A Napoli da Otoro81 la cucina nikkei di Ignacio Hidemasa Ito è ricerca continua del “boccone perfetto”
Da Otoro 81, Ignacio Hidemasa Ito, tre Bacchette Gambero Rosso 2025 e Maestro del Sushi, seduce con la sua cucina di contaminazione
RISTORAZIONE - A Napoli, nel quartiere Chiaia c’è uno spazio unico nel suo genere, luogo di ristoro per il corpo e per l’anima. Magnolia, struttura di 1200 mq in pieno centro, oltre ad un accogliente centro benessere e diverse aree destinate a ristorazione e cocktail bar, riserva ai suoi avventori lo spettacolo di Otoro 81, terrazza all’ultimo piano immersa nel verde in cui protagonista è la cucina japanese fusion.
Un trend, quello della cucina nikkei, fatta di commistione tra sacralità orientale ed estro sudamericano, che trova terreno fertile in una terra come quella partenopea storicamente vocata alle contaminazioni e stratificazioni culturali al punto da farne filo conduttore della sua evoluzione e della definizione della sua poliedrica identità.
Questo giardino incantato che d’estate si apre alla vista diretta del cielo stellato, è il regno dello chef Ignacio Hidemasa Ito, brasiliano di nascita, giapponese di origine, da vent’anni adottato dalla città di Napoli.
Premiato con le Tre Bacchette 2025 nella nuova guida Sushi di Gambero Rosso, ed insignito del titolo di Maestro del Sushi tra i più bravi in Italia (riconoscimento riservato a soli otto professionisti nel nostro paese), Ignacio seduce con le sue creazioni che incantano appena esposte sul bancone della cucina a vista, opere d’arte frutto di una continua sperimentazione.
Il cibo, si sa, riflette la storia, e nello specifico, la cucina di Ignacio, quella nikkei, porta il ricordo della diaspora giapponese di fine Ottocento e di una seconda immigrazione di massa dopo la Seconda Guerra Mondiale verso il Sud America. Anche se il riferimento originario è alla cucina peruviana, che è la più conosciuta, in realtà “Nikkeijin” significa “emigrati giapponesi in terre straniere”. E in particolare, la cucina di Ignacio riporta alla sua terra d’origine: il Brasile, dove il crossover tra le due culture ha dato vita a piatti come ceviche, tiradito, temaki e uramaki.
La devozione al dato estetico, chiave dei suoi piatti, nasce dalla passione per la cucina Kaiseki, o cucina dell’imperatore, dove la preparazione pone al centro armonia e bellezza, oltre alla stagionalità delle materie prime e la capacità di esaltare ogni ingrediente.
Ignacio ha cercato di svilupparla a modo suo utilizzando i prodotti italiani e puntando sulla sua predilezione per l’amaro, un gusto che secondo lo chef l’Italia ha sviluppato più di tutti gli altri paesi e si contrappone all’acre della cucina orientale ma, se utilizzato con sapienza, può rappresentare una marcia in più.
Quindi spazio a cardo e ai carciofi, per citarne alcuni e anche al cavolo nero che ritroviamo, non a caso, in quello che lui definisce boccone perfetto, un involtino di ventresca con kaibashira, cavolo nero, caviale e pepe sancho, un’unica piccola portata, in cui ha condensato sogni, convinzioni e il suo personale concetto di fusion.
Il suo menù, rielaborato mese per mese, è un viaggio nella cucina che fonde la tradizione Giapponese e quella Brasiliana: si seleziona il pescato che il mare nostrum riserva giorno per giorno e può essere utilizzato per fare nigiri, sashimi, capraccio e tartare.
E per chi crede che la cucina giapponese sia solo crudo la smentita arriva immediatamente grazie alla presenza di una robata in bella mostra al centro della sala, una griglia su cui gli alimenti vengono cotti a velocità variabili su carbone caldo.
Altro mito da sfatare quello dell’esclusione della carne: quella di Kobe, sdoganata con la revoca del divieto di consumo ai tempi della Restaurazione Meiji, è entrata da parecchio a far parte dell’alimentazione nipponica e lo chef, scientifico anche nelle quantità, ne consiglia un massimo di 50 grammi per apprezzarla al meglio.
Varcando la soglia di Otoro 81 Ignacio invita ad un viaggio fatto di continue scoperte accompagnandolo nelle sue sperimentazioni dove alcuni elementi restano punti fermi: “Tutto si può reintepretare ma alla base c’è sempre la scelta del pescato, la qualità del riso e la croccantezza dell’alga: tutto il resto è adattamento al contesto e sensibilità nell’interpretare i desideri del cliente”.
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