La psicologia al servizio della ristorazione: i risultati dello studio
Approccio scientifico allo stress causato dalle professioni della ristorazione: ecco i risultati di due anni di studi condotti da Ambasciatori del Gusto e Ordine degli Psicologi del Lazio.
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È proseguito per due anni il progetto “La Psicologia al servizio della ristorazione” promosso dall’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto (ADG) insieme all’Ordine degli Psicologi del Lazio. Al termine di questo viaggio, le due realtà hanno presentato, proprio ieri, un ebook che riporta tutti i risultati dello studio, iniziato prima dell'esplosione della pandemia e proseguito proprio attraverso la crisi sanitaria, economica e sociale scatenata.
Lo scopo dello studio è stato quello di accendere un faro sul tema dello stress da lavoro che si crea nelle cucine e nelle sale dei nostri ristoranti, analizzandolo con metodo scientifico e professionale per aiutare tutti gli operatori del settore a prendere coscienza delle conseguenze emotive e fisiche che tali mansioni implicane, fornendo allo stesso tempo strumenti per cambiare le cose, con approccio costruttivo, efficace e sinergico.
Lo studio “La Psicologia al servizio della ristorazione” è stato presentato ieri 28 febbraio durante un evento in diretta sulla pagina facebook dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto.
Il burn-out e la ristorazione
“La fatica fisica, la concentrazione, l’accentramento di tante responsabilità, l’allargamento della platea, le review dei giornalisti e clienti, sfibrano profondamente. Un giorno ci si alza e ci si rende conto di essere ‘burned’”, spiega Cristina Bowerman, Presidente dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, nonché chef e patron del ristorante Glass Hostaria di Roma. Che la categoria della ristorazione fosse caratterizzata da un’alta incidenza di burn out era già noto. Nessuno però si sarebbe aspettato un aggravarsi della situazione così repentino e drammatico come lo tsunami generato dal Covid. “Nel 2020, a causa della situazione pandemica, – si legge nella premessa dello studio – la problematica dello stress è risultata essere ancora più centrale, dal momento che molte realtà della ristorazione si sono trovate a gestire enormi difficoltà dettate dall’incertezza del futuro e dalle chiusure forzate, che hanno portato diverse imprese a scegliere di non riaprire, alcune in via definitiva”. Come spiega David Pelusi, Dottore in tecniche psicologiche e tesoriere dell’Ordine Psicologi del Lazio, "la ricerca è stata in grado di documentare un quadro dì criticità preesistenti alla pandemia che l’emergenza Covid ha ridefinito in modo del tutto nuovo e, talvolta, inaspettato. Le testimonianze dei professionisti hanno premiato il lavoro svolto, evidenziando il contributo fondamentale della Psicologia sia a livello individuale che organizzativo". Agli associati è stato distribuito un questionario a risposta multipla con 30 domande. L’identikit dei rispondenti vede una prevalenza nella fascia di età fra i 31 e i 65 anni (89,2%). Circa il 73% afferma di svolgere questo lavoro da più di 20 anni, nell’84% dei casi si tratta di soggetti titolari o co-titolari dell’attività. Sono ristoratori quasi il 77% dei rispondenti e ristoratori/cuochi quasi il 57%, di questi il 49,1% è chef capo di brigata. Il 70% del campione è di genere maschile e per oltre l’85% ha una relazione stabile (conviventi/sposati), il 55% inoltre ha figli conviventi. Sono stati inoltre realizzati quattro webinar aperti a tutti e sei focus group, che hanno coinvolto specifici cluster di partecipanti (ristoratori/imprenditori; cuochi; pasticceri e gelatieri; pizzaioli; personale di sala; chef) in modo da far emergere le peculiarità legate alle specifiche mansioni e ruoli.I risultati dell’analisi
Già nel periodo pre-Covid erano state rappresentate aree di criticità legate principalmente al turn over del personale (80,18%), all’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (55,85%), agli orari di lavoro (54,95%) e ai carichi di lavoro (54,05%). Tra i sintomi fisici correlati allo stress venivano segnalati maggiormente quelli di criticità del sonno, in crescita nell’ultimo anno (54,45%), mentre per quelli di ambito psichico si riscontra l’ansia (40,54%), la tristezza (38,73%) e l’isolamento sociale (34,90%). A dimostrare come le mansioni della ristorazione siano fisicamente e mentalmente usuranti è l’aumentare dell’incidenza dei disagi psico-fisici, proporzionale all’aumentare degli anni di esperienza lavorativa: sono i soggetti con più di 20 anni di attività a segnalare infatti la maggiore presenza di sintomi fisici e la percezione di sintomi psichici. Alla domanda su come abbiano affrontato la situazione lavorativa conseguente alla pandemia, i partecipanti allo studio hanno affermato di non aver fatto ricorso alla Rete Counselling psicologico/psicoterapia, quanto piuttosto di essersi dedicati nel periodo delle chiusure all’aggiornamento professionale (72,08%), agli hobby (63,07%) o al cercare notizie /informazioni (59,46%). Oltre il 78% ha riferito di essersi confrontato con i colleghi e oltre l’80% ha pensato ad alternative possibili per mantenere l’attività. Assoluta la dedizione alla propria attività, che nonostante tutte le difficoltà, si mantiene al centro dell’attenzione anche in relazione alle scelte future: oltre il 98% ha confermato di continuare l’attività di ristorazione, il 52,3% di modificare il tipo di offerta e infine il 62,86% di voler a intervenire sull’organizzazione.I risultati dei focus group
Tutte le categorie intervistate, in riferimento al periodo pre-pandemia,hanno riportato una percezione diffusa su quanto il lavoro fosse estremamente frenetico, intenso, con orari impegnativi. Si sottolinea, nel caso degli imprenditori/ristoratori, la preoccupazione di far quadrare i conti e raggiungere il break even point. Come dimostra lo studio, il periodo emergenziale ha portato al collasso criticità che erano presenti già prima, aggiungendone altre, come la difficoltà a trovare collaboratori in generale e, ancora più complesso, trovarli competenti o già formati. A questo si aggiungono le problematiche post-pandemiche, come il far rispettare regole stringenti, soprattutto per i clienti (es. controllo del green pass) che fanno nascere incomprensioni e attriti. I clienti sono stati percepiti come particolarmente esigenti e più aggressivi nel post-pandemia.Testimonianze e suggerimenti
In un’ottica di comprensione multidisciplinare della tematica, è stato invitato il medico del lavoro Carla Palmerini a fare un’analisi dal suo punto di vista, dal momento che dal benessere psichico deriva anche quello fisico e viceversa. L’esperta lancia una serie di suggerimenti e conclude che il medico del lavoro e lo psicologo dovrebbero essere professionalità tecniche di supporto alle brigate, utili a prevenire l’insorgenza di problematiche più gravi, grazie anche alla collaborazione reciproca. Il documento si conclude con le testimonianze di due Ambasciatori del Gusto, e con i “Suggerimenti di buone pratiche per il proprio benessere psicologico”, offerti agli addetti ai lavori come check-list per verificare lo stato di salute psicologico della loro attività. Fermo restando che, come dice Enrico Bartolini del Mudec di Milano, il supporto psicologico è uno strumento di cui “non serve avere bisogno, si può fare prevenzione, quindi si può (e si dovrebbe) chiedere un aiuto per migliorare le cose anche quando pensiamo che vadano già abbastanza bene”. È quella che Alessandro Gilmozzi definisce “una chiacchierata consapevole”. Nella sua esperienza, racconta Gilmozzi, “… il lavoro con il coach è servito più a me che al gruppo stesso, per capire come rapportarmi in futuro con le nuove generazioni. Alla fine ho capito che siamo soprattutto noi a dover cambiare, ancora e ancora”.Clicca qui per scaricare l'ebook: La Psicologia al Servizio della Ristorazione
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