Prosecco: si riapre il conflitto tra Italia e Australia, negoziato UE a rischio
La storica diatriba tra Italia e Australia sul Prosecco ha un suo nuovo colpo di scena che potrebbe minare il negoziato con l’Unione Europea per il riconoscimento dell’Indicazione Geografica
Negli ultimi dieci anni il fenomeno Prosecco non ha mai smesso di lasciare stupefatti gli osservatori per i numeri che è riuscito a macinare oltre ogni previsione. Riconosciuto come locomotiva economica dell’Italia enoica soprattutto per l’export, cui è destinato l’80% della produzione, con le sue tre denominazioni nel 2022 ha toccato i 750 milioni di bottiglie vendute (628 milioni di Prosecco Doc, 103 milioni di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg e 20 di Asolo Prosecco Docg) e un giro d’affari complessivo stimato in oltre 3,5 miliardi di euro. Un business che è diventato progressivamente sempre più appetibile se si considera la crescita dell’attenzione dei consumatori di tutto il mondo rispetto al segmento sparkling, condizione che ha alimentato i tentativi di imitazione da parte di altri paesi per sfruttarne la popolarità, dal caso del Proseck croato, a quello dei plagi argentini, per arrivare alla diatriba più annosa e spinosa che ancora oggi riserva colpi di scena in materia di difesa del brand, quella che vede protagoniste Italia ed Australia. La querelle risale ai primi anni del 2000 quando da un lato i produttori italiani si iniziarono ad impegnare nella tutela e nella regolamentazione dell’integrità del marchio di un prodotto che, come immaginavano, avrebbe conquistato i mercati, mentre gli australiani accoglievano le prime barbatelle di Prosecco nelle loro terre dedicandosi alla loro coltivazione, dando per scontato che avrebbero potuto etichettare i vini che ne avrebbero ottenuto con lo stesso nome del vitigno di origine. Le posizioni divennero però presto divergenti, dopo che nel 2009 il vitigno Prosecco venne registrato come Glera all’interno dell’Unione Europea e il Prosecco riconosciuto come Indicazione Geografica (IG) con riconoscimento di Veneto e Friuli Venezia Giulia come regioni di elezione, e province individuate quelle di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza per il Veneto, e Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine per il Friuli. Questa nuova regolamentazione ha portato i produttori italiani a sollecitare il divieto di utilizzare il termine Prosecco per i vini figli di territori diversi da quelli nostrani trattandosi non più del nome di un’uva ma di una Denominazione Geografica protetta, e l’UE si è battuta in tal senso nei mercati globali riuscendo ad ottenere la registrazione del marchio Prosecco come Indicazione Geografica in molti paesi, ultimi in ordine di adesione la Cina e la Nuova Zelanda, oltre a vietare l’importazione verso i paesi dell’Unione di prodotti chiamati Prosecco. Cinque anni fa è stato aperto anche un negoziato con l’Australia per un accordo di libero scambio che consentisse di ottenere lo stesso risultato, il riconoscimento dell’Indicazione Geografica, ma ad oggi non si è mai addivenuti alla sua definizione perché la posta in gioco è molto alta considerato che si parla di uno dei mercati di spumanti in più rapida crescita con un valore totale della produzione di Prosecco locale stimato in circa 205 milioni di dollari. Se l’Australia dovesse rispettare le indicazioni geografiche europee i viticoltori australiani lamentano che andrebbero incontro alla necessità di un rebranding totale dei vini frizzanti prodotti con uve glera che potrebbe costare decine di migliaia di dollari oltre a ingenerare confusione nei consumatori locali, cui è destinato il 95% della produzione, abituati ad una nomenclatura che oggi rischia di essere negata. Per questo motivo il Governo australiano, in risposta alle sollecitazioni ricevute, ha avviato una procedura pubblica per dare alle parti la possibilità di esprimersi sulle nuove IG vinicole proposte e aggiornate dall’UE. In questo scenario si inserisce l’ultimo atto del conflitto, la notizia di pochi giorni fa dell’esistenza di uno studio australiano condotto dalla Monash University di Melbourne e dalla Macquarie University di Sydney dal titolo “I tentativi dell’Unione Europea di limitare l’uso del termine Prosecco”. Il rapporto, frutto di un lavoro di 5 anni e corredato da “ampie prove” che risalirebbero al 1700 a sostenere che il Prosecco è un vitigno, dimostrerebbe la mancanza di evidenze atte a giustificare il Governo Italiano e l’Unione europea nell’averne cambiato il nome in Glera nel 2009. Proteggere il termine Prosecco tramutandolo in indicazione geografica sarebbe derubricato a cinico tentativo di evitare la concorrenza dei produttori di vino australiani essendo il prosecco riconosciuto per secoli come nome di un’uva. Lo studio dovrebbe supportare il Governo australiano nel suo processo di obiezione pubblica sulle IG dell’UE, e potrebbe mettere in discussione il buon esito di una lunga ed estenuante trattativa con al suo attivo 14 incontri dal 2018. Si rischia ancora una volta di cadere in una fase di stallo nonostante l’accordo faciliterebbe scambi per un valore di 27 miliardi di euro. Intanto il danno in mancate vendite del Prosecco italiano in Australia continua a lievitare, stimato in 150 milioni di euro in termini di fatturato perso per le imprese nostrane e in circa 300 milioni di euro in termini di valori di vendita sul mercato australiano.