L’Abruzzo terra del leggendario Montepulciano
L’Abruzzo è terra di contrasti, a partire da quelli climatici, che ne hanno fatto da sempre luogo ideale per la coltivazione della vite e fin dall’antichità i vini figli delle sue terre sono entrati nella leggenda, come tramandato dallo storico Polibio.
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Tra l’Adriatico e i massicci del Gran Sasso e della Majella si sviluppa un territorio aspro alla cui spigolosità fa da contraltare la gentilezza di un paesaggio che degrada dalle montagne al mare, un susseguirsi di colline, altipiani e pianure rigogliose, ricco di parchi e riserve naturalistiche protette che valgono l’appellativo di Regione Verde d’Europa.
E poi la costa, che rapisce con i suoi arenili, le pinete, le scogliere e i trabocchi, le strutture di legno descritte da Gabriele D’Annunzio come “ragni colossali”, “macchine che sembrano vivere di vita propria” allungandosi suggestivamente sulle acque, un tempo usate per la pesca oggi trasformate in accoglienti ristoranti.
L’Abruzzo “forte e gentile”, come lo definì Primo Levi, è terra di contrasti, a partire da quelli climatici, che ne hanno fatto da sempre luogo ideale per la coltivazione della vite. Sarà per questo che fin dall’antichità i vini figli delle sue terre sono entrati nella leggenda.
Lo storico Polibio racconta con dovizia di particolari di come Annibale, durante la seconda guerra punica, nel corso della campagna in Italia, facesse bere il Montepulciano ai suoi soldati per curarne le ferite e vi lavasse anche i suoi cavalli per farli guarire dalla scabbia, un vino a dir poco miracoloso, rivelatosi alleato prezioso per i cartaginesi che intendevano recuperare la potenza militare e l’influenza politica perduta.
La leggenda del nettare dalle proprietà taumaturgiche oggi cede il passo ad una realtà moderna di 32 mila ettari di superficie vitata, con all’attivo 3 milioni e mezzo di ettolitri l’anno, numeri che rendono la viticoltura il comparto più significativo nell’ambito della produzione agricola regionale.
L’Abruzzo enologico è una realtà consolidata e riconosciuta grazie alla costante crescita qualitativa delle sue produzioni, al percorso di valorizzazione del territorio e dei suoi autoctoni portato avanti da una nuova generazione di tecnici e produttori, che hanno sempre più stimolato l’interesse della critica e del mercato, nobilitando vitigni celebri come il Montepulciano o il Trebbiano, ma anche autoctoni meno conosciuti come Pecorino, Passerina, Cococciola e Montonico.
Una fetta consistente della base ampelografica è rappresentata proprio dal Montepulciano, tra i vitigni più antichi, la cui diffusione in Abruzzo risale al 1700, e che è ancora oggi in via di espansione.
Clima e caratteristiche del suolo
A favorire lo sviluppo della viticoltura abruzzese è sicuramente l’ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole: all’interno, nelle aree montuose il clima è continentale, mentre nella zona litoranea, prevalentemente collinare, è più mite. Forti escursioni termiche tra giorno e notte e una costante ventilazione sono le condizioni che favoriscono una perfetta maturazione delle uve. Grande influenza è determinata anche dalla presenza dei massicci dell’Appennino centrale, che riparano il versante orientale della regione dai freddi climi invernali. La regione può essere divisa in cinque macro aree con caratteristiche pedoclimatiche differenti: le colline teramane, i colli aprutino pescaresi, l’alta collina e la montagna, le colline teatine e ortonesi, il frentano e il vastese. I terreni delle zone di produzione situate nella parte collinare sono di natura calcareo-argillosa, caratterizzati dalle brezze provenienti dai monti appenninici e dal mare. Si tratta di suoli ideali per la produzione di vini strutturati e in particolare per il Montepulciano, consentendo di esprimerne al meglio le potenzialità. I terreni delle zone di produzione posti nella fascia collinare a ridosso del litorale, dove il clima è più mite, sono invece di natura sabbioso-argillosa, e, sono particolarmente indicati per la coltivazione di uve a bacca bianca.Storia e viticoltura
La coltivazione della vite e la sua diffusione in Abruzzo, lungo la fascia Adriatica, risale a duemila anni fa, ascrivibile probabilmente ai Piceni prima e alle diverse genti italiche più tardi. I Marsi nel Fucino, i Peligni nella conca di Sulmona, i Pretuzi nell’attuale provincia di Teramo, i Vestini intorno al Gran Sasso, i Frentani nell’area di Lanciano Ortona e i Marrucini nell’area intorno a Chieti, si dedicarono alla viticoltura producendo ottimi vini, come testimoniato per la prima volta dallo storico Polibio che narrando le gesta di Annibale dopo la vittoria di Canne esaltò le proprietà del nettare figlio delle viti abruzzesi. Dopo di lui il poeta romano Ovidio, originario di queste terre, scriveva della loro fertilità e della vocazione per la coltivazione della vite, celebrando in molte sue opere il vino di questa regione, come anche Marziale, vissuto un secolo più tardi, che nei suoi epigrammi descriveva i banchetti allietati da abbondanti libagioni. Col passare dei secoli la coltivazione degli autoctoni abruzzesi si diffuse dalla valle Peligna verso la fascia collinare a ridosso della costa che presenta condizioni ideali per produrre uve pregiate che vengono lavorate per dar vita a grandi vini. Ma con la decadenza e il crollo dell’Impero Romano d’Occidente la vitivinicoltura seguì la stessa sorte. Per parlare nuovamente di vite e vino bisognerà aspettare il XIII secolo, quando Pier de Crescenzi, il più grande scrittore di agricoltura del Medioevo, descrisse una quarantina di vitigni coltivati all’epoca in Italia tra i quali il “Tribbiana”, che si coltivava nelle Marche e presumibilmente anche in Abruzzo, definendolo “nobile et bene servabile”. Il Rinascimento vide poi la viticoltura abruzzese nuovamente circoscritta alla valle Peligna, dove continuò a fiorire fino ai primi del Novecento quando la Filossera causò la distruzione della maggior parte delle vigne. È dopo questa fase di grande crisi che l'enologia abruzzese si concentrò unicamente su due prodotti, il Trebbiano ed il Montepulciano, protagonisti assoluti della fase post-Filossera, focalizzandosi sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Per questo motivo inizialmente i vini di questa regione venivano considerati come prodotti poco appetibili, fino a quando, negli anni Novanta, si è verificata un'inversione di tendenza con l’introduzione di una viticoltura sempre più specializzata e tecnologica con conseguente rivalutazione da parte della critica e del mercato.Il Montepulciano d’Abruzzo
La storia del Montepulciano d'Abruzzo si intreccia con quella delle sue terre d’origine, figlio di una regione dalla forte identità che dall’antichità ne ha ospitato i filari, allevati prevalentemente con la tecnica della pergola abruzzese e oggi diffusi dalle zone montuose interne, passando per le colline, fino ad arrivare alla costa, anche se il terroir di elezione resta la Valle Peligna, l’areale d’origine. Resistente, con una spiccata propensione all’invecchiamento al pari di altri nobili vitigni a bacca rossa, dalla vendemmia mediamente tardiva che comincia dopo la seconda metà di settembre e si protrae fino alle prime due settimane di ottobre, il Montepulciano d’Abruzzo dona una produzione abbondante che nasce da terreni collinari, ad una altitudine non superiore ai 500 metri s.l.m. ed eccezionalmente ai 600 metri per quelli esposti a mezzogiorno. Le sue uve, sono caratterizzate da una decisa carica antocianica, una buona percentuale zuccherina, ed una notevole acidità, e ne vengono ottenuti vini che si presentano con una maggiore complessità se affinati lungamente in legno. Dal colore rosso rubino intenso che tende al granata con l'invecchiamento, il Montepulciano d’Abruzzo è caratterizzato da un profumo floreale e fruttato, con sentori di frutti rossi maturi e spezie, da un gusto pieno, secco, equilibrato e dal tannino elegante. L’istituzione della D.O.C. Montepulciano d’Abruzzo è avvenuta nel 1968 e ha inserito questo vino, a pieno titolo, nell’olimpo dei grandi rossi italiani, spingendone la notorietà anche all’estero.
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