Il volto nuovo delle città. Focus su aperture e chiusure di ristoranti e alloggi dal 2012 al 2021
Settima edizione dell'osservatorio sulla demografia d’impresa dell'Ufficio Studi Confcommercio presenta l'analisi del cambiamento nelle città italiane negli ultimi 10 anni, con un focus su ristorazione e alloggi
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L'Ufficio Studi Confcommercio ha presentato la settima edizione dell'Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane realizzata in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne.
Negli ultimi dieci anni, dal 2012 al 2021, si è assistito a un profondo cambiamento del tessuto commerciale delle città, con una tendenza alla riduzione progressiva: hanno chiuso, infatti, 85mila negozi al dettaglio e quasi 10mila attività di commercio ambulante. In controtendenza, però, sono in crescita una parte delle attività di ristorazione, come quelle di street food e take away, e alcune tipologie di alloggio, quali i bed and breakfast e gli appartamenti per soggiorni brevi.
Per i 120 comuni è stato analizzato, dal 2008 a giugno 2021, l’andamento dello stock delle imprese del commercio al dettaglio, inclusi gli ambulanti, ripartito in 11 categorie merceologiche, e dei settori degli alberghi e delle attività di ristorazione. Anche la voce "altro commercio" risulta interessante in termini Horeca, perché riguarda anche società che vendono online e i distributori automatici.
Riduzione dei consumi: un fenomeno iniziato prima della pandemia
In nove anni, come anticipato, sono scomparsi quasi 85mila negozi fisici, di cui quasi 4.500 durante la pandemia. Oggi i consumi in termini reali sono sotto i livelli del 1999 e lo stesso parametro in termini pro capite si colloca sotto i valori del 1998, cioè 17.297 euro del 2021 contro i 17.708 euro di 25 anni fa. Tutto ciò però viene smentito quando si parla di ristorazione e turismo.Commercio fisso e ambulante, pubblici esercizi e alberghi
È sempre positiva la dinamica dei pubblici esercizi, anche se la qualità dell’offerta, causa effetto composizione, rischia di deteriorarsi. Va benissimo l'accentuazione della vocazione turistica dell'Italia nell'ultimo decennio, pure tra mille difficoltà. C’è, però, qualche punto interrogativo sul fatto che il numero di alberghi in senso lato nei centri storici del Mezzogiorno sia cresciuto dell’89,3% contro un più “normale” 34% del Centro-Nord. Stessa cosa per le periferie e stessa cosa per bar e ristoranti: Confcommercio ipotizza che potrebbero esserci problemi di qualità dell'offerta. Resta comunque da spiegare perché anche durante gli ultimi anni, caratterizzati da chiusure, timori e blocchi agli spostamenti, i registri camerali segnalino una crescita delle attività più colpite dalla crisi, quelle in qualche misura legate al turismo in senso lato, cioè alberghi e pubblici esercizi. La crescita tra la fine del 2019 e la metà del 2021 è pari all'1,7%, circa 5.600 attività. Che molte strutture siano chiuse e appaiano come vive nei registri è un fatto certo di cui si ha evidenza in termini di spesa sul territorio: rispetto ai livelli di consumi pre-Covid, ristorazione e alberghi sono ancora distanti con percentuali comprese tra il -20% e il -35%. Partendo dagli alberghi effettuiamo la distinzione tra alberghi propriamente detti e altre strutture ricettive, le quali ultime hanno connotazioni poco strutturate. Si vede bene che a crescere sono le strutture di alloggio tipo B&B o appartamenti per soggiorni brevi o di altro genere, mentre gli alberghi veri e propri sono fermi. Nei centri storici delle città, soprattutto quelle più vocate al turismo, alla riduzione degli esercizi commerciali la pandemia ha inflitto il fenomeno del tutto nuovo della riduzione degli alberghi favorendo una crescita tumultuosa delle altre attività di alloggio. Rimane da capire la dinamica dell’aggregato bar e ristoranti; separando i bar dal resto, questi appaiono in riduzione piuttosto netta ed è quasi doppia, negli ultimi due anni, nei centri storici delle città d’arte rispetto agli altri centri storici. Per quanto riguarda la ristorazione, il problema è che l’Istat mette dentro attività piuttosto eterogenee dentro l’ATECO 51: dai ristoranti veri alle friggitorie ai take away e così via. Insomma, accanto ai locali con vero e proprio servizio c’è tutta l’area dello street food. È pertanto complesso stabilire i movimenti rilevanti che determinano questa strana crescita in tempi di pandemia. Confcommercio effettua così qualche congettura, basandosi sui dati e sui trend del periodo. Ad esempio, l’effetto composizione determinato da uno spostamento tra sotto-codici ATECO all’interno degli aggregati, quando una quota bar si è trasformata in esercizi con somministrazione; il permesso di tenere per esempio i tavolini all’aperto con maggiore facilità ha spinto in questa direzione. Inoltre, una quota di ristorazione senza somministrazione, tipo take away si è mossa nella stessa direzione e questo lo vediamo indirettamente dall’incremento di quota di imprenditori stranieri nella ristorazione tradizionale che provengono da quella senza somministrazione.Commercio Online e Commercio Tradizionale
Un’attenzione particolare merita anche la relazione commercio online e commercio tradizionale. Nonostante la diminuzione del numero dei negozi dipenda dalla riduzione dei consumi e da un processo di efficienza della distribuzione commerciale, bisogna evidenziare che, in termini macroeconomici, prevale la relazione di sostituzione tra canali di vendita. La competizione tra i due canali si è accentuata ulteriormente durante il periodo di pandemia, o meglio, ne è stata un’effettiva conseguenza. La tendenza è quella di superare la distinzione netta tra online e tradizionale per far convivere le due realtà e consentire che, alla crescita dei servizi online non corrisponda la riduzione delle vendite dei beni. https://www.youtube.com/watch?v=KYqwA-mVZv0 Per maggiori informazioni: www.confcommercio.it
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