Produzione mondiale di vino in forte calo: l’Italia divisa in due
Le stime dell'Oiv rilevano un significativo calo della produzione di vino a livello globale, un trend accelerato e sostenuto dal cambiamento climatico
Le stime dell'OIV - Organizzazione internazionale della vigna e del vino parlano chiaro: dopo quattro anni di relativa stabilità dei volumi l’annata 2023 potrebbe passare agli annali come la più leggera dal 1961.
Le proiezioni dell’OIV, escludendo succhi e mosti d’uva, attesterebbero il dato globale sui 244,1 milioni di ettolitri registrando un -7% rispetto allo scorso anno, una battuta d’arresto significativa, inserita in un trend di ridimensionamento che parte dal lontano 2000 ma con una accelerazione recente non prevista. Il dato emerge da una analisi delle informazioni raccolte in 29 paesi che rappresentano il 94% della produzione mondiale nel 2022.
Non accadeva da 60 anni che i volumi calassero in modo così netto, colpa di una annata disastrosa da un punto di vista climatico che ha messo in ginocchio i viticoltori di tutto il mondo dall’Argentina (-23%) al Cile (-20%), dall’Australia (-24%) al Sud Africa (-23%) e con i soli Stati Uniti in controtendenza (+12%).
Ad essere penalizzato è stato soprattutto il Vecchio Continente, con una produzione della Unione Europea che si fermerebbe ai 150 milioni di ettolitri, in particolare a causa della contrazione registrata in Italia (-7%) e in Spagna (-12%). Siccità e alluvioni, grandine e gelate, per non parlare delle problematiche fitosanitarie, hanno contribuito a ridefinire una classifica che dopo 9 anni di primato nostrano vede in testa la Francia per volumi.
Ma se è ormai pacifico che il podio delle quantità è sempre meno ambito in considerazione del trend dei consumi, anch’esso significativamente in terreno negativo tanto da far richiedere ormai a gran voce il ricorso a provvedimenti speciali che vanno dalla distillazione di emergenza all’espianto dei vigneti, meno rassicurante è l’effetto del climate change che sempre più divide i paesi a metà definendo velocità distinte a seconda che gli areali siano o meno strutturalmente in grado di fronteggiarne gli effetti e soprattutto in virtù delle scelte di conduzione agronomica che inevitabilmente espongono più o meno le imprese vitivinicole rispetto al dilagare delle emergenze fitosanitarie.
Il nostro Paese ne è un esempio lampante con il Nord che è riuscito a confermare nel 2023, i livelli dello scorso anno (+0.8%), mentre al Centro, al Sud e nelle Isole, soprattutto sulla dorsale Adriatica (Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Basilicata) ma anche in Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna si sono registrate flessioni rispettivamente attorno al 20% e 30%.
Se in Italia settentrionale è stata la grandine a causare i maggiori danni tra i vigneti, al centro e al sud protagonista è stata la peronospora, la malattia crittogamica più grave della vite, in grado di attaccare tutti gli organi verdi della pianta, principalmente le foglie, i germogli e i grappoli, causando ingenti danni se non gestita correttamente. Le incessanti e prolungate piogge di tarda primavera dopo due anni di assenza causa siccità hanno favorito il proliferare del fungo con effetti di natura vegetativa e produttiva.
Ad essere maggiormente colpita, in generale, è stata la viticultura biologica messa a dura prova dalla combinazione di piogge torrenziali, frane e altri eventi climatici estremi e che, in alcune aree, risulta fortemente compromessa con viticoltori costretti a rinunciare all’intero raccolto.
Uno scenario che vede tra le principali sfide future per il mondo del vino proprio quelle legate all’evoluzione delle temperature e delle precipitazioni delle prossime annate. L’incertezza climatica resta un elemento chiave che influenzerà la scelta del momento giusto per la raccolta e la lavorazione delle uve e che rende sempre più urgente l’accelerazione del processo di ricerca, innovazione e sperimentazione in campo.
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