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La ricerca dei bicchieri davino da degustazione si è diffusa negli ultimi cinquant’anni non solo tra i professionisti del mondo enoico ma anche tra gli appassionati, quei winelovers che in alcuni casi oltre a bottiglie eccellenti hanno iniziato a collezionare calici che ne assicurino la piena esaltazione in termini di percezione gustativa e olfattiva.
Se guardiamo al passato il bicchiere da vino, al di là della mera funzione d’uso, è sempre stato visto prevalentemente come oggetto dalla valenza estetica, capace o meno di nobilitare una tavola o un banchetto.
Nella sua scelta si veniva guidati dal gusto, da un certo ideale di raffinatezza ed eleganza del quale si ricercavano le migliori espressioni, tutto questo indipendentemente da forma e materiali, si trattasse di ciotole di legno, ceramica o terracotta dell’antichità, di calici in metallo più o meno pregiato o vetro, per arrivare nel XVIII secolo ai primi bicchieri di cristallo.
Non mancavano eccezioni di appassionati dal palato raffinato, nobili come plebei, che già a partire dall’epoca romana richiedevano bicchieri più grandi o più piccoli per poter godere al meglio delle caratteristiche del nettare caro agli dei, ma si trattava comunque di aspetti ed esigenze considerate marginali nella produzione.
Primi tentativi di differenziare le tipologie di bicchieri risalgono al 1700, quando comparvero i flutes per lo Champagne.
Ma la vera rivoluzione, che ha spostato l’accento dall’estetica alla valenza in termini di esaltazione delle percezioni sensoriali, è relativamente recente, risalendo all’inizio degli anni Settanta, quando furono introdotti sul mercato da Claus Riedel i primi calici studiati con questa finalità, bicchieri dalla forma minimalista, semplice, in vetro liscio e sottile e con uno stelo lungo.
L’evoluzione nel giro di pochi decenni ha subito una forte accelerazione, grazie alla presenza di numerosi player sul mercato che hanno spinto anche nella diffusione di una nuova cultura della degustazione.
Il bicchiere può fare veramente la differenza, come un abito sartoriale, esaltando corpo e anima di un vino con forme, materiali, taglio e design, tutti studiati tenendo conto delle leggi della fisica come delle tendenze, cioè senza rinunciare all’estetica ma ponendola in modo scientifico al servizio della migliore esperienza degustativa.
Gli elementi che fanno la differenza in un calice
Il materiale di cui è fatto il calice è molto importante per una degustazione ottimale: bicchieri di vetro doppi con un bordo arrotolato interrompono il regolare flusso del vino sulla lingua. Per questo quelli di cristallo sono considerati i migliori, estremamente sottili favoriscono la percezione di sentori più intensi e permettono anche di apprezzare al massimo il colore del vino. Sono senza dubbio anche più fragili ma questo punto debole è ampiamente compensato dagli altri punti di forza.
Anche la forma del bicchiere, la sua architettura, ha molte implicazioni: cambia il modo in cui le molecole aromatiche arrivano al nostro naso in termini qualitativi e quantitativi, incide sulla quantità d’aria che entra in contatto con il suo contenuto.
Bicchieri con l’apertura più stretta concentrano i profumi e aiutano a mantenere la temperatura di servizio a differenza di quelli con una pancia ampia che però favoriscono l’ossigenazione: per questo i primi sono più adatti ai vini bianchi, i secondi ai rossi.
La forma direziona anche il flusso del vino nella nostra bocca andando a definire qual è la zona della lingua che per prima entrerà in contatto con il vino: la punta, sede della percezione della dolcezza, i lati sede della percezione di acidità e sapidità, o la zona retro linguale, deputata alla percezione dell’amaro e dell’astringenza.
Infine la lunghezza dello stelo, obbligandoci ad inclinare più o meno la testa, produce lo stesso effetto incidendo sulla zona di primo impatto del vino, in più ne facilita l’analisi visiva, lo protegge da calore e odori e facilita il movimento rotatorio.
Un bicchiere per ogni vitigno
Se è vero che la forma del calice, direzionando il flusso del suo contenuto, può incidere sulla nostra lettura delle caratteristiche di un vino, individuato questo potenziale, per ogni vitigno è possibile disegnare un bicchiere diverso, realizzato per svolgere una funzione di “ambasciatore e messaggero” della sua identità.
Si parte dal DNA della varietà, lo si studia e si crea la forma migliore per interpretarne la personalità, per comunicarlo, andando ad incidere sul percorso delle percezioni olfattive e degustative.
La realizzazione di questi prodotti è un’opera ingegneristica che si base su leggi della fisica ed esperimenti scientifici, avviene sulla base di studi meticolosi che coinvolgono esperti ma anche gli stessi produttori, che attraverso una serie di assaggi e di confronti contribuiscono alla creazione del prototipo finale.
È questa la dimensione su cui si spinge ormai la produzione più elitaria, considerando che ogni tipologia di uva ha le sue caratteristiche, profumo, consistenza che chiedono di essere rappresentate anche in virtù dell’invecchiamento e della presenza di tannini.
Una utilità più o meno marginale
Ci sono degli aspetti della degustazione che sono oggettivamente condizionati dalle caratteristiche del bicchiere ma i punti di vista sull’effettiva utilità di collezioni sofisticate di calici sono ancora divergenti.
Non tutti ritengono che sia necessario collezionare cristalli costosissimi, dal momento che un bicchiere diverso per ogni vitigno può sì aumentare il potenziale piacere, ma in fin dei conti in modo marginale.
Per non parlare poi della difficoltà in termini di gestione degli spazi per la loro collocazione e sistemazione. Per alcuni la soluzione del bicchiere da degustazione universale ha più senso sia da un punto di vista economico che pratico.
Esiste una via di mezzo tra le due posizioni? Probabilmente si, ed è quella che vede in alcuni vitigni come il pinot nero o per bottiglie eccezionali per provenienza, rarità e maturità, l’opportunità di disporre del miglior calice adatto per nobilitarne la degustazione.
Per chi ha la possibilità di bere bottiglie di gran pregio, dato anche il potere di spesa, il peso di quella utilità marginale risulterebbe ampiamente giustificato: sarebbe un vero peccato stappare un Romanée Conti Grand Cru senza potergli offrire il giusto palcoscenico per raccontarsi ed esprimersi al meglio, e in questi casi, più che mai, quella di collezionare calici di eccellenza non si presenterebbe come una scelta poi così opinabile.
Photo Credits: https://www.riedel.com/it-it
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