L’Italia apre alla produzione di vini dealcolati
La bozza di decreto ministeriale che aprirebbe le porte anche in Italia alla produzione di vini dealcolati fa già discutere per le modalità e le limitazioni
Anche in Italia si inizia a ragionare sulla modalità di apertura del settore vitivinicolo alla produzione di vini a basso contenuto alcolico e alcol free. Il Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (Masaf) è al lavoro su questo fronte e ha già prodotto una bozza di decreto che segna un’inversione di marcia rispetto alle posizioni fino ad oggi espresse su un tema fortemente dibattuto e non certo pacifico.
Secondo il testo, ancora in via di elaborazione definitiva, la dealcolizzazione totale o parziale dovrebbe diventare operativa in un prossimo futuro andando a colmare un vuoto per quelle cantine del Belpaese che vorrebbero investire in questa nicchia di mercato, ad oggi costrette ad acquistare o a farsi produrre il vino low alcol all’estero, con inevitabili ricadute sulla redditività del segmento.
L’apertura manifestata dal Masaf non è però tale da allineare l’Italia ai suoi competitor dal momento che sono diverse le limitazioni rispetto ad altri Paesi e alle stesse direttrici individuate dalla Comunità Europea.
In primo luogo, l’operazione sarebbe consentita solo per i vini generici o da tavola, prodotti cioè senza denominazione di origine e indicazione geografica, a differenza di quanto previsto dalla Politica Agricola Comunitaria (PAC) che ha già dato il via libera alle produzioni low alcol anche per la categoria delle Denominazioni di Origine.
Fin qui tutto più o meno pacifico. Il dato che ha destato maggiori perplessità è la novità secondo la quale nel nostro Paese il processo di dealcolizzazione potrebbe avvenire esclusivamente “presso stabilimenti dotati di licenza di deposito fiscale per la produzione di alcol” mentre l’alcol risultante dal processo di dealcolizzazione potrebbe essere utilizzato esclusivamente per fini industriali.
In altri termini sarebbero solo le distillerie ad essere autorizzate a portare avanti la dealcolizzazione, e sotto diretto controllo dell’Agenzia delle dogane, alle cantine sarebbe riconosciuta solo la possibilità di imbottigliare il prodotto finale.
Scelte che di fatto porterebbero il processo fuori dal settore vitivinicolo e in qualche modo andrebbero ad incidere sulla qualità del prodotto finale considerato che soprattutto un vino dealcolizzato, per la mancanza di alcol, risulterebbe più a rischio di attacchi microbiologici rispetto ad altri nella fase di pre-imbottigliamento a meno di ricorrere all’impiego di stabilizzanti chimici, alternativa rispetto alla quale sarebbe probabilmente preferibile internalizzare le attività.
E se dubbi ce ne sono e di diversa natura intanto in pochi si sarebbero aspettati questo cambio di direzione del Governo, presumibilmente dovuto alla volontà di recuperare terreno rispetto ad altri Paesi, in particolare Spagna e Germania, che già da tempo si sono mossi per sostenere il business dei dealcolati.
E l’Italia non sarebbe la sola ad aver imboccato questa strada. Allo stesso modo, come lasciato trapelare dalla BBC la scorsa settimana, il governo britannico starebbe per modificare la definizione legale di vino in risposta alla crescente domanda dei consumatori di bevande a basso contenuto alcolico.
Ad oggi nel Regno Unito, secondo le regole mutuate dall’UE, il vino deve infatti contenere almeno l’8,5% di alcol in volume (ABV) per essere commercializzato come tale. E se fino ad oggi le versioni a basso contenuto di alcol e senza alcol dovevano essere vendute come "bevanda a base di vino" o con un nome di prodotto simile, questa regola dovrebbe essere abolita già dal prossimo anno, novità che fa parte di un pacchetto più ampio di misure studiate per rilanciare la produzione vinicola britannica nel post Brexit.
Un mercato, quello delle bevande analcoliche, trainato soprattutto da Germania, Spagna, Stati Uniti, Giappone e Regno Unito che secondo i dati di IWSR nel 2022 avrebbe superato gli 11 miliardi di dollari nei 10 mercati principali del mondo e che si stima in crescita del 33% entro il 2026 pronto a raggiungere i 14,67 miliardi di dollari.
Sarebbe la birra la protagonista del segmento no alcol, rappresentando circa il 75% del mercato globale, mentre il vino avrebbe ancora difficoltà a scalare posizioni essendo per i produttori più difficile offrire ai consumatori un'esperienza analoga nei prodotti con o senza alcol, poiché al momento la dealcolizzazione avrebbe ancora un impatto considerevole sulla consistenza dei vini.
Motivo per il quale alcuni paesi si stanno muovendo per sviluppare tecnologie in grado di migliorare le produzioni. In particolare il governo Australiano la scorsa estate ha annunciato la decisione di investire 3 milioni di dollari (circa 1,8 milioni di euro) per incrementare la qualità e l'innovazione nel fiorente mercato dei vini a basso contenuto di alcol e senza alcol con l’obiettivo di condurre ricerche finalizzate principale a ottimizzarne sapore e consistenza e di approfondire le conoscenze e le preferenze dei consumatori.
Horecanews.it informa ogni giorno i propri lettori su notizie, indagini e ricerche legate alla ristorazione, piatti tipici, ingredienti, ricette, consigli e iniziative degli chef e barman, eventi Horeca e Foodservice, con il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende e dei protagonisti che fanno parte dei settori pasticceria, gelateria, pizzeria, caffè, ospitalità, food e beverage, mixology e cocktail, food delivery, offerte di lavoro, marketing, premi e riconoscimenti, distribuzione Horeca, Catering, retail e tanto altro!