“Il servizio di Report sul mondo del vino italiano? Solo chiacchiere da bar” Intervista a Francesco Martusciello
In questa intervista l'imprenditore ed esperto di vino Federico Martusciello ha commentato l'inchista che Report ha dedicato al mondo del vino italiano
Il servizio di Report sta facendo discutere dentro e fuori il mondo del vino e divide gli stessi addetti ai lavori tra chi sostiene che non abbia aggiunto nulla di nuovo al dibattito e chi ritiene che abbia arrecato un grande danno di immagine, minando la fiducia dei consumatori. Ne abbiamo parlato con Francesco Martusciello, laureato in Chimica alla Federico II di Napoli, iscritto all’Associazione Enologi Italiani, imprenditore con lunga esperienza nel mondo del vino e relatore nei corsi dell’Associazione Italiana Sommelier.
Prima di entrare nel merito dell’intervista ci racconta il suo personale legame con il mondo del vino, l’enologia e la chimica?
Di fatto nel mondo del vino ci sono nato, mio padre aveva un’azienda che commercializzava vino sfuso. Nel 1991 ho fatto nascere con la mia famiglia la cantina Grotta del Sole, per vent’anni mi sono occupato e ho gestito l’azienda seguendone la produzione e la crescita, nel 2014 ho interrotto il mio impegno diretto in questo settore che, potrà immaginare, conosco molto bene, così come non sono nuovo alle questioni sugli interventi in cantina, un tema che fino agli anni ’80 era ancora più dibattuto. Nell’86, quando ci fu il famoso scandalo del metanolo, ero abbastanza grande per ricordare tutte le vicissitudini che ne seguirono.
Qual è la sua opinione sul reportage che Report ha dedicato al mondo del vino italiano?
Credo che questo tipo di servizi non sia utile, perché è il metodo utilizzato che non funziona, discorso che vale non solo per il vino, visto che è stato già messo in atto anche per la pizza, l’olio, il caffè. Conoscendo molto da vicino il settore agroalimentare posso dire che se hai competenza sugli argomenti di cui parlano non puoi non notare che i giornalisti di Report lavorano con uno scopo preciso, creare lo scandalo. Nel caso specifico l’obiettivo narrativo della trasmissione è stato screditare un intero mondo, parlando male di produttori di uva, produttori di vino, fornitori di coadiuvanti, addirittura dei controllori. La tesi è che un intero mondo è malato ma questo non è accettabile, non si può ridurre una realtà così complessa e così importante ad una tesi così semplicistica.
In un’intervista che è seguita alla trasmissione Ranucci ha puntato il dito anche sulla categoria dei sommelier. Non si salverebbe proprio nessuno quindi?
L’attacco è a tuttotondo, su tutte le professionalità, la tesi è che il sistema vino è marcio. L’obiettivo? Poter dire, tra qualche mese, tra qualche tempo, che se c’è stato un qualunque miglioramento nel settore è anche merito loro. D’altronde è esattamente quello che hanno fatto con il mondo della pizza.
Secondo lei quali sono gli effetti di una comunicazione di questo tipo sul pubblico?
Si crea sicuramente una grande confusione. Nel servizio si mischiano piani che andrebbero tenuti ben distinti, si parla di tutto, dalla sofisticazione e frodi, agli ingredienti e coadiuvanti, collusione dei controlli, etichettatura, e in più si intervistano due persone, un sedicente esperto (come se bastasse scrivere nel sottopancia esperto nonostante poi le inesattezze del suo intervento), e il suo contraltare che sarebbe Frescobaldi, imprenditore serissimo la cui intervista è stata evidentemente tagliata e montata a uso e consumo della redazione, cosa che accadde anche in passato con Michel Rolland. Tutto questo non serve assolutamente ai consumatori per chiarire temi che invece varrebbe la pena di approfondire.
Tra l’altro sul tema della trasparenza l’inchiesta di Report arriva un po’ lunga, la Comunità europea si è mossa già da tempo e l’8 dicembre sono entrate in vigore le nuove norme sull’etichettatura…
Nel servizio non si parla assolutamente delle nuove norme in materia di etichettatura che invece rappresentano un tema su cui ragionare, un passo importantissimo per il mondo del vino, per i consumatori e per l’agroalimentare in generale.
Il regolamento dell’Unione Europea in materia è del 2021, quindi non è possibile fare un servizio in cui non vi si faccia riferimento. Certo con la nuova etichettatura non si è obbligati a dichiarare qualunque cosa, ma non si può omettere che sia un primo passo fondamentale e sarà un’occasione colta da molti produttori per dichiarare più di quanto la legge richieda perché evidentemente se hanno costruito la propria reputazione sulla trasparenza e autenticità non avranno difficoltà, anzi avranno tutto l’interesse, a raccontare passaggi, processi e ingredienti utilizzati.
In trasmissione sull’etichettatura si fa un solo passaggio, anche abbastanza ridicolo: hanno scoperto che ci sarebbe una differenza tra le diciture “imbottigliato” e “imbottigliato all’origine”, come se questo significasse chissà che cosa.
Cioè hanno scoperto che se io sono produttore anche delle uve posso scrivere in bottiglia “imbottigliato all’origine” invece se c’è scritto solo “imbottigliato” in teoria potrei aver comprato dell’uva o del vino. Domanda: e quindi? Il fatto che io abbia comprato dell’uva o del vino e lo abbia imbottigliato è una pratica normale, porta nocumento a qualcuno? Mica chi produce abbigliamento sartoriale produce anche i tessuti!
I francesi nella Champagne fanno la stessa distinzione. Quando si compra una bottiglia di champagne in etichetta si possono trovare due diciture: “recoltant manipulant” oppure “negociant”, i primi producono champagne dalle proprie uve, i secondi con uve che vengono acquistate da terzi. E quindi? Non è questo che porta danni al consumatore, perché dunque creare questa confusione? Non è una informazione correlabile alla cattiva qualità oppure automaticamente a un danno per il consumatore ma nel reportage viene raccontato come riconducibile ad un illecito, ad una frode, ad una cattiva pratica quando così non è.
Quindi tanta approssimazione e molte inesattezze, tra queste quale l’ha colpita di più?
Si è parlato dell’uso del Mosto Concentrato Rettificato (MCR) presentandolo come una pratica fraudolenta che chissà quale danno potrebbe comportare ma si è omesso di riportare un dettaglio fondamentale: l’MCR, che è zucchero d’uva, è normalmente utilizzato per la produzione di vini frizzanti e spumanti. La CO2 di frizzanti e spumanti è ottenuta per un’aggiunta di zucchero al vino. Questa pratica ovviamente è regolamentata per legge, cioè il produttore può utilizzare o MCR o zucchero, deve ovviamente comprarlo con fattura, dichiararlo sui registri, informare la repressione frodi avvertendo che si sta per fare una operazione di spumantizzazione, insomma c’è tutto un iter, ma il principio di fondo è che l’MCR è un ingrediente normale per la produzione di spumanti, che lo presentino come un ingrediente fraudolento è sbagliato e fuorviante. È previsto nelle annate sfortunate, previa autorizzazione della Regione, per evitare una gradazione alcolica troppo bassa. Bene, allora il tema è semplicemente indicarlo in etichetta, perché magari è giusto che il vino venduto non venga spacciato come vino di alta qualità, perché è stato aiutato durante la produzione, ma è una questione di trasparenza, evidentemente, quindi di comunicazione, di marketing, di commercializzazione, di prezzo. Il tema è “scriviamolo in etichetta”, tutti gli altri allarmismi sono fuorvianti.
Il sedicente esperto intervistato parla anche di aromi artificiali, di “lieviti alla frutta”, un’iperbole che capiscono solo gli addetti ai lavori, fuorviante per gli altri. Esistono lieviti che favoriscono la formazione di alcuni esteri o altre sostanze che incidono sulle caratteristiche olfattive, ma definirli “lieviti alla frutta” è ridicolo. Per di più anche l’aggiunta di lieviti selezionati è una pratica legale, consentita e normale. L’aggiunta di aromi artificiali e di enocianina, il colorante che citano, quella invece è assolutamente una sofisticazione, ma per quante ne ho viste io in quarant’anni è una frode talmente marginale da risultare insignificante per il settore, non è un’argomentazione sensata. C’è qualcuno che lo usa? Trovatelo e denunciatelo, ma non si può far leva su questo argomento come se si trattasse di una pratica diffusa, al fine di screditare il mondo del vino nella sua totalità.
Questo tipo di servizi che dovrebbero tutelare i consumatori finali non finiscono per danneggiare quella gran parte del tessuto produttivo vitivinicolo italiano che svolge con responsabilità e sacrificio il suo lavoro? Chi tutela o dovrebbe tutelare queste realtà, nella maggior parte dei casi aziende a conduzione familiare, da questi attacchi e come?
Le associazioni di categoria dovrebbero lavorare molto di più in comunicazione per favorire la trasparenza e fare chiarezza su molti aspetti del mondo del vino. Invece che lasciar correre, andrebbero affrontate con coraggio le questioni sollevate, anche quelle più spinose, e cominciare una campagna di informazione che non dia agio a programmi come Report di pronunciarsi con tanta approssimazione.
Credo che questa sia la strada, considerato che gli attacchi al mondo del vino sono trasversali, dal tema alcol che non si può derubricare ma va invece scandagliato, a quello dell’etichettatura, come abbiamo detto, e probabilmente c’è anche il tema degli ingredienti e delle tecniche di processo, nella produzione di vino convenzionale forse andrebbe affrontato. E ancora, sulla questione denominazioni di origine: siamo certi che tutte contengono quello che dichiarano? Questo sarebbe un dibattito che avrebbe senso aprire con serietà, partendo però da casi veri, specifici e riscontrati, non da illazioni. Nella trasmissione si è detto “Si sa che tutto il vino pugliese finisce in Toscana o in Veneto” Ma tutto il vino di chi? Non si possono screditare regioni che rappresentano un pilastro della produzione del mondo enoico italiano come se si stessero facendo chiacchiere da bar. Il tema esiste ma parliamo di casi concreti e, soprattutto, con serietà.
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