Le Marche vitivinicole: terra di mezzo patria del Verdicchio
Le Marche son una regione dalla antica tradizione vitivinicola che si è sviluppata nel corso dei secoli mettendo al centro la valorizzazione degli autoctoni, primo fra tutti il Verdicchio
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Nel mezzo della nostra penisola, tra le montagne e il mare, sorge una regione bella quanto insolita per la sua eterogeneità, un grande quadrilatero che si estende dal crinale appenninico all'Adriatico, tra le valli dei fiumi Marecchia e Tronto.
Con montagne dalle forme sinuose, falesie e grotte che si alternano a spiagge suggestive, passando per le colline che si fanno teatro di testimonianze storiche e di una tradizione vitivinicola di antichissime origini, le Marche, terre di borghi medioevali e città d’arte intrise di cultura, che hanno dato i natali a personaggi come Raffaello, Rossini, e Leopardi, sono un coacervo di tradizioni mediterranee.
La prevalenza di piccoli centri e l’assenza di grandi realtà urbane, il secolare lavoro di gestione e sistemazione dei suoli, necessario per mettere a coltura i pendii collinari, fanno sì che il paesaggio marchigiano, anche se intensamente antropizzato, abbia conservato nel tempo quell'armonia che riecheggia nei versi del sommo poeta di Recanati.
Gli scenari naturali, dominati soprattutto in collina da poggi coltivati, testimoniano come la viticoltura sia una pratica diffusa da molti secoli.
Le caratteristiche dei suoli unitamente alle condizioni pedoclimatiche rendono alcune zone fortemente vocate, come testimonia la diffusione di numerosi vitigni autoctoni che rappresentano vere e proprie eccellenze: dal Verdicchio, alla Ribona, e al Bianchello di Metauro, alla Lacrima di Morro d’Alba e alla Vernaccia Nera di Serrapetrona.
Suoli e clima
Da un punto di vista geomorfologico la regione è costituita per i due terzi da zone collinari cui fa da contraltare la parte montuosa, dove spiccano i monti Sibillini. A caratterizzare il territorio dal punto di vista geologico sono formazioni sedimentarie costituitesi nel corso dei millenni. Nelle aree collinari, in cui si sviluppa la viticoltura grazie anche ad un’ottima permeabilità dei suoli, i sedimenti sono prevalentemente di natura calcareo argillosa, argillosa, e talvolta sabbiosa o ghiaiosa; si aggiungono sedimenti pliocenici e, in parte, pleistocenici, con i quali si chiude il ciclo sedimentario marino. Depositi continentali quaternari si sono invece aggiunti in una fase successiva al fenomeno di emersione delle terre che ha portato alla formazione degli attuali rilievi. Le Marche presentano condizioni climatiche molto variabili: nelle aree interne il clima è continentale con escursioni termiche molto più nette rispetto alla fascia costiera, inverni rigidi ed influenzati all’esposizione ai venti freddi provenienti da nord. In prossimità dell’Adriatico il clima diventa mediterraneo con estati calde e una notevole influenza dei venti provenienti da sud che possono rappresentare un elemento condizionante per la viticoltura.Storia e viticoltura
La viticoltura si intreccia alla storia della landa marchigiana fin dall’antichità, ad introdurla fra il decimo e l’ottavo secolo a.C. furono presumibilmente gli Etruschi che utilizzavano alberi ad alto fusto sui quali la pianta poteva avvilupparsi e svilupparsi, secondo la tecnica della “vite maritata”. Sono tante le testimonianze che aiutano a definire le coordinate temporali del processo di diffusione di questa pratica, la più nota è la tomba di un guerriero individuata in una villa di Matelica nel 1998 e risalente all’VIII secolo a.C. Originariamente racchiusa da un fossato circolare e probabilmente coperta da un tumulo di terra, la sepoltura ha restituito il ricco corredo del suo nobile proprietario oltre ad alcune centinaia di vinaccioli di vitis vinifera rinvenuti in un recipiente in bronzo. La antica tradizione enologica è testimoniata anche da numerosi scritti che mettono al centro dei loro racconti i vini di questo territorio. Polibio, nel ricostruire gli eventi della terza guerra punica combattuta tra Roma e la Macedonia nel 168 a.C., narra che le truppe in viaggio trovavano ristoro nel vino dei Piceni. Plinio il Vecchio nel sulla sua “Naturalis Historia” cita un nettare prodotto nella zona meridionale delle Marche bevuto dagli imperatori e noto anche allo storico spagnolo Columella. Pare che tra gli autoctoni marchigiani il Verdicchio fosse tra quelli capaci di mettere tutti d’accordo, romani e barbari: il re dei Visigoti, Alarico, quando attraversò le Marche nel 410 d.C. per assediare Roma, durante il viaggio caricò le sue bestie da soma con 40 barili di questa varietà. In epoca Medioevale furono invece i monaci delle abbazie diffuse in tutta la regione a preservare il patrimonio ampelografico di queste terre forti di editti e regole su come e cosa si dovesse piantare nei vigneti: istituirono dei comprensori agricoli affidati alla gestione di supervisori che dovevano curare la razionalizzazione della coltivazione e la selezione delle uve per la realizzazione del prodotto finale. Anche in epoca rinascimentale i vini autoctoni erano molto apprezzati, soprattutto dalla nobiltà: alla corte del duca di Urbino i vini delle Marche erano protagonisti dei banchetti e delle serate di gala cui partecipavano ambasciatori delle signorie d’Italia. Al 1579 risale il primo documento ufficiale in cui si cita l’uva Verdicchio riferita al territorio di Matelica. Dalla seconda meta del 900 è iniziato un processo di ammodernamento delle tecniche di vinificazione con un rinnovamento della qualità dei vini che ha portato in molti casi al raggiungimento dell’eccellenza anche attraverso la valorizzazione degli autoctoni, grande ricchezza di questo terroir.Il Verdicchio icona di un territorio
Uva a bacca a bianca estremamente versatile utilizzata per la produzione di vini secchi ma anche di spumanti e passiti, monopolizza la coltivazione di due zone a denominazione di origine controllata della regione, i Castelli di Jesi e Matelica, dando vita a vini che possono essere freschi e leggeri ma anche di corpo e strutturati a seconda del processo di vinificazione e affinamento scelti. Il Verdicchio è l’autoctono che ha contribuito più di ogni altro all’affermazione della tradizione vitivinicola marchigiana. A rivisitarne la storia infatti il Verdicchio non è nuovo alla ribalta delle cronache enologiche. A questo vitigno è legato un evento che si colloca intorno agli anni 50: la famiglia Angelini, proprietaria dell’azienda Fazi Battaglia, lanciò un concorso per la realizzazione di una bottiglia che ne sarebbe dovuta diventare simbolo e volano per la commercializzazione. Ben presto un architetto, Antonio Maiocchi, realizzò un prototipo a forma di anfora che ancora oggi si associa a questo vino. La scelta ricadde su una soluzione evocativa dei recipienti utilizzati dagli antichi viticoltori delle terre picene e la stessa etichetta utilizzava un font molto vicino per tratto alla scrittura dei popoli etruschi. L’operazione di comunicazione funzionò al punto che al 1970 erano state vendute un milione e mezzo di anfore di Verdicchio. Da allora la popolarità di questo autoctono ha continuato a crescere anche grazie all’impegno dei produttori che ne hanno sostenuto il percorso sia attraverso un costante miglioramento della qualità delle soluzioni produttive sia attraverso investimenti in comunicazione. Sono arrivati così significativi riconoscimenti anche a livello internazionale. L’ultimo in ordine temporale risale allo scorso anno, quando la rivista Wine Enthusiast lo ha premiato come miglior vino bianco al mondo. Un percorso destinato a non arrestarsi e a rendere sempre più riconoscibile la qualità dei vini di una terra vocata da sempre alla viticoltura.
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