Anno nuovo, etichette nuove: la maggiore trasparenza inciderà sui consumi di vino?
L’UE si prepara ad accogliere il nuovo sistema di etichettatura del vino improntato ad una maggiore trasparenza non senza preoccupazioni su quanto ciò possa incidere sui consumatori. Uno studio del Wine Market Council viene in aiuto con risultati per certi versi inaspettati.
Dal prossimo anno le bottiglie di vino vendute nei paesi dell’Unione Europea dovranno raccontare qualcosa in più ai consumatori su ingredienti, valori nutrizionali, identificazione, classificazione degli imballaggi e relative modalità di smaltimento, un percorso verso la trasparenza che non potrà esaurirsi direttamente in etichetta dal momento che molte delle risposte in termini informativi arriveranno attraverso il web.
A partire dall’8 dicembre 2023 sarà infatti obbligatoria l’indicazione “on label” del solo valore energetico, unitamente agli allergeni e loro derivati, tutto il resto potrà essere comunicato “in formato elettronico”, ovvero attraverso pagine web raggiunte grazie all’impiego di QR Code inseriti in etichetta. I vini prodotti ed etichettati prima di tale data potranno continuare ad essere immessi sul mercato fino ad esaurimento scorte. In particolare per i dettagli relativi agli imballaggi la decorrenza delle nuove disposizioni è fissata al 1° gennaio 2023.
L’obbligo, rispetto al quale dovranno allinearsi anche i produttori dei Paesi Terzi esportatori nel mercato comunitario, ha diviso il mondo enoico tra sostenitori e oppositori.
Sostenitori e oppositori della trasparenza in etichetta
Chi ha spinto fin dal principio l’idea di accrescere il livello di trasparenza anche per le etichette del vino parte dal presupposto che il settore ne beneficerà, dal momento che soprattutto i produttori con un approccio più “industriale” sarebbero costretti a venire allo scoperto indicando tutti i correttivi impiegati nel processo produttivo. Si tratta soprattutto dei produttori dei cosiddetti “vini naturali”, alcuni dei quali probabilmente anche convinti che un maggior flusso di informazioni verso il consumatore possa tradursi in un vantaggio competitivo. Gli oppositori, soprattutto tra i piccoli produttori, hanno invece osteggiato la disposizione considerandola un ostacolo, un inutile aggravio sia in termini di tempo che di costi, partendo dall’assunto che il vino non avrebbe una ricetta standard, che la sua composizione varierebbe di anno in anno in base alla stagione e alle condizioni fitosanitarie dell'uva, e che le aziende vitivinicole potrebbero essere costrette a farsi carico dei costi per far analizzare il vino ad ogni nuova vendemmia, oltre a quelli per cambiare, se necessario, anche l'etichetta. A ciò si aggiungerebbe il rischio di una conseguente contrazione dei consumi in generale, determinata dalla possibile confusione che si potrebbe ingenerare nell’entrare nel dettaglio di componenti che intervengono nel processo produttivo.Trasparenza in etichetta: opportunità o minaccia? Lo studio del Wine Market Council
Su quest’ultimo punto arrivano però notizie confortanti da uno studio effettuato negli Stati Uniti, paese che anche in qualità di esportatore è stato spinto ad una riflessione sul tema e che molto probabilmente seguirà in tempi relativamente brevi l’impostazione della Comunità Europea anche per la regolamentazione del mercato interno. La ricerca in questione è stata condotta dal Wine Market Council su un campione di 1000 persone appartenenti a tre distinte fasce anagrafiche equamente distribuite (21 - 39 anni, 40 - 59, dai 60 anni in su), divise tra bevitori base e moderati, (cioè tra chi rispettivamente beve vino più di una volta a settimana e chi meno di una volta) la metà dei quali laureati e di cui il 60% rappresentato da donne. Lo studio si è focalizzato su una serie di aspetti tra loro complementari:- definire in che misura i consumatori affermano che i loro acquisti sono influenzati dagli ingredienti o dal valore nutrizionale del vino rispetto a una varietà di altri prodotti;
- indagare le percezioni su numero e tipo di ingredienti del vino e le reazioni alla presentazione dell’elenco delle relative componenti tipiche del vino;
- valutare il livello di interesse e conoscenza sugli ingredienti del vino e sugli standard di etichettatura,
- valutare i preconcetti sul contenuto nutrizionale del vino.
I risultati dello studio e le prospettive
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un’opinione positiva, negativa o neutra sugli elementi elencati su due etichette a confronto, riportanti valori ipotetici, la prima recante tre sole diciture “uva, lievito, anidride solforosa”, la seconda otto e cioè “uva, concentrato d’uva, anidride solforosa, acido tartarico, tannini di quercia, pectinasi, lievito e coltura di batteri malolattici.” Dall’indagine è emerso che solo il 13% del campione ha considerato i “tannini di quercia” come qualcosa di negativo mentre la maggiore avversità (50%) è stata espressa rispetto all’anidride solforosa, considerata causa di mal di testa e in misura minore anche dei postumi di una sbornia. Il concentrato d’uva non è stato visto negativamente, mentre qualche dubbio in più riguarda l’acido tartarico e la coltura dei batteri malolattici ma comunque meno significativo di quanto si aspettassero i produttori. Ma l’aspetto più interessante è che gli intervistati sono rimasti positivamente colpiti dal basso contenuto di zuccheri nel vino, considerato che nel raccontare le proprie aspettative e percezioni il 47% ha dichiarato che ne sarebbe molto ricco rispetto al 36% di Hard Seltzer e solo al 18% della Birra. Quella che sembra essere una più che felice rivelazione per i consumatori potrebbe trasformarsi in una motivazione forte per il settore vitivinicolo statunitense per sostenere e non avversare, come sta accadendo, le nuove policy in termini di etichettatura e potrebbe essere un’anticipazione di quanto potrebbe avvenire in Europa nei prossimi mesi. Una convinzione errata da sfatare potrebbe avvicinare ed accrescere i consumi anziché determinarne una contrazione, scenario inaspettato dal quale il mondo vitivinicolo potrebbe trarre solo benefici sia in termini di consapevolezza del mercato sia di ritorno in termini di business, la trasparenza insomma potrebbe essere vista come un’opportunità più che una minaccia, nuova e potente alleata.
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