Il vino non sfugge alla shrinkflation: prezzo identico ma minore quantità di prodotto nei calici e in bottiglia
Anche il mondo del vino a seguito della crisi inflazionistica è interessato dal fenomeno della shrinkflation: dalle taverne ai ristoranti di lusso la pratica di versare una minore quantità di vino per calice mantenendo invariato il prezzo si starebbe diffondendo rapidamente rischiando di arrivare agli scaffali della distribuzione dove a poter essere ritoccati sarebbero formati e contenuto delle bottiglie.
Il mondo del vino si trova da mesi ad affrontare una crisi inaspettata quanto complessa, scatenata dall’innescarsi del conflitto russo ucraino su uno scenario post pandemico già di per sé destabilizzante.
Con l’aumento incontrollato dei costi delle materie prime, le forti criticità negli approvvigionamenti di materiali fondamentali come bottiglie, tappi ed etichette e la carenza di manodopera, le aziende vitivinicole hanno fatto fatica a trovare soluzioni alternative all’aumento dei prezzi ed hanno dovuto imboccare questa strada come l’unica percorribile, considerato che i margini sono sempre più stretti e i fatturati rischierebbero un netto ridimensionamento.
Il contraltare di tale scelta inevitabile, con un potere di acquisto quotidianamente eroso, è stato un approccio ai consumi che ha visto l’inizio dei tagli soprattutto per i beni voluttuari, unitamente ad uno spasmodico controllo delle variazioni sugli scaffali.
Uno scenario che ha favorito il ritorno di un fenomeno noto come “shrinkflation”, una strategia adottata soprattutto dalle multinazionali per far fronte alla contrazione negli acquisti di beni di largo consumo generata dall’inflazione.
Sul mercato si fanno circolare prodotti il cui prezzo resta invariato ma la cui quantità viene ridotta, o mantenendo identico il packaging e andando ad agire solo sulle unità contenute, condizione fuorviante per il consumatore che crede di continuare ad effettuare acquisti come se nulla fosse accaduto, o modificando con una scusa la confezione ma di fatto mascherando altre variazioni del prodotto.
Si fa affidamento sul fatto che il particolare focus sui prezzi in questa fase non è corredato da una verifica dei pesi netti o di dettagli come il numero di pezzi contenuti. In concreto le aziende vanno ad agire sia sul peso (ad esempio tavolette di cioccolato che diventano più piccole, biscotti che diventano meno numerosi, bustine di tè che passano da 25 a 20) che sulle dimensioni delle confezioni (ad esempio bottiglie più piccole), un trucco che ha come scopo quello di mascherare l’inflazione salita ormai all’8%.
La sgrammatura dei prodotti non è una nuova pratica, le aziende la utilizzano da tempo, una tecnica come un’altra per aggirare le crisi. Ma per il settore vitivinicolo agire sui formati è sicuramente più complesso richiedendo grossi investimenti e dando nell’occhio dal momento che sono strettamente legati non solo alla tradizione ma anche ad esigenze di carattere distributivo.
Eppure il taglio delle quantità inizia a fare capolino anche nel mondo enoico e se non sono le corsie dei supermercati ad essere teatro della shrinkflation, tocca a ristoranti e wine bar dare spazio alla pratica che già fa discutere, soprattutto negli Stati Uniti, in particolare a New York.
Dalle colonne del New York Post arriva la notizia che dalle taverne ai locali più raffinati alcuni clienti sono spinti a consumare il doppio perché ricevono dosi ridotte di vino a prezzi maggiorati. Con una bottiglia di vino standard, che contiene 25,4 once, si sono sempre serviti 4 bicchieri, versando 6 once per ciascuno, ma oggi la tendenza è quella di prevedere 5 once per calice, che con una bottiglia standard corrisponderebbe a 5 bicchieri, o addirittura 4 once ottenendo 6 bicchieri, tutti pagati allo stesso prezzo di qualche mese fa.
Una situazione che sta diventando spesso imbarazzante, con i clienti che reclamano e i camerieri costretti a riparare rabboccando i bicchieri semivuoti. Molti ristoratori sostengono che parte del problema è la tendenza ad utilizzare calici più grandi e sofisticati che ridimensionano la percezione di quantità di vino contenuta, ma di fatto è palese il tentativo di far fronte alla crisi con soluzioni emergenziali e per nulla corrette.
Il rischio è che la pratica si diffonda rapidamente su scala globale e che dai calici passi anche alle bottiglie, con benefici per i soli ristoratori e per le aziende produttrici e a danno alle tasche di chi il vino lo acquista in piena fiducia. Le associazioni di tutela dei consumatori sono già in allerta, pronte a segnalare all’Antitrust le violazioni denunciate, ma bisognerà tenere la guardia alta per evitare che il fenomeno dilaghi a discapito di un potere di acquisto già fortemente compromesso.
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