Guerra Russia Ucraina: effetti e prospettive per il mondo del vino
Per quanto ormai avvezzo ad un clima di instabilità, il comparto vitivinicolo fatica a fare i conti con la nuova crisi generata dal conflitto Russia – Ucraina ed è alla ricerca di soluzioni che possano arginare le paventate perdite.
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Gli eventi che nel corso degli ultimi tre anni hanno sconvolto i mercati ne stanno mettendo a dura prova la tenuta. Il conflitto tra Russa e Ucraina, che si innesta sulla scia dell’uragano Covid, ha avuto un effetto ancora più dirompente sul mondo del vino, già fiaccato dalla pandemia e messo sotto pressione dai rincari di energia e materie prime, i cui primi segnali avevano iniziato a farsi sentire nell’ultimo trimestre del 2021.
Per quanto ormai avvezzo ad un clima di instabilità, determinato da un’emergenza sanitaria sviluppatasi in modo isterico, con ondate più o meno prevedibili ed aspettative di ritorno alla normalità troppo spesso deluse, il comparto vitivinicolo a livello globale da un lato fatica a fare i conti con la nuova crisi, dall’altro è alla ricerca di soluzioni che possano arginare le paventate perdite.
L’Italia in particolare è tra i paesi più colpiti dalle ripercussioni della guerra, come emerso da una recente indagine di Nomisma Wine Monitor.
Nel 2021 la Russia ha infatti importato 345 milioni di euro di vini dall’Italia, suo primo fornitore, registrando un + 18% rispetto all’anno precedente, mentre il mercato ucraino, più contenuto con i suoi 56 milioni di euro, ma esponenzialmente in crescita con un +200% negli ultimi 5 anni, rappresenta uno degli obiettivi sui quali molte aziende erano impegnate ad investire prima dell’esplosione del conflitto.
Si parla di un valore aggregato di 400 milioni di euro a rischio per il Belpaese, un’esposizione molto più significativa rispetto a quella dei competitor diretti, con la Francia che potrebbe dover rinunciare a 217 milioni, cioè il 2% dell’export totale di vino, e la Spagna che potrebbe vedere andare in fumo 146 milioni di euro, cioè il 5% delle sue esportazioni enoiche, contro il 6% dell’Italia.
Alcune denominazioni sono destinate più di altre a pagare lo scotto della crisi: i consumatori russi e dell’est Europa prediligono infatti i vini frizzanti e gli spumanti dolci con prezzi competitivi, preferenze che andranno a penalizzare chi è specializzato in queste produzioni, dal Lambrusco, al Prosecco, all’’Asti spumante che, in particolare, potrebbe subire una perdita del proprio export del 25%.
Per gli altri esportatori gli impatti dovrebbero invece essere marginali, dal momento che per il Cava spagnolo o i Cremant francesi il mercato russo-ucraino rappresenta non più del 2%.
Nel mirino sono finiti anche i Fine Wines: tra le sanzioni comminate alla Russia un nuovo pacchetto prevede il divieto di spedizione verso Mosca di bottiglie di valore superiore ai 300 euro, provvedimento finalizzato a penalizzare gli oligarchi sospendendo la fornitura di vini di pregio, tra i beni di lusso preferiti.
Ad incombere c’è poi la svalutazione monetaria unitamente alla sospensione dei pagamenti da Mosca votata dall’UE. Il ridimensionamento del potere di acquisto del rublo va oltre i confini nazionali russi, interessando mercati strettamente collegati, come quello del Kazakistan, condizione che incide sulla propensione agli acquisti, al di là degli ostacoli più immediati come il blocco dei collegamenti, con i camion in coda alle frontiere. Le sanzioni alle banche russe invece, considerato il contesto in cui si inserisce, faranno venir meno anche le tutele assicurative sui pagamenti delle merci.
E nel mondo enoico, in cui si moltiplicano le iniziative di solidarietà, tra aziende che si rendono disponibili ad ospitare i profughi o che effettuano cospicue donazioni, piattaforme di e-commerce che mettono al bando la Vodka, distributori che tagliano tutti i prodotti Made in Russia nonostante rappresentino fette importanti del proprio fatturato, gli imprenditori vitivinicoli sono urgentemente alla ricerca di soluzioni per contrastare la crisi.
Guardare ad altri mercarti per sostenere le esportazioni è sicuramente tra le strade da intraprendere, soprattutto per quelle aziende che sono proiettate più sui mercati esteri che su quello domestico, e sono tante, considerato che il settore è per definizione vocato all’internazionalizzazione.
In particolare per le piccole realtà, meno avvezze alla diversificazione e che tendono a puntare e penetrare un solo mercato, è tempo di guardarsi intorno e strutturarsi per garantire una maggiore flessibilità.
Per raggiungere questi risultati c’è bisogno di essere costantemente supportati, potenziare gli strumenti a disposizione, come evidenziato in un recente confronto organizzato da Federvini in collaborazione con UPS Italia, con la partecipazione del Ministro Stefano Nicoletti e dell’Agenzia ICE.
E di possibilità a ben vedere da quanto emerso nel corso del dibattito ce ne sono: dal voucher D-TEM, che finanzia le spese sostenute per usufruire di consulenze da parte di Temporary Export Manager con competenze digitali, all’appena varato Bonus Export Digitale per la digitalizzazione e l’implementazione di e-commerce di cui potranno beneficiare 7000 microimprese su tutto il territorio italiano.
Sul versante potenziamento delle competenze si può far leva sul programma di formazione Smart Export Academy attivo fino a dicembre 2022 che prevede sei percorsi di alta formazione accademica con 5 Business School italiane, mentre su quello degli investimenti il riferimento possono essere le soluzioni di finanza agevolata disponibili grazie al fondo 394/81 e al fondo 394/PNRR.
Si tratta di rimboccarsi per l’ennesima volta le maniche cogliendo le opportunità che offre il Sistema Paese a supporto delle aziende, e prepararsi ad attraversare l’ennesima turbolenza della quale non è dato ancora conoscere né la durata né gli effetti, dal momento che lo scenario bellico non lascia intravedere, almeno ad oggi, spiragli di pace.
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