Il Taburno di Cosimo Capasso: dalla passione per i tartufi alla sfida dei vini d’altura
Dopo aver creato la prima azienda del Sud Italia dedicata al tartufo Cosimo Capasso è pronto a lanciare un nuovo e sfidante progetto enologico
Ci sono territori che per le loro caratteristiche geomorfologiche e climatiche combinate alle vicissitudini storiche sono destinati ad assurgere alla funzione di scrigni, di custodi di arcaici saperi e pratiche, da tramandare di generazione in generazione.
Lo è senz’altro l’areale che si sviluppa intorno al massiccio del Taburno, nel beneventano, caratterizzato da paesaggi rurali suggestivi, antichi e incontaminati, dove coltivazioni di frutta e legumi, uliveti, vigneti e pascoli d’alta quota si alternano e si intersecano come tasselli di un mosaico, e dove la pluralità di condizioni climatiche unite ad un forte attaccamento delle popolazioni locali alle tradizioni hanno permesso la conservazione di una biodiversità agricola altrove scomparsa.
In questi contesti, che rappresentano un baluardo a difesa di una comunità e della sua cultura, possono innestarsi realtà imprenditoriali destinate a dare un contributo singolare e prezioso perché pur incanalandosi nel solco della tradizione puntano a valorizzare in modo nuovo risorse e ricchezze alle quali non è stata data ancora l’opportunità di esprimersi secondo le proprie potenzialità.
È il caso della Capasso Tartufi prima azienda del Sud Italia dedita alla coltivazione, trasformazione e distribuzione del tartufo, nata a Tocco Claudio nel 2015 dall’intuizione di Cosimo Capasso, giovane discendente di una famiglia di agricoltori beneventani che ha saputo dare alla passione dei suoi avi la dimensione strutturata e rigorosa del business, intravedendo nel suo territorio tutti gli elementi per poter realizzare un prodotto di qualità e identitario.
Un percorso che affonda le sue radici agli inizi del 900 quando il capostipite dei Capasso, di ritorno dalla Prima Guerra Mondiale e in particolare dal Piemonte, la patria del tartufo, decise di dedicarsi a questa coltivazione così particolare portandosi dietro il bagaglio di esperienze maturato ad Alba, senza avere ancora nessuna spinta né l’interesse alla commercializzazione ma solo tanta voglia di sperimentare ed esplorarne le peculiarità nel suo territorio.
Sarà dagli inizi degli anni 50, con Cosimo e Andrea Capasso e successivamente con Vincenzo e Massimino che si proverà a sfidare la chiusura della cultura locale rispetto al tartufo, condizione non certo agevole considerata la ritrosia di quell’epoca e la mancanza di una rete di produttori con i quali poter far squadra e leva sul mercato. Il tempo, la dedizione e la qualità del prodotto fecero la loro parte consentendo di stabilire un eccellente rapporto commerciale con i più famosi ristoratori della regione.
Con Cosimo, erede di questa tradizione, è arrivata la svolta: l’attività è diventata ancora più strutturata e ambiziosa richiedendo la costituzione di una azienda dedicata (nell’ambito delle altre attività dell’azienda agricola di famiglia) in particolare aggiungendo alla raccolta la coltivazione e la trasformazione dei tartufi, supportando lo sviluppo attraverso l’intervento di esperti e consulenti esterni che hanno colmato il gap di competenze inevitabilmente tangibile a livello locale.
Agli otto ettari di tartufaia naturale sono stati aggiunti otto ettari di tartufaia coltivata che hanno richiesto investimenti e un impegno maggiore in termini di conduzione, a partire dalla scelta delle piante simbionti, in prevalenza Roverella e Cerro, rispetto ad altre specie particolarmente resistenti alle mutazioni climatiche e capaci di garantire una forma più tondeggiante al tartufo, condizione questa che impatta notevolmente sulla percezione della sua qualità.
Fondamentali gli interventi come la cimatura, per favorire lo sviluppo del tronco ma evitare la discesa delle radici in profondità, e la lavorazione del terreno del pianello, cioè di quella zona priva di vegetazione detta anche “bruciata” che si sviluppa alla base della pianta simbionte rispetto alla quale si interviene con un macchinario brevettato per assestarla e preservare l’integrità del tartufo difendendolo dalle gelate, dalle alte temperature e dall’attacco di lumache o coccinelle.
Anche la squadra dei cani scavatori è stata allargata e conta oggi dieci lagotti impegnati nella ricerca delle cinque varietà, il “Nero Estivo” prodotto da maggio ad agosto, il “Nero Uncinato” da ottobre a dicembre, il “Tartufo Nero Pregiato” da novembre a marzo, il “Tartufo Bianco” da ottobre a dicembre e il “Nero Ordinario” da settembre a marzo.
Sul fronte della trasformazione Cosimo ha voluto che l’azienda fosse autonoma nelle attività, avvalendosi di tecniche moderne e sofisticate di congelamento, essiccazione e sterilizzazione sempre nel totale rispetto dell’ambiente e della materia prima, quei tartufi che provengono solo dai terreni di proprietà e che vengono lavorati artigianalmente in modo da garantirne e preservarne il sapore, l’aroma e i principi nutritivi per dar vita ad una articolata linea di prodotti.
Con la commercializzazione si chiude il cerchio di una filiera perfettamente integrata che sta conquistando non solo il mercato locale ma anche quello nazionale riconoscendo al tartufo beneventano il giusto tributo.
Ma la propensione alle sfide e alle innovazioni ha portato Cosimo Capasso a mettere in cantiere un altro progetto che va a toccare un mondo radicato sul territorio, quello della viticoltura, anche in questo caso cambiando le carte in tavola e stravolgendo gli schemi.
Partendo dal potenziale delle condizioni pedoclimatiche, in particolare dall’altitudine e dal clima che favoriscono le forti escursioni termiche e che possono rappresentare una risposta agli effetti del cambiamento climatico, Cosimo ha destinato 8 ettari compresi tra gli 800 e i 1000 metri s.l.m. alla coltivazione di Pinot Nero e Chardonnay, puntando su varietà internazionali in controtendenza rispetto alla predilezione locale di Aglianico e Falanghina, con un progetto enologico curato da Pierpaolo Sirch, l’ideatore e fondatore insieme a Marco Simonit della Scuola italiana di potatura della vite, grande conoscitore del vigneto Italia.
La prima vendemmia si è da poco conclusa e le anticipazioni sono poche, si parla di una linea che partirà con un metodo classico e due vini fermi, ma di più non è ancora dato sapere. Quel che è certo è che sta per nascere una nuova cantina e, date le premesse, si candida a far parlare di sé per un nuovo modo di raccontare il territorio del beneventano in chiave enoica.
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