L’Angolino di Firenze: in 17 metri quadri i cocktail più colorati d’Oltrarno

Un micro-bar nel cuore di Santo Spirito, frequentato da fiorentini e studenti internazionali. L'intervista a Dusan Bozic, che da cliente è diventato socio

15 Apr 2025 - 10:00
L’Angolino di Firenze: in 17 metri quadri i cocktail più colorati d’Oltrarno

BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - Via delle Caldaie, Firenze. Segnati il nome: L'Angolino. E non dimenticarti di farci un salto quando sei in zona.
Perché ci si diverte, davvero.
Perché si beve bene, classici e rivisitazioni.
Perché i prezzi sono onesti, in un momento storico in cui trovare un cocktail sotto i 10 euro è già notizia.
Perché è accanto a Santo Spirito, ma non è frequentato dai turisti mordi e fuggi.
Perché è la prova che l’ospitalità ha poco a che fare con lo spazio… e tutto a che fare con lo spirito.

L'INTERVISTA

Otto anni fa L'Angolino era un semplice bar che offriva “due o tre drinketti”, una ristretta proposta di calici di vino e birra. A un certo punto entra in scena il serbo Dusan Bozic, che all'epoca non lavorava come bartender ma come consulente aziendale. Un giorno, per caso, inizia con un turno di cortesia. E poi si innamora del bar e finisce per diventarne socio.

Dusan, com’è cominciata per te questa storia con L’Angolino?
Frequentavo il bar come cliente. Era un posto semplice, con pochi vini, un paio di gin, una clientela di zona. Ci venivo spesso. E un giorno mi chiamano, in panico: mancava una persona, rischiavano di non aprire il sabato. Io non avevo mai lavorato dietro un banco, ma non mi tirai indietro. Da lì è partito tutto. Con leggerezza. Poi mi sono occupato pure di conti e fornitori... e alla fine ho preso in mano la gestione.

Quindi vieni da un altro mondo, lavorativamente parlando.
Totalmente. Faccio ancora consulenza aziendale, lavoro per una società americana. Quello che per me era un hobby, è diventato una cosa seria. Credo che portare un mindset da un altro settore ci abbia aiutati. Abbiamo mantenuto lo spirito del bar di quartiere, ma con un'organizzazione moderna.

Come avete iniziato a cambiare il locale?
Gradualmente. Non volevamo stravolgere tutto. I clienti venivano per un Tanqueray tonic, non potevamo proporre subito un Clarified Milk Punch. Così, piano piano: prima abbiamo spinto un gin particolare, poi un drink classico poco noto. Li abbiamo educati con gentilezza. E oggi ci chiedono miscele che otto anni fa non avrebbero mai ordinato.

Da chi è composto il team?
Siamo pochi ma affiatati. Sergio Borghi è il socio di maggioranza e punto di riferimento storico del locale. Pietro Giannetti è con noi da due anni dietro al banco, mentre Federico Domini ci ha raggiunti a gennaio ed è già diventato parte della famiglia. Asia Niero è la nostra artista multimediale: cura la comunicazione e ha progettato il design del nostro menù. Un piccolo team, con competenze diverse ma una visione comune.

Da dove nasce l’idea del menù come un Pantone?
Dai clienti. Noi ci inventavamo i nomi belli per i cocktail, e loro dicevano: "Dammi quello verde", "quello rosa". Alla decima volta, ci siamo detti: ok, giochiamoci su davvero. Abbiamo scattato foto con luce naturale, usato un'app per trovare il Pantone esatto di ogni drink e costruito un menu cromatico. Ogni cocktail è un colore, ogni colore un’identità.

E funziona? La gente sceglie il cocktail dal colore?
Funziona eccome. Soprattutto con chi magari non conosce tutti gli ingredienti, ma si fida dell'istinto visivo. È un modo diverso di comunicare un drink: scegli con gli occhi e poi scopri il gusto. In più abbiamo creato degli sticker con ogni drink: la gente li attacca ovunque. È diventata una piccola collezione.

Quanti drink avete in carta?
Nove, ma su richiesta facciamo tutti i classici. Di più, sarebbe impossibile: ci muoviamo in appena 17 metri quadri, il banco è minuscolo. In carta l'idea era proporre tutti i distillati, senza scordarci un low alcol. Ci sono due Negroni (uno profumato e uno secchissimo), un twist sul French 75 e il Gin Basil Smash, un twist sul Paloma, un Espresso Martini rivisitato – che non può mai mancare – e poi un drink completamente folle: Oyster White.

Perché folle? Com’è fatto l’Oyster White?
Vodka in fat wash con burro d’arachidi, cetriolo, lime, vermouth dry. Un twist sul Last Word, anche se non lo diresti mai. Quattro ingredienti in parti uguali. Sembra una follia, ma piace perché è super fresco (ne ho assaggiato un minuscolo sorso e non ho riconosciuto i sapori, ma mi sono giusto bagnata la lingua, ndr.).

Ma i classici vanno ancora forte?
Sì, Negroni e Gin Tonic rappresentano la metà delle ordinazioni. Ma negli anni abbiamo spinto anche su classici meno noti: Boulevardier, French 75… Ora ce li chiedono da soli. La nostra fortuna è che i clienti ordinano direttamente al banco, quindi abbiamo il tempo di raccontare e coinvolgere.

E i prezzi?
Cerchiamo di restare sostenibili. Dai 8 euro per un Gin Tonic base, ai 9 di un Negroni. Il massimo è 13, salvo richieste particolari. Ogni anno aumentiamo di poco, perché i costi salgono, ma anche il potere d’acquisto cala. È un equilibrio delicato. Però non tagliamo sulla qualità: abbiamo un magazzino più grande del bar, così riusciamo anche a trattare meglio sui costi.

Chi sono i vostri clienti?
Abbiamo una clientela variegata fatta di fiorentini, italiani e stranieri. Per fortuna sono pochi i turisti toccata e fuga e tanti gli studenti ed expat residenti in città. 

Come siete riusciti ad avvicinare una clientela così eterogenea?
Buona parte del nostro personale arriva dalla fashion school Polimoda. E loro portano amici, coinquilini, colleghi. Si è creato un giro di persone poliglotte e molto affezionate, al di là della gente di quartiere.

Quindi cercate consapevolmente di avere uno staff internazionale?
Sì: da quando ci siamo resi conto che un team internazionale ci avrebbe aiutato a costruire una clientela variegata, è diventata una strategia. 

Come si forma un team in uno spazio così piccolo?
È una sfida continua. Tanti ragazzi che iniziano con poca esperienza, ma tanta voglia. A me piace formare da zero: meno preconcetti, più apertura. Certo, devi starci sopra. Il ragazzo che abbiamo preso a gennaio, ad esempio, ha fatto tre mesi di affiancamento tutti i giorni. Ma poi entra nel ritmo. Qui serve flessibilità, visione ampia e anche un po’ di creatività.

EVENTI

È la prima volta che partecipate alla Florence Cocktail Week?
Sì, quest’anno è stato il debutto. Non ci avevamo mai provato, poi è passato a bere qui Julian Biondi, ha dato un’occhiata al menu e... qualche tempo dopo è arrivato l’invito. Per noi è stato un riconoscimento, ma anche una sfida: abbiamo poco spazio, ma tante idee.

Perché avete scelto guest così diverse tra loro?
Per dare alla nostra clientela un assaggio di esperienze e stili diversi, ma sempre in linea con il nostro spirito. Qui la gente magari non conosce nomi importanti del settore, quindi l’approccio doveva essere semplice, accessibile, quasi giocoso.

Come ha reagito il pubblico?
Molto bene. Abbiamo fatto teaser su Instagram, parlato con i clienti. Molti sono venuti per curiosità, altri per fiducia. Il passaparola ha aiutato. Alla fine, la gente vuole vivere qualcosa che non sia la solita serata. E queste guest lo sono state.

Cosa ti resta di questa esperienza?
Molte cose: rapporti, idee, scambi. E prodotti. Ogni guest portava con sé una piccola selezione, un pezzo di sé. Abbiamo conosciuto nuovi produttori, fatto test, provato distillati fuori dai giri commerciali. Una contaminazione vera.

PROGETTI

C’è l’idea di portare L’Angolino in trasferta?
Assolutamente sì. Stiamo pensando a qualche guest reverse, dove andiamo noi in città amiche. Palermo ci piacerebbe. Serve organizzazione: siamo piccoli, dobbiamo adattarci. Ma la formula è modulabile.

Cosa bolle in pentola per l’estate?
Stiamo disegnando una nuova postazione bar, più funzionale. Speriamo sia pronta per l’estate. Inoltre, vorremmo rinnovare il menù. Per la stagione estiva manterremo il concetto Pantone, ma la lista sarà più leggera, divertente, pop. 

Ogni quanto cambiate il menù?
Vogliamo cambiare carta due volte l’anno, così possiamo raccontare stagioni, momenti, evoluzioni.

L’Angolino oggi è...
Un laboratorio. Una casa. 
Un bar che parla diverse lingue.
È Firenze, ma anche un po’ altrove.

Leggi l'articolo anche su MixologyItalia.com e FoodyBev.com

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