Vino: produzione superiore ai consumi. Quali soluzioni per riequilibrare il mercato?
Italia, Francia e Spagna ragionano su quale approccio adottare per far fronte ad un trend in via di consolidamento, quello dell’offerta di vino che supera ormai anno dopo anno la domanda
Il mercato del vino negli ultimi dieci anni ha visto consolidarsi il trend della contrazione dei consumi al quale ha fatto da contraltare un incremento dei volumi prodotti, condizione che ha generato un disallineamento tra domanda e offerta oggi sempre più evidente e foriero di criticità per un settore enoico da tempo alla ricerca di soluzioni che ristabiliscano l’equilibrio. Gli ultimi dati sulla produzione globale presentati dall’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV) nel rapporto “State of the World Vine & Wine Sector” confermano questo scenario suonando come l’ennesimo campanello d’allarme. Secondo lo studio nel 2022 la produzione ha raggiunto quota 258 milioni di ettolitri grazie soprattutto ai tre paesi che contribuiscono significativamente alla definizione dei volumi e cioè Italia (19% con 49,8 milioni di ettolitri) Francia (18% con 45,6 milioni di ettolitri) e Spagna (14% con 35,7 milioni di ettolitri). Sul fronte dei consumi si rileva ancora la relativa diminuzione con una stima di 232 milioni di ettolitri a livello globale che configurerebbe un calo dell’1% rispetto al 2021. A determinarlo da un lato la crisi del mercato cinese, dall’altro gli effetti di una inflazione galoppante che ha spinto in alto i prezzi del vino. La distribuzione vede in vetta i consumi negli Usa (34 milioni di ettolitri), davanti a Francia (25,3 milioni di ettolitri), Italia (23 milioni di ettolitri), Germania (19,4 milioni di ettolitri) e Gran Bretagna (12,8 milioni di ettolitri). Una situazione che inizia ad assumere la connotazione di emergenza in considerazione della quale Francia e Spagna hanno preferito ricorrere, rispettivamente per 2,5 e 3 milioni di ettolitri, alla distillazione di crisi, cioè alla trasformazione in alcool del vino prodotto in eccedenza in cambio di un compenso ottenuto attingendo a fondi pubblici. A Bordeaux in particolare ci si è spinti oltre, e la richiesta di intervento da parte del Governo è stata estesa anche all’espianto di 30.000 ettari di vigneti, operazione che dovrebbe almeno parzialmente partire ad ottobre prossimo. (qui la news precedente che approfondisce il tema) L’Italia al momento non si è ancora espressa sulle soluzioni che intende mettere in campo. La distillazione di crisi non sarebbe da escludersi in particolare per Abruzzo, Puglia e Lazio, ma non è tra le opzioni preferite, soprattutto perché le risorse pubbliche disponibili sono residuali. Dei 328 milioni di euro previsti per il Piano di Sostegno Nazionale al settore vino per il biennio 2023/2024 la fetta più grande sarebbe destinata alla ristrutturazione dei vigneti (144,1 milioni di euro), alla promozione in Paesi Terzi (90 milioni di euro) e agli investimenti (57,6 milioni di euro) mentre solo 19,2 milioni di euro sarebbero destinati alla distillazione (e non di crisi ma dei sottoprodotti della vinificazione), con la conseguenza che i compensi non sarebbero sempre congrui per coprire le spese sostenute dai produttori. Va detto anche che il Belpaese, a differenza di Francia e Spagna dove sono i grandi distretti a fare il mercato e a metterlo potenzialmente in crisi se vanno in sofferenza, è fatta di un mosaico più composito e variegato di piccole e medie realtà, ciascuna con il suo peso, che nel complesso ad oggi, salvo rare eccezioni, non richiederebbero un intervento urgente e preferirebbero all’ipotesi della distillazione alternative come lo stoccaggio in grado di valorizzare i vini che migliorano con l’affinamento. Il fatto che il sistema del vino italiano regga non significa però che manchino le insidie rispetto alle quali bisogna farsi trovare pronti. Gli ultimi dati diffusi dall’Osservatorio Uiv/Ismea su base NielsenIQ relative al primo trimestre 2023 registrano i livelli più bassi di vendite nella Grande Distribuzione anche rispetto al periodo pre-Covid (2019). Con un calo tendenziale dei volumi del -6,1% e con i valori spinti dall’effetto inflattivo dei prezzi a +2%, la possibilità che la forbice tra domanda e offerta possa ulteriormente allargarsi non è tanto remota, motivo per il quale si inizia a pensare di puntare sulla dealcolazione come soluzione percorribile ma a patto che siano rispettate determinate condizioni. In particolare in Italia il Governo è impegnato nell’elaborazione di una disciplina nazionale per la produzione e la commercializzazione degli alcool free che molto probabilmente non consentirà l’utilizzo della denominazione “vino” per un prodotto privo dei requisiti per potersi definire tale, condizione rispetto alla quale anche i produttori fanno fronte comune. Ma nonostante le resistenze, anche di natura culturale, non si può negare che il segmento no/low sia in crescita sui mercati internazionali con una forte spinta da parte delle giovani generazioni, secondo le stime dell’IWSR sarebbe infatti destinato a crescere tra il 2023 e il 2026 al ritmo dell’8% l’anno. Alla base del suo potenziale l’apertura di nuovi mercati, come quelli del Medio Oriente, i progressi nell’innovazione di prodotto e nella tecnologia che ne migliorerebbero il gusto, e un maggiore riconoscimento della categoria. Sta dunque ai singoli paesi produttori stabilire se l’ormai annosa questione del surplus dell’offerta di vino possa essere affrontata cogliendo le nuove opportunità poste dal mercato o se sia preferibile accettare il rischio di incorrere negli inconvenienti di una distillazione di crisi non sempre equa per i vignaioli o di dover far leva su pratiche, come quella dell’espianto, non certo di indolore applicazione, specie quando ad essere estirpate sono vigne figlie del lavoro di intere generazioni.