Bolgheri e Sassicaia: il mito figlio di terra, viti, uomini e intuizioni

Quella di Bolgheri è una tradizione enologica relativamente giovane, esplosa grazie all’ intuizione di un uomo, Mario Incisa della Rocchetta

5 Nov 2021 - 08:06
Bolgheri e Sassicaia: il mito figlio di terra, viti, uomini e intuizioni
Lungo il litorale a sud di Livorno, si estende la Costa degli Etruschi, dominata dai profili dell’arcipelago toscano e all’orizzonte dalla Corsica, territorio che oggi è noto in tutto il mondo non solo come alveo di una antica civiltà, ma come culla di una delle più grandi realtà enologiche europee: Bolgheri. Qui, in un tratto della costa corrispondente alla località di Castagneto Carducci, il mare si fa palcoscenico di un teatro naturale che vede nelle Colline Metallifere ad est, ricoperte da boschi, gli spalti, e nella pianura, disseminata da 1100 ettari di vigneti, l’arena che degrada verso le spiagge. Un paesaggio che non è sempre stato così armonioso, mutando molto nel corso dei secoli, situato in quella che poco più di un secolo fa era nota come Maremma Pisana, luogo paludoso, ostile e inospitale, dove la vite trovava poco spazio se non sulle pendici delle colline, via di fuga dalle condizioni malsane che rendevano il territorio selvaggio e inaccessibile. La fisionomia dei luoghi, rimasta uguale a sé stessa fin dall’epoca romana, si trasformerà solo nella seconda metà del XVIII secolo, quando una legge del 1749 promulgata dal Granducato di Toscana impose ai latifondisti maremmani di risanare il territorio, pena la confisca delle proprietà. Le paludi di Bolgheri e Castagneto vennero prosciugate, fu migliorato il sistema stradale e 700 ettari di terreno furono destinati alla coltivazione promiscua di olivi e vigneti. Iniziava ad emergere la vocazione di questo areale che richiedeva però una grande intuizione per poterne dare la migliore interpretazione.  width=

Le origini e il clima di Bolgheri

Da un punto di vista geologico le origini di Bolgheri risalgono al Pleistocene e sono da un lato marine, seguono cioè al ritirarsi delle acque tirreniche che hanno lasciato traccia dei loro sedimenti, dall’altro alluvionali, in quanto legate ai depositi formati nel corso delle ere dai corsi d’acqua provenienti dalle colline. Siamo in una zona con rilievi di modesta altezza e i suoli presentano caratteristiche molto variabili in terreni poco distanti l’uno dall’altro, si differenziano per la tipologia di tessitura andando dai sabbiosi argillosi, agli argillosi, agli argillo-limosi. Questa eterogeneità si riflette anche nelle produzioni vitivinicole che presentano connotazioni peculiari, piena espressione dell’unicità delle varie frazioni. A definire il territorio da un punto di vista climatico è il cosiddetto “Corridoio Elbano”, una microregione che si sviluppa tra l’isola d’Elba, il tratto di mare antistante la costa, la fascia territoriale del comprensorio bolgherese e le Colline Metallifere ad est. Questo corridoio è teatro di correnti d’aria che si generano tra le valli del fiume Cecina a nord e del torrente Cornia a Sud e si muovono in condizioni ottimali per la coltura della vite: mai troppo fredde, grazie alla protezione della barriera collinare, e mai troppo calde, grazie alla vicinanza del mare. Le perturbazioni sono tenute lontane e questo areale si presenta come una zona particolarmente calda e asciutta, con correnti fresche notturne, picchi di piogge in aprile ed ottobre, escursioni termiche ad agosto e settembre che provocano maturazioni lente e regolari di tutte le componenti qualitative dell’uva. La presenza costante di venti, che qui soffiano almeno 250 giorni l’anno, è molto importante per la salute delle viti perché limita la presenza di umidità che può essere causa di diverse malattie. Il microclima di Bolgheri beneficia anche di una forte luminosità: oltre quella diretta del sole si ha un effetto importante di riflessione da parte dello specchio di mare su cui si affaccia.
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Bolgheri and Castagneto vineyard and Elba island on background. Maremma Tuscany, Italy, Europe.

Storia e viticoltura

Bolgheri ha una tradizione enologica di eccellenza relativamente giovane, nonostante sia stata una delle prime aree in Europa in cui fu introdotta la vite ad opera degli Etruschi che, nel XII secolo a.C., si insediarono nelle zone collinari. Le sue terre sono state per secoli destinate prevalentemente alla coltivazione di frutta e cereali, nell’ambito di un’agricoltura di sussistenza. Quelli vitivinicoli sono stati esperimenti che non hanno lasciato il segno nell’antichità, né Plinio né Columella, infatti, indicano queste zone e la relativa produzione come degne di nota. Le pianure litorali sono state a lungo terre paludose e gli insediamenti che si sono succeduti nel corso dei secoli, anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, come quello dei Longobardi risalente al VI secolo, hanno sempre interessato le aree alle pendici dei rilievi, strategiche in ottica difensiva dal momento che Bolgheri, trovandosi sulla costa, era spesso soggetta ad incursioni. Proprio tra i primi Longobardi che si insediarono tra il VI e l’VIII secolo nacque Walfredo, il capostipite della Famiglia della Gherardesca, alle cui vicende, a partire dal Medioevo, si legherà il destino, anche enologico, di queste terre. Le attività agricole sotto i signori feudali, si limitavano all’allevamento del bestiame, allo sfruttamento dei boschi e alla coltura del grano. I vigneti, a causa dell’ostilità dei suoli, erano pochi, coltivati intorno ai villaggi, e i vini che si producevano erano destinati al consumo locale.  width= Solo quando, nella seconda metà del XVIII secolo, furono bonificate le paludi la viticoltura ebbe un nuovo corso: la maggior parte dei terreni fu destinata alla coltura promiscua di olivi e a vigneti di sangiovese e trebbiano. Nei primi decenni del XIX secolo Guido Alberto della Gherardesca diede un primo forte impulso allo sviluppo del territorio. Fu sua l’idea di dar vita al famoso Viale dei Cipressi, la celebre strada alberata, immortalata nei suoi versi da Giosuè Carducci, che congiunge Bolgheri a San Guido. I primi esemplari vennero trasportati con una piccola nave fino a San Vincenzo, successivamente ne arrivarono anche da Firenze, Pisa e Ripafratta e si allestirono piccoli vivai locali per poter far crescere anno dopo anno il numero degli cipressi impiegati, di cui oggi se ne contano ben 2.540, per un percorso di quasi 5.000 chilometri. Guido Alberto si propose di sperimentare anche sistemi di allevamento e tecniche di vinificazione moderne. I suoi enologi effettuarono una sorta di prima zonazione, individuando i terreni più adatti alla viticoltura, e iniziarono a piantare varietà non autoctone come cabernet, syrah e gamay, ispirandosi alla tradizione francese. Uno sforzo che però non fu perpetrato dai suoi discendenti e venne in qualche modo azzerato dall’avvento delle malattie arrivate dall’America, in particolare la fillossera. La viticoltura restò così ancora per molto tempo marginale nell’economia agricola del comprensorio bolgherese, e i vini continuarono ad essere di scarsa qualità. Anche il paesaggio era ancora lontano da raggiungere l’attuale configurazione: vi erano da un lato tante piccole vigne destinate alla produzione per consumi familiari, dall’altra poche grandi vigne facenti parte di fattorie storiche del territorio e non rappresentavano le coltivazioni principali in termini di estensione. Nella descrizione del censimento agricolo del 1929 della provincia di Livorno con riferimento a Castagneto Carducci è segnalata la presenza di 831 ettari di vigneti, di cui solamente il 38% in cultura specializzata, contro i 1.239 ettari di oliveti, mentre il restante territorio risultava destinato a seminativi (3.478 ettari) e al bosco (6.574 ettari).
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Bolgheri famous cypresses trees straight boulevard landscape. Maremma landmark, Tuscany, Italy, Europe.

Dal mito del Sassicaia al modello Bolgheri

Proprio nel 1930 due matrimoni segnano il destino del territorio: quello del Marchese Mario Incisa della Rocchetta con la Contessa Clarice della Gherardesca, e quello della sorella di Clarice, Carlotta, con il Marchese Niccolò Antinori. Saranno queste due famiglie a dividersi la più grande tenuta di Bolgheri. Mario Incisa, di origini piemontesi, noto per essere appassionato tanto di cavalli quanto di vini francesi, commissionò nel 1944 degli studi sul territorio. Grazie al suo background formativo compiutosi frequentando la facoltà di agraria di Pisa, intuì che esistevano delle similitudini tra le sue tenute e il terroir di Bordeaux, sia da un punto di vista climatico che della composizione dei suoli. Fece così impiantare viti di cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot che riteneva adatti a quelle terre argillose e ciottolose non troppo distanti dal mare: il suo sogno era quello di creare un vino unico, irripetibile, riconosciuto in tutto il mondo, come il suo Ribot, l’altro talento di famiglia, il purosangue entrato nella storia dell’ippica vincendo 16 gran premi e ritirandosi imbattuto. Ma il progetto di Tenuta San Guido non era apprezzato dal mondo viticolo locale, erano criticate le basse rese e la grande componente tannica alla quale non si era abituati. Solo dopo più di due decenni di lavoro costante, all’inizio degli anni settanta, il Sassicaia, il vino con l’inconfondibile etichetta disegnata personalmente dal marchese, che prendeva il nome dai ciottoli del suolo in cui le viti affondavano le radici, realizzato grazie all’impegno di un grande enologo, Giacomo Tachis, iniziò a vedere crescere il consenso degli appassionati. Primo fra tutti Luigi Veronelli, che lo lanciò sul mercato italiano cui fecero eco i mercati internazionali, fino alla consacrazione nel 1985 con i 100 punti assegnati per la prima volta da Robert Parker ad un vino del Belpaese. Da quel momento, e in poco tempo, la zona di Bolgheri e Castagneto Carducci diventò il centro di un’attività enologica di profilo elevato. Si aggiunsero sul mercato nuovi grandi etichette di quelli che saranno definiti Super Tuscans, prodotti iconici di successo nonostante la legislazione per molti anni non abbia saputo garantirne la tutela, facendoli immettere sul mercato come semplici vini da tavola. A fare la differenza sono stati gli uomini, grandi appassionati e brillanti investitori, con il loro bagaglio di culture ed esperienze, che hanno saputo riconoscere l’eccezionalità di questo territorio pur non essendone figli (la famiglia Incisa e Angelo Gaja hanno origini piemontesi, gli Antinori sono fiorentini, Michele Satta è lombardo e Meletti Cavallari bergamasco) riuscendo ad interpretarlo al meglio. Il tutto nell’ambito di in un processo evolutivo probabilmente ancora in corso che oggi ha raggiunto un suo equilibrio anche grazie al blocco dei diritti di impianto: dal 2013 non è più possibile infatti ampliare le superfici vitate e gli oliveti storici non possono più essere espiantati, da qui le quotazioni alle stelle per chi volesse entrare in un mercato che definire elitario è riduttivo. In questo nuovo assetto paesaggistico e colturale realizzatosi in soli 50 anni, il vigneto è divenuto elemento centrale e dal dopoguerra ad oggi gli ettari vitati in coltura specializzata sono arrivati a 1250, pari al 19% della superficie agraria. Si è compiuto così il destino di una terra vocata all’eccellenza enologica dove suoli, clima, viti, intuizioni, sogni e umane ambizioni si sono mescolati per dar vita ad un mito chiamato Bolgheri.  width= [contact-form-7 id="1103" title="Form Articoli"]
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