L’anima enoica della Sicilia sud Orientale, terra del Cerasuolo di Vittoria
Nella Sicilia Sud Orientale il rapporto tra l’uomo e la vite affonda le sue radici nelle epoche più antiche condizionando lo sviluppo e la crescita di comunità, territori ed economie locali. Le testimonianze storiche più significative evidenziano anche il grande contributo delle donne alla centralità della viticoltura.
Quando si guarda alla Sicilia e alla sua tradizione enologica ci si apre ad una realtà complessa e proprio per questo estremamente affascinante.
La Sicilia plurale, non indefinita ma dalle diverse identità, coacervo ed espressione di culture differenti, di correnti artistiche stratificate, connesse e interagenti, terra di frontiera, ponte tra civiltà che per definizione ha rinunciato allo sviluppo di una radice unica per abbracciare la diversità, riversa la sua poliedricità nella dimensione enoica e nella capacità dei suoi territori, con le proprie caratteristiche pedoclimatiche ma anche con i trascorsi e le umane vicende che ne hanno fatto la storia, di raccontarne per ogni versante un volto diverso.
Quello della Sicilia Sud Orientale in particolare è il territorio che mette al centro il rapporto tra gli uomini, le donne e la vite fin dal VIII Secolo a.C., dai tempi della fondazione di Siracusa ad opera dei greci (733 a.C.) cui corrisponderà l’inizio della diffusione della viticoltura, una pratica favorita dalle vaste aree di terreni calcarei e argilloso sabbiosi e dalle condizioni climatiche ottimali sia in termini di esposizione che di ventilazione.
Sarà la colonia di Camarina (598 a.C.) con i suoi insediamenti alla foce del fiume Ippari, areale corrispondente all’attuale comprensorio del ragusano, a restituire i ritrovamenti più significativi che meglio descrivono la centralità, della produzione, dei consumi e della commercializzazione del vino nell’antichità e in questo pezzo di isola.
Monete con raffigurazioni di recipienti dalla bocca stretta e la pancia allungata, anfore ritrovate sui fondali antistanti la costa, e una lamina arrotolata, un papiro in piombo attestante una transazione avvenuta nel III secolo a.C., l’acquisto di un terreno vitato da parte di una donna, proprietaria di una rivendita di vini. Per la prima volta si racconta il contributo femminile allo sviluppo della viticoltura e degli scambi, contributo che in queste terre è destinato a lasciare il segno qualche secolo più tardi.
La dominazione Romana infatti rappresenterà una forte spinta alla diffusione dei vini della Sicilia Sud Orientale sia a Roma che nell’Italia centro meridionale, ma dopo un periodo di stasi per la viticoltura, corrispondente alla dominazione musulmana, bisognerà attendere il 1607, l’anno di fondazione della città di Vittoria, per tornare a parlare di una nuova stagione dello sviluppo enologico di queste terre.
Protagonista del balzo in avanti sarà una nobildonna, la Contessa Vittoria Colonna Henriquez. Figlia di Marcantonio Colonna, Viceré di Sicilia nel XVI secolo, divenne vedova quattro anni dopo le sue nozze con il Conte di Modica, e si trovò a dover fronteggiare una situazione economica familiare disastrosa.
Richiese al Re di Spagna una concessione per la fondazione di un nuovo insediamento cui si diede il suo nome, e intuì che se lo avesse vocato alla viticoltura ne avrebbe tratto grandi benefici. Così fece trasferire interi nuclei familiari per garantirne il popolamento riconoscendo privilegi a chi avesse piantato vigne: in quell’anno regalò ai primi 75 coloni un ettaro di terreno a condizione che ne coltivassero un altro a vigneto, favorendo una forte espansione della viticoltura nelle contrade limitrofe.
Uno sviluppo che trovò spazio anche nei secoli successivi con un processo di riconversione colturale che caratterizzerà la seconda metà dell’Ottocento: migliaia di ettari prima coltivati a grano vennero destinati a estesi vigneti, si potenziò il porto di Scoglitti per sostenere la crescita delle esportazioni di vino che arrivarono a 300 mila ettolitri l’anno.
A partire dalla fine del secolo l’epidemia della fillossera portò distruzione in tutta la Sicilia e Vittoria pagò a caro prezzo la sua scelta di incentrare l’intera economia agricola sulla vite.
È in questo contesto che si inserisce la storia di uno dei vini più significativi dell’areale, il Cerasuolo di Vittoria, unica DOCG dell’Isola che nasce dall’incontro di due vitigni, il Frappato e il Nero d’Avola.
Sulle sue origini le teorie sono divergenti: alcuni legano la sua nascita alla fondazione della città di Vittoria, ma di fatto non vi sono dettagli negli scritti del Seicento che riportino le qualità dei vitigni che vi venivano coltivati né che citino il cerasuolo.
La prima memoria che fornisce maggiori notizie in tal senso risale al 1775 a cura di Domenico Sestini, bibliotecario del principe di Biscari, che con riferimento ai vitigni in uso nel vittoriese fa riferimento a Frappati, Calabresi, Grossi Neri, Cataratti e Visazzare.
Si può quindi ipotizzare che fosse il Frappato la varietà più diffusa e che per parlare di Cerasuolo si debba guardare un po’ più avanti negli anni, tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando se ne iniziarono a descrivere tecniche di produzione e caratteristiche, dal poeta dialettale Neli Maltese, all’enotecnico Arcangelo Mazza, al cav. Giuseppe di Matteo che per primo nel 1950 utilizzò il nome Cerasuolo in un’etichetta.
Questo vino prodotto in un’ampia area della provincia di Ragusa e in parte delle province di Caltanissetta e Catania, dal colore rosso ciliegia tendente al granato con l’invecchiamento, dai sentori che vanno dal floreale al fruttato, dal sapore secco, morbido ed equilibrato, non può che rievocare nelle sue note la storia di queste terre e dello stretto legame con l’enologia, una tradizione cresciuta nel corso dei secoli e il cui valore è sempre stato riconosciuto anche al di fuori dei confini regionali.
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