Perché i grandi territori del vino italiano puntano sulla mappatura degli areali

Cresce il numero dei progetti di mappatura dei territori vitivinicoli italiani, una tendenza che va incontro ad una richiesta sempre più forte di tracciabilità, qualità e tipicità del vino da parte del mercato ma che risponde anche alla necessità di affrontare e gestire al meglio gli effetti del cambiamento climatico

20 Giu 2023 - 10:25
Perché i grandi territori del vino italiano puntano sulla mappatura degli areali

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Sono sempre più numerosi i grandi territori del vino italiano che scelgono di impegnarsi in un’attività approfondita di studio e ricerca su suoli, esposizioni, altimetrie, microclimi, un lavoro certosino e complesso che si propone di restituire al mercato una fotografia sempre più dettagliata delle aree di produzione e che può diventare strategico nell’orientare le scelte che attengono le attività vitivinicole. L’obiettivo è quello di andare ad evidenziare i caratteri distintivi e peculiari dei luoghi in modo che se ne possano definire in maniera più circoscritta le potenzialità e se ne possa confrontare la coerenza e continuità rispetto ai vini che ne dovrebbero essere espressione. Un’esigenza che nasce dall’essenza stessa del mondo enoico nostrano, tra i più articolati potendo vantare areali in cui le caratteristiche pedoclimatiche variano da una particella all’altra, insomma anche a distanza di poche centinaia di metri, il che, ovviamente, accresce la curiosità e l’interesse di appassionati ed esperti divenuti sempre più esigenti ed affamati di informazioni che vadano a scandagliare in profondità i terroir, racconti di colline, di singoli vigneti o addirittura di filari e parcelle basati su dati analitici raccolti nel corso del tempo. 

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L’ultimo tra i progetti di mappatura che sta prendendo forma è quello dell’Alto Adige: a partire dalla vendemmia 2023 sarà possibile portare la zonazione in etichetta, un successo per i produttori, in particolare per quelli che hanno fatto dell’attenzione alle classificazioni un loro mantra, un’occasione per valorizzare un patrimonio vitivinicolo inestimabile. Ma ci sono realtà che si sono mosse in epoche remote in questa direzione e su questo approccio hanno costruito il loro successo. È il caso delle Langhe, in particolare della zona del Barolo, il cui percorso è iniziato alla fine dell’Ottocento quando si diede il via ad un censimento dei nomi delle famiglie e delle località produttive, e ha visto più di recente, con l’introduzione delle menzioni geografiche aggiuntive (MGA) del 2009, un importante tassello per l’accelerazione del processo. Le MGA nel caso del Barolo sono ben 181 e sono state ispirate dal modello francese dei Cru, intese come aree di produzione, o, più propriamente, dalla definizione francese dei Climat, cioè delle specifiche porzioni di vigne dai confini ben marcati note per la vocazione alla viticoltura. In etichetta oltre al Comune di provenienza si trova indicata la MGA e, in alcuni casi, la vigna, ulteriore elemento identificativo, che andrà ad influenzare anche il valore del vino.

  width= Più recente ma seguito ad una lunga gestazione il salto in avanti del Chianti Classico con l’introduzione di 11 UGA, operative dal prossimo luglio per la sola tipologia Gran Selezione. Le Unità Geografiche Aggiuntive distinguono il territorio di produzione del Gallo Nero in aree più ristrette, dotate di maggiore omogeneità paesaggistica, geologica e altimetrica, consentendo di arrivare ad indicare in etichetta il nome del borgo o della frazione dove il vino ha origine. Anche in questo caso l’obiettivo è quello di rafforzare la comunicazione del binomio vino-territorio e ricalcare il tratto identitario delle produzioni, dando al consumatore la possibilità di conoscere la provenienza delle uve e stimolandone la domanda attraverso la differenziazione dell’offerta.

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Nella stessa direzione si sono mossi i produttori etnei con la definizione della nuova Mappa delle Contrade dell’Etna che si è ampliata arrivando a 142 unità. Il lavoro, frutto della ricognizione di una realtà vulcanica, quindi per definizione viva ed in continua mutazione morfologica, guarda anche al futuro per una più approfondita attività di zonazione che consenta di restituire a ciascuna vigna e a ciascun vino la propria impronta digitale.

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Ma a ben vedere lo sforzo messo in campo dai territori vitivinicoli non è solo una questione di mercato, rappresenta anche una opportunità per fronteggiare quegli effetti di un cambiamento climatico che possono essere gestiti solo se si accrescono competenze e consapevolezza delle potenzialità e dei limiti dei propri terroir, condizione che può influenzare funzionalmente le scelte in materia agronomica. La zonazione sta quindi diventando una sorta di percorso obbligato rispetto al quale è realistico aspettarsi un allargamento della base dei territori che ne faranno strumento di crescita e di miglioramento continuo delle produzioni.

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