di culture distanti tra loro, anche da un punto di vista alimentare. Le sue caratteristiche lo rendono capace di conquistare un pubblico ampio: si fa apprezzare anche in gioventù, ma è adatto a lunghi affinamenti, è un vino caldo, corposo, dalla colorazione rubino scuro, molto denso, al palato il tocco è vellutato nonostante la potenza alcolica, e lunga è la persistenza. Dalla notevole gamma olfattiva che parte dal frutto, prugna e ciliegia sotto spirito, per arrivare ai sentori speziati e agli inconfondibili profumi di macchia mediterranea.  width=
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