Ad Anteprima Vitigno Italia focus su Enoturismo ed Export, leve per la crescita del vino italiano
L’Italia del vino conferma numeri importanti per l’export e l’enoturismo ma i margini di crescita sono ancora significativi: è questo il messaggio emerso dalle relazioni che hanno animato il convegno di apertura a Napoli dell’Anteprima di Vitigno Italia 2023.
L’Italia del vino cresce, sia come meta enoturistica a livello nazionale ed internazionale che come paese esportatore di prodotti enologici simbolo del Made in Italy, con numeri da record che si intrecciano ma rispetto ai quali si può e si deve fare di più valorizzando le potenzialità inespresse.
È questo messaggio il filo conduttore delle relazioni che hanno animato il convegno "In & Out - Enoturismo + Export = il successo del vino italiano” con cui è stata aperta a Napoli la diciottesima edizione dell’Anteprima di Vitigno Italia 2023, manifestazione affermatasi nel corso degli anni proprio partendo dalla consapevolezza della centralità dell’attrattiva del patrimonio paesaggistico, culturale ed enogastronomico del nostro Paese.
Grazie all’attenta regia di Maurizio Teti, patron della kermesse, il dibattito sull’attuale scenario del mondo enoico ha saputo andare in profondità abbracciando le varie facce di una realtà poliedrica e complessa, con le testimonianze di Nicola D'Auria, presidente del Movimento Turismo del Vino, Leandro Sansone, responsabile Territorial Development Sud di Unicredit, Gabriella Migliore, funzionaria ICE Londra, Luciano Pignataro, ambasciatore del gusto e penna del giornalismo enogastronomico e Nicola Caputo, assessore all'Agricoltura della Regione Campania, con Giorgio Dell'Orefice de IlSole24Ore a moderare gli interventi e a porre l’accento su numeri e performance non solo dell’Italia ma anche della Campania del vino.
Tra turismo ed export una stagione da incorniciare ma con margini di miglioramento
Dal turismo si è partiti evidenziando come il superamento di vincoli e limitazioni della pandemia abbia inciso sull’andamento di una stagione che sarà molto probabilmente annoverata tra quelle da ricordare: mancano numeri ufficiali ma le stime parlano di un balzo in avanti delle presenze dai 16 milioni del 2021 ai 35 milioni del 2022. Stesso discorso per l’export del vino nostrano che ormai da un decennio viaggia su percentuali di crescita a due cifre sia a volume che a valore, con il record dello scorso anno sancito dal superamento del tetto dei 7 miliardi di fatturato. Due leve che si incrociano a supporto dello sviluppo del settore enoico e della valorizzazione dei territori perché spesso i viaggiatori che raggiungono il Belpaese scoprono areali che non conoscevano, di cui hanno sentito solo parlare, assaggiano per la prima volta vini e prodotti tipici prediligendoli come souvenir (8 turisti su 10) e una volta rientrati li ricercano e li riacquistano alimentando le esportazioni. L’enoturismo sta diventando una leva di matching, strumento per fare incontrare i turisti con i prodotti, il vino in particolare, anche grazie al grande lavoro che le cantine hanno saputo portare avanti negli ultimi trent’anni, come ha spiegato Nicola D'Auria, presidente del Movimento Turismo del Vino. “Sono stati realizzati dei veri e propri musei, le aziende sono cresciute nell’ arte dell’accoglienza e non è un caso se quest’anno la cantina premiata come più bella del mondo è italiana. Si lavora per promuovere il territorio a 360 gradi guidando il turista non solo nelle degustazioni, ma anche attraverso la scelta di itinerari per poterne apprezzare le bellezze naturali, paesaggistiche e artistico culturali.” Un lavoro importante quello del Movimento Turismo del Vino che nel 2023 raggiungerà il traguardo dei 30 anni da festeggiare con un calendario denso di attività. Ma sul fronte dell’export, nonostante i numeri e i trend più che incoraggianti, è richiesto uno sforzo maggiore da parte delle imprese, soprattutto le medie e piccole che, secondo Gabriella Migliore, funzionaria ICE Londra responsabile dell’Ufficio Brexit, dovrebbero concentrarsi in modo particolare sulle esigenze dei paesi di destinazione per poter crescere ed alimentare il business. "In questi anni abbiamo collaborato con migliaia di aziende italiane, alle quali ci sentiamo di consigliare non solo un approfondimento della conoscenza del mercato del Regno Unito, ma anche l'utilizzo di strumenti come siti in lingua inglese e ancor di più un listino dei vini in lingua e con la sterlina come riferimento".Le aziende vitivinicole di fronte a un bivio: puntare sul brand e sull’export o attrarre i clienti in azienda, senza mai perdere di vista la qualità
La pandemia ha posto le aziende vitivinicole di fronte alla necessità di accelerare cambiamenti sia nella comunicazione che nella distribuzione, lasciandosi alle spalle meccanismi collaudati per gli anni 90 ma oramai obsoleti. L’apertura a canali come quello della Grande Distribuzione, a sua volta interessata a rivedere la composizione dell’offerta a scaffale aprendola anche ai vini di fascia premium, cosi come l’interesse per il dialogo diretto con clienti e consumatori attraverso i social network, sono due esempi significativi del terremoto che ha interessato il mondo enoico. “Ogni azienda – ha spiegato Luciano Pignataro – si è poi trovata davanti a un bivio: o sviluppare il brand e indirizzarsi verso l’estero, oppure attrarre i clienti in azienda per fargli provare direttamente il proprio prodotto. Nel 1992, quando con Cantine Aperte grazie a Donatella Cinelli Colombini è nato il Movimento Turismo del Vino, il nettare di bacco era ancora qualcosa da tenere segreto, non accessibile, insieme al lavoro degli enologi, gli alchimisti che lo trasformavano con chissà quali trucchi, mentre in altri Paesi, come Stati Uniti e UK, già ci si era organizzati per l’accoglienza.” In una Italia fortemente tradizionalista il percorso è stato quindi più lungo, ed è arrivato a compimento dopo anni, spinto anche dagli effetti del Covid, e portando qualità, sviluppando molto bene il concetto di enoturismo, dando un forte segnale anche agli altri comparti dell’agricoltura: la necessità di dotarsi sempre di spazi e strumenti dedicati all’accoglienza. È così oggi si possono annoverare tra le esperienze di degustazione e visita anche quelle dei caseifici del Parmigiano Reggiano, delle aziende campane produttrici di mozzarella di bufala o degli oleifici che ristrutturano frantoi, recuperano vecchi macchinari allestendo dei veri e propri musei, custodi della tradizione. Questo percorso toccherà progressivamente tutti gli altri comparti fondamentali a cominciare dalla pasta, come testimoniato dall’esperienza di alcune aziende di Gragnano che si sono attrezzate con mostre tridimensionali studiate per dare al visitatore la sensazione di stare dentro al processo produttivo, passando per il mondo conserviero sempre più distante dalla dimensione delle semplici commodities. Ma Pignataro ammonisce: “in un mercato che è in continuo movimento, dove cresce la competizione tra territori, non solo tra brand, l’imperativo, di qualunque comparto si parli, è e resterà solo uno, sia che si scelga l’export sia che si scelga la possibilità di far venire a casa i propri clienti: mai fare un passo indietro o scendere a compromessi sulla qualità.”L’importanza del gioco di squadra tra imprese e istituzioni per il successo dell’export quanto dell’enoturismo
Un altro aspetto chiave per la crescita e il miglioramento delle performance è la collaborazione tra privati, e tra privati e istituzioni. È necessario fare gioco di squadra in un mercato come quello del vino dominato dalla frammentazione. Al tema ha fatto riferimento con le sue conclusioni, l’Assessore Nicola Caputo, sottolineando l’impegno per consentire alle imprese vitivinicole campane di poter godere del potenziale attrattivo del territorio. “Si sta lavorando per regolamentare l’enoturismo ma anche per la realizzazione di un progetto più ambizioso che vuole mettere insieme gli asset culturali, paesaggistici, ambientali per offrire un pacchetto unico ai turisti e mettere a sistema le realtà imprenditoriali che danno lustro alla regione. L’obiettivo è quello di acquisire sempre una maggiore marginalità e redditività per le imprese e al contempo far si che i loro prodotti possano diventare simbolo dei nostri territori.” In tal senso per incidere sulle quote di Export che per la Campania risultano ancora minime rispetto agli altri territori del Belpaese, potrebbe diventare strategico, andando oltre la frammentazione delle denominazioni di origine, puntare su una denominazione regionale, più facilmente ''vendibile'' anche all'estero. ''Difficile spiegare a un buyer o a un appassionato il numero delle Denominazioni e le differenze dei vari territori - ha sostenuto l'assessore - più semplice sicuramente utilizzare il fascino di un nome come quello della Campania che negli ultimi anni ha sviluppato un'attrattività che in pochi possono vantare. Motivo per cui, alle istituzioni spetta il compito di promuovere idee e iniziative che possano muoversi in questa direzione".
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