La Calabria terra del vino, tra storia e innovazione enologica
Nonostante la sua antica e nobile tradizione enologica la Calabria ha conosciuto anni di abbandono dei vigneti e un drastico calo delle produzioni. Nell’ultimo decennio i produttori hanno innescato un’inversione di tendenza puntando sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni.
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Estremità della penisola italiana protesa verso la Sicilia, allungata fra il Mar Tirreno e lo Ionio attraverso i suoi 780 chilometri di coste e un territorio per metà montuoso e per l’altro collinare, la Calabria, grazie alla varietà geomorfologica e climatica, era conosciuta fin dall’epoca degli antichi Greci come terra di elezione per la coltivazione della vite, e perciò definita “Enotria Tellus”, cioè “Terra del Vino”.
Realtà aspra ma al tempo stesso accogliente, con i suoi scenari dolomitici, le vette e i laghi della Sila, le coste rocciose alternate ai litorali sabbiosi impreziositi dai borghi e dagli splendidi colori del mare, la natura selvaggia e misteriosa, le fiumare, le ampie vallate e le aree archeologiche che rievocano le sue gloriose e antiche origini, questa terra vive di contraddizioni che trovano da sempre una sintesi nella bellezza dei paesaggi.
Con un clima che passa da continentale a mediterraneo dalle vigne poste a 700 metri sul livello del mare nell’entroterra a quelle esposte all’aria secca e asciutta della zona ionica e a quella più mite del litorale tirrenico, e con una composizione dei terreni stratificati misti (argilla, tufo e rocce calcaree) che varia notevolmente da un fazzoletto di terra all’altro, la Calabria vanta un patrimonio ampelografico ricchissimo con oltre 200 varietà, caratterizzato da una prevalenza delle uve a bacca rossa che vedono nel Gaglioppo il vitigno autoctono principe.
Dopo anni di abbandono dei vigneti e un drastico calo delle produzioni, rappresenta oggi una delle regioni italiane in cui con maggior slancio la viticoltura vive una stagione di rinascita, forte di una antica tradizione e di grandi potenzialità ancora inespresse.
Una coraggiosa e fervente generazione di vignaioli sta dando spazio alla ricerca sperimentale e agli investimenti, rivoluzionando il modo di raccontare e interpretare questa terra, destando curiosità e interesse tra i critici enologici.
Molti di essi hanno fatto ingresso nelle storiche aziende di famiglia portando entusiasmo e nuovi progetti che mettono al centro la valorizzazione del territorio e di autoctoni come il Gaglioppo, il Magliocco, il Greco Bianco, il Mantonico e il Pecorello. Il loro impegno spazia dall’esaltazione dei vitigni in purezza, all’orientamento al biologico, al biodinamico e al naturale, passando attraverso le sperimentazioni con vinificazione in anfora e in cemento.
Una tradizione enologica antica
Quella calabrese è una tradizione enologica che affonda le sue radici in un antico passato, quando nel VII secolo a.C. i coloni Greci si trasferirono in queste terre portando con sé la vite, dono di Dioniso, pianta sacra insieme al fico e all’ulivo, anello di congiunzione tra terra e cielo, fonte di nutrimento ma anche di piacere e ricchezza. Da Cirò dove si produceva il Krimisa, la bevanda con cui venivano premiati gli atleti vincitori delle Olimpiadi, a Sibari, il porto dal quale salpavano le navi cariche di anfore di terracotta colme di vino, dalla Valle del Savuto alla Piana di Lamezia fino a Scilla, la produzione enologica ha influenzato la storia e lo sviluppo del territorio oltre a modellarne il paesaggio. In epoca romana la viticoltura continuò a fiorire, grazie all’aiuto di schiavi greci e asiatici, e la qualità dei vini migliorò come testimonia lo sviluppo delle esportazioni che raggiunse l’apice tra il II e il I secolo d.C. Il declino dell’Impero segnò anche l’abbandono delle campagne e delle pratiche vitivinicole nella totale indifferenza dei proprietari terrieri che lasciarono un tesoro inestimabile esaurirsi in pochi decenni. Il periodo medioevale segnò una inversione di tendenza. Il vino rappresentava un elemento indispensabile per il rito cristiano e i monaci si adoperarono per recuperare la pratica della viticoltura all’interno delle mura dei conventi, dove i filari erano al riparo dalle razzie dei banditi che imperversavano nelle campagne. Bisognerà attendere l’anno mille perché la viticoltura si sviluppi al al di fuori del controllo ecclesiastico e così fu per molti secoli. I vini calabresi venivano esportati anche in Francia per dare corpo ai rossi d’Oltralpe, ma sul finire dell’Ottocento la regione fu colpita dalla fillossera, mentre nel Novecento le guerre mondiali unitamente al fenomeno dell’emigrazione delle popolazioni locali contribuirono ulteriormente alla decadenza del settore vitivinicolo. Negli ultimi decenni la coltivazione della vite ha subito un ridimensionamento sia in termini di ettari vitati che di rese, grazie ad un orientamento produttivo che predilige la qualità alla quantità e che è alla base della rinascita della viticoltura locale.Il Gaglioppo, vitigno del riscatto calabrese
Il Gaglioppo è la varietà calabrese più conosciuta nel mondo, che ha fatto da apripista per la scoperta degli altri autoctoni del territorio. Sole, terra e mare sono i fattori che contribuiscono a determinare le condizioni ideali per la sua coltivazione anche in territori sabbiosi e aridi. Il suo nome deriva dal greco e significa “bellissimo piede” dove per piede si intende il rachide e quindi per estensione l’intero grappolo di uva di Gaglioppo che da un punto di vista estetico è effettivamente bello da vedere. Sulle origini non è chiaro se i Greci abbiano trovato il Gaglioppo già in queste terre o ve lo abbiano portato; quello che è certo è che furono loro ad individuare l’area della città di Kirmisa, l’attuale Cirò, come luogo di elezione per la sua coltivazione dal momento che il vitigno predilige alte temperature e bassa umidità. Sempre i Greci diffusero la pratica della coltivazione ad alberello per proteggere i grappoli dai potenti raggi solari, e ne divennero grandi esportatori. Il vitigno a bacca nera complesso, ruvido come la sua terra, caratterizzato da una notevole resistenza alle variazioni climatiche, a tratti selvatico, difficile da domare, dà vita a vini rossi di grande struttura, con un bouquet ampio e note decisamente fruttate che si accostano a sentori speziati, ricco di acidità, polifenoli e molto povero di antociani, quindi da una colorazione non troppo intensa. L’influenza delle correnti marine con le sue note balsamiche si fa sentire nella sapidità del vino, i profumi sono fini per un vino potente ma elegante al tempo stesso, anche grazie alla natura argillosa dei suoli dove cresce la pianta. Vinificato in purezza ha il dono della longevità, è in grado cioè di dar vita a vini che possono evolvere oltre i 50 anni. Negli ultimi 30 anni grazie ad un rinascimento dell’enologia calabrese, si è recuperata tanta della tradizione relativa a questo vitigno e anche la ricerca scientifica ne ha evidenziato le peculiarità uniche e irripetibili legate al suo nobile passato. Il riconoscimento al lavoro svolto dai vignaioli per la sua valorizzazione viene dall’apprezzamento di esperti, addetti ai lavori e critici enogastronomici che possono finalmente esaltarne il tratto identitario, fortemente espressivo del suo terroir.
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