La tradizione dell’Alberata Aversana diventa Patrimonio Nazionale, il sogno UNESCO sempre più vicino
Prosegue il cammino di recupero e tutela dell’antica tradizione dell’Alberata Aversana, tratto identitario di un territorio finalmente iscritto nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali in attesa del riconoscimento anche da parte dell’UNESCO
Nell’ultimo decennio è cresciuta l’esigenza per le comunità di riscoprire i paesaggi rurali antichi o tradizionali ricostruendone l’evoluzione e le relative testimonianze. L’obiettivo è da un lato quello di rendere il giusto riconoscimento all’unicità di un percorso che ha a che fare con la storia, la cultura, l’autenticità e l’architettura paesaggistica dei luoghi, figlia dell’interazione dell’uomo con l’ambiente capace di costruire una identità forte e distintiva, dall’altro quello di fissare lo stesso percorso nel tempo evitandone l’abbandono, iscrivendolo in registri finalizzati a preservare le antiche pratiche agricole, alternative rispetto a soluzioni in chiave industriale i cui limiti in termini economici e di sostenibilità sono ormai evidenti.
In questo solco si inserisce il recente riconoscimento della tradizione dell’Alberata Aversana come Patrimonio italiano, oggi parte integrante del Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali insieme al paesaggio del prosecco di Conegliano Valdobbiadene, ai limoneti della Costiera Amalfitana ed alla pratica della Transumanza, un risultato che si aggiunge all’iscrizione avvenuta nel 2019 nell’Inventario del Patrimonio immateriale della Regione Campania. Successi ottenuti dopo anni di impegno profuso per ridare il giusto tributo ad una tecnica che ha antiche origini, diffusa nell’agro aversano da almeno 2000 anni e per la quale il prossimo agognato traguardo è il riconoscimento di Patrimonio mondiale Unesco.
La storia dell’Alberata Aversana
Quella dell’Alberata Aversana è una storia fatta di legami intensi tra l’uomo il territorio, tra la vite e il pioppo, tra il cielo e le uve Asprinio, una pratica introdotta molto probabilmente dagli Etruschi ben presto diventata elemento distintivo che ha modificato profondamente il paesaggio di quest’angolo di Terra di Lavoro, cuore della Campania Felix, un sistema di allevamento che nei primi anni del Novecento risultava ancora diffuso in quasi tutte le regioni italiane, seppur con i dovuti distinguo nell’applicazione, ma che ad oggi è sopravvissuta solo nella zona compresa tra le province di Caserta e Napoli. La peculiarità dell’Alberata Aversana dona ai vigneti un aspetto unico: non lunghe distese di filari alte un metro o poco più che si perdono a vista d’occhio, ma vere e proprie pareti protese verso l’alto, opera architettonica dove la potenza della vite si esprime con raro slancio, senza costrizioni, riappropriandosi della natura di pianta rampicante lianosa, un metodo arcaico che originariamente, sviluppandosi nella verticalità, non occupava prezioso suolo, lasciando spazio, secondo un’ottica sostenibile, ad altre colture e nel contempo creando delle vere e proprie muraglie difensive, a protezione anche dei venti. A maritarsi in un abbraccio con le alte piante non fruttifere una sola varietà, quella dell’Asprinio, piantato intervallato da alberi di pioppo che ne sostengono la crescita facendo elevare i tralci fino ad altezze comprese tra i 15 e i 20 metri. Questi alberi sono adatti alla convivenza perché hanno una chioma limitata, condizione che garantisce l’esposizione al sole conservando un elevato grado di acidità dell’uva, inoltre hanno un apparato radicale che non interferisce con quello della vite. La distanza dei grappoli dal suolo poi preserva gli acini dal calore e li isola dall’umidità limitando la diffusione di malattie. Data la struttura del vigneto si può dire che ogni atto compiuto per la loro cura è un gesto eroico, intervento che richiede una manodopera esperta, quindi molto più costosa, escludendo inevitabilmente il ricorso alla meccanizzazione. I vilignatori, così si chiamano i professionisti ingaggiati per conquistare le vette, si muovono come funamboli su e giù per lo “scalillo”, una scala personalizzata in legno stretta e lunghissima, in cui la distanza tra un piolo e l’altro corrisponde alla lunghezza della gamba del suo proprietario e richiede una particolare maestria già solo nel trasportarla, dal momento che segue l’altezza dell’alberata e quindi può arrivare finanche ai 15 metri. Gli “uomini ragno” si reggono tra i pioli incrociando le gambe e utilizzano la “fescina”, una cesta in vimini con manico in legno e base appuntita che, appena riempita delle uve raccolte rigorosamente a mano, lasciano scivolare rapidamente con una corda verso il suolo per consegnarla ad altri contadini in attesa ai piedi delle viti. Si può immaginare come la vendemmia, ma anche la potatura, rappresentino dei veri e propri spettacoli, arte che va in scena, di cui sarebbe stato sacrilego consentire l’oblio e l’estinzione.Una nuova prospettiva
Il paesaggio dell’Alberata Aversana, quella fascinazione che nell’antichità aveva conquistato Plinio il Vecchio e nel 700 illustri viaggiatori come Johann Wolfgang von Goethe che ne descrisse nei suoi diari i dettagli, e Aubert de Linsolas che paragonò le alte viti ad “archi trionfali di verde preparati per il passaggio di un potente monarca”, oggi rappresenta un patrimonio raro. Una crisi esplosa negli anni Settanta ha infatti portato ad un considerevole ridimensionamento degli ettari vitati passati da 16.000 a circa 200, disseminati sul territorio in piccolissimi appezzamenti, preservati grazie alla tenacia di un gruppo di produttori. L’iscrizione nel registro Nazionale dei Paesaggi Rurali crea una nuova prospettiva che si candida ad orientare gli sforzi dell’intera filiera locale, spesso fiaccata e spinta ad abbandonare la tradizione a fronte di soluzioni apparentemente più vantaggiose, guidandola verso una cooperazione ed una unità di intenti che possono concretamente tradursi in una ricaduta importante in termini di crescita, di competitività e visibilità per l’eccellenza vitivinicola dell’agro aversano, opportunità per mettere in campo strategie di promozione e condivisione creando valore per lo specifico tessuto economico e sociale. Un’occasione per offrire nuovamente il meritato palcoscenico nazionale ed interazionale anche all’Asprinio, quello “champagne napoletano” che anche i cugini d’oltralpe apprezzarono quando, con l’avvento della fillossera, le loro vigne furono distrutte e volsero lo sguardo alla florida Campania Felix per trovare una alternativa alle bollicine nazionali, il “piccolo grande vino… di una secchezza totale, sostanziale che non lo si può immaginare se non si degusta” caro a Mario Soldati come a Gino Veronelli che lo paragonò ai migliori vinhos verdes portoghesi.
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