Rivetto Wines: storia di una rivoluzione colturale e culturale nelle Langhe

Enrico Rivetto ha scelto di abbracciare l’approccio biodinamico e olistico alla conduzione di una terra che considera come un microcosmo

24 Ottobre 2023 - 13:35
Rivetto Wines: storia di una rivoluzione colturale e culturale nelle Langhe

Parlare di Alta Langa e colline del Barolo significa per i più far riferimento ad una nobile terra del vino, iconica, dalla lunga, consolidata e intoccabile tradizione enologica, percezione cristallizzata al punto da rendere improbabile contemplare la possibilità che proprio dal cuore di questo sistema, costruito nel corso dei secoli con le sue regole, i suoi paradigmi e la strenua difesa del suo impianto ideologico, possa essere partita la rivoluzione colturale e culturale di un giovane visionario. 

Ipotesi remota che si traduce in fervida certezza approdando sulla collina di Lirano, a metà strada tra Sinio e Serralunga d’Alba, nel cuneese, areale costellato di boschi e vigneti, abbracciato dalle Alpi e dal Mar Ligure. 

Qui si può toccare con mano cosa significa ereditare un pezzo di storia delle Langhe e avere il coraggio di restituirgli il destino al quale è stato a lungo sottratto. È la missione che anima Enrico Rivetto, quarta generazione di una famiglia di viticoltori la cui storia affonda le radici nel passato, quando, quasi un secolo fa, il bis-nonno Giovanni, bottegaio del paese, trasformò quello che era il suo negozio in una piccola cantina. Ercole, suo figlio, decise di fare diventare la realtà un’eccellenza enoica del territorio. 

Le generazioni sono andate avanti, sino ad arrivare nel 1999 ad Enrico, che ha scelto di adottare un nuovo approccio alla viticoltura, considerando le sue vigne come parte di un tutto molto più ampio, un organismo agricolo, ecosistema complesso. La coltivazione biodinamica rappresenta oggi la sua filosofia ispiratrice, che definisce il rapporto con la terra, una filosofia abbracciata “non come dogma ma come consapevolezza che insegna a imparare dai propri errori”. 

La filosofia di Enrico Rivetto

Enrico ha dato vita ad una nuova Lirano, spinto dall’entusiasmo da cui è animato, iniziando la conversione biologica nel 2009 ed ottenendo nel 2019 la certificazione Demeter per l’agricoltura biodinamica. Nella sua tenuta, dove “si coltiva la vite e la vita”, oggi non c’è spazio per la monocoltura, considerata un elemento che crea disarmonia impoverendo la vitalità dei terreni e favorendo la diffusione di malattie endemiche.  

Le viti, di cui Enrico non si considera proprietario ma custode, convivono con campi di grano, pascoli, erbe officinali e siepi. I filari, tra i quali sono state installate anche le arnie, si intersecano con alberi ad alto fusto, orti e frutteti. Intorno alla tenuta noccioleti e sette ettari di boschi di piante secolari raggiungibili attraverso un sentiero, un laghetto per la raccolta di acque piovane e la relativa fitodepurazione, un’area dedicata agli asinelli che contribuiscono a regolare la crescita delle erbe spontanee, ed una dedicata alla manutenzione del compost, il cornoletame utilizzato per concimare la terra. 

In questo microcosmo vivente, in cui la dimensione vegetale è oggi perfettamente integrata con quella animale, Enrico ha lavorato per la rigenerazione organica dei suoli, piantato più di mille alberi e rinunciato a più di due ettari di diritto di impianto. La diversità colturale, intesa non solo come luogo della competizione tra specie ma soprattutto come regno della simbiosi e del mutualismo, si è affermata come valore da preservare e difendere restituendo alla collina attraversata da forze naturali contrastanti il suo equilibrio, accrescendone la bellezza e l’armonia tra gli elementi che la compongono.

Non solo barolo: la Nascetta e la valorizzazione dell’autoctono

A Lirano l’altitudine di 400 metri unitamente alla presenza delle estese aree boschive ha contribuito alla creazione di un microclima caratterizzato da temperature favorevoli e da una buona ventilazione. I suoli, prevalentemente limosi e con un buon tenore di sabbia e argilla, caratterizzati da strati alternati di marna grigia e sabbia gialla originatisi, grazie a fenomeni erosivi innescati dai fiumi, dai fondali del mare profondo emersi dodici milioni di anni fa, sono in grado di trattenere acqua piovana in profondità e quindi di far fronte anche alla carenza idrica preservando lo sviluppo armonico delle viti.   

Si tratta di condizioni impattanti sulla qualità delle produzioni di Rivetto che oltre ad annoverare i grandi rossi di Langa, dal Nebbiolo, al Barolo e al Barbaresco accolgono anche un autoctono da uve a bacca bianca sul quale si sta molto lavorando per evidenziarne valore e potenzialità: la Nascetta.

Piantato a nord, secondo le indicazioni del Fantini del 1800, per garantirne freschezza e acidità e per far si che possa invecchiare nel tempo, dà vita ad un vino antico e al tempo stesso moderno, la cui essenza è nobilitata dalle scelte in materia di vinificazione rispetto alle quali ci sono stati diversi approcci nel corso degli anni. 

Nei primi esperimenti di produzione, sempre in regime biodinamico, si è iniziato con qualche ora di macerazione a freddo con le bucce fino ad arrivare ai tre giorni attuali e dall’uso esclusivo di contenitori in cemento si è passati anche alla sperimentazione in terracotta con una macerazione di una piccola parte del mosto che dura alcuni mesi, conferendo una sottile trama tannica ad un vino dal sorso pieno ed elegante. 

Puntare su questa varietà, che Enrico definisce il Nebbiolo bianco, è una sfida che richiede tempo, impegno e determinazione ma vale la pena sostenerla, per quanto atipica e originale, dal momento che il vitigno è forte espressione dell’identità territoriale. 

Esplorare le potenzialità del nebbiolo nella spumantizzazione

Se come dice Enrico il vino nasce dalla testa prima che del lavoro in vigna e in cantina e dalla capacità di immaginare per poter poi creare, si comprende perfettamente anche la sua scelta di andare ad esplorare potenzialità e nuove possibilità di interpretazione di uve il cui impiego è sempre stato ricondotto alla produzione delle storiche eccellenze delle Langhe.

È quanto ha fatto portando avanti un progetto di sperimentazione per mettere alla prova il nebbiolo nella spumantizzazione. Ha scoperto che la punta del grappolo, tagliata un mese prima della vendemmia, contiene l’acidità ideale per produrre spumanti metodo classico affinati sui propri lieviti e che il grappolo di nebbiolo privato della punta, le cui caratteristiche sono più simili a quelle di un’uva a bacca bianca, più acida e dal colore più tenue, continua il suo processo di maturazione con la parte migliore andando ad incidere sulla qualità dei rossi che andrà a generare.

Così è nato Kaskal uno spumante metodo classico dosaggio zero affinato sui lieviti per 60 mesi. Il nome deriva da una parola dell’Antico Sumero e significa “la strada che conduce al re”, espressione del rinnovato desiderio di Enrico di percorrere vie sempre nuove per esaltare la magia delle sue terre e di quelle uve che hanno fatto la storia delle Langhe e alle quali riesce a dare una interpretazione figlia della curiosità e della tensione al cambiamento. 

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