Intervista a Giuseppe Stanzione, Executive Chef del ristorante Glicine al Santa Caterina di Amalfi
Abbiamo intervistato lo chef Giuseppe Stanzione per scoprire come è nata la sua passione per la cucina, come si è evoluta e la sua idea di fine dining
Giuseppe Stanzione è alla guida del Glicine, stella Michelin all'interno dell'Hotel Santa Caterina di Amalfi, antica struttura in stile Liberty a picco sul mare della Costiera Amalfitana, immersa tra lussureggianti bouganville e profumatissimi limoneti.
Il suo background formativo che lo ha visto crescere tra l’Italia e l’estero, contribuisce a dar vita ad una cucina tradizionale, fatta di piatti legati a prodotti del territorio, dai sapori intesi e riconoscibili, una cucina mediterranea che vuole essere diretta e comprensibile, realizzata con tecniche di cottura moderne ma anche con influenze internazionali negli accostamenti e nei profumi. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo più da vicino, scoprire come nasce la sua passione per la cucina, come è evoluta nel corso degli anni e qual è la sua idea di fine dining.
Chef come nasce la passione per la cucina? Da bambino pensava già di fare il cuoco?
In verità no. Siccome ero un po’ turbolento capitava che mia madre di domenica mi mettesse in castigo vietandomi di uscire con gli amici e allora, più per dare fastidio che per curiosità o interesse, intralciavo lei e mia nonna in cucina con l’intento di stancarle e farmi liberare. Ma mia madre, furba, sapeva quali erano le mie intenzioni e mi tratteneva comunque. Da lì ho iniziato un po’ a giocare con gli attrezzi del mestiere, per impiegare il tempo magari davo un aiuto a preparare gli gnocchetti di pasta fresca, i cavatelli, le polpette, il ragù, insomma i piatti del pranzo domenicale. Nel mettere in atto un tentativo di evasione mi sono ritrovato a scoprire una passione.
Qual è il primo profumo, quello che più degli altri è rimasto impresso nella sua memoria e si porta dietro?
Quello dei carciofi arrostiti, una tradizione familiare e del mio paese di origine, la domenica mattina inonda tutte le strade, ogni angolo di Pagani, nelle varie corti ogni famiglia si mette all’opera con il suo braciere e li prepara.
Qual era il suo piatto preferito da ragazzo?
A dire il vero ce ne erano e ce ne sono ancora tanti, tutti legati alle tradizioni della famiglia, che per me è grande punto di riferimento, riconduco tutto ai valori familiari, ma, se dovessi sceglierne uno, direi pasta e fagioli, di mia madre, si intende.
Qualcosa che invece non riusciva proprio a mangiare?
Il fegato, anche se adesso per deformazione professionale lo provo, diciamo che non è nelle mie corde e non è neanche tra i piatti che preferisco cucinare.
C’è una persona che ha influito sul suo percorso professionale o è stata una sua scelta, una strada che ha imboccato da solo?
Diciamo che è stata in primis una mia volontà che ho intrapreso e portato avanti con grande impegno anche se potrei ringraziare tante persone che ho incontrato lungo il percorso. Credo che quello dello chef sia un lavoro che si può solo scegliere perché se non ci si è portati difficilmente lo si riesce a fare.
Che carattere bisogna avere per diventare un grande chef?
Bisogna essere tenaci e sapersi relazionare in modo diverso a seconda delle situazioni e delle persone con cui si interagisce quotidianamente, dal personale di cucina, a quello di sala, per arrivare ai clienti, ciascuno con il suo carattere e le proprie esigenze. Mantenere il giusto equilibrio per far quadrare tutto, un impegno che si rinnova ogni giorno.
Come ha vissuto il riconoscimento della prima stella e cosa ha rappresentato per lei?
La prima stella è arrivata nel 2008. Era sicuramente una cosa fortemente desiderata, quindi ha contato molto, ma più che il coronamento è stato l’inizio di un sogno. Come ripeto costantemente alla mia squadra, siamo solo al principio di un percorso che voglio continuare a portare avanti insieme a loro ottenendo risultati sempre più sfidanti e tenendo presente che lavoriamo soprattutto per i nostri clienti, non per i riconoscimenti.
Al Glicine quanto conta la tradizione e come si coniuga con il concetto di cucina gourmet?
Sono molto legato alla tradizione e ai prodotti del territorio ai quali cerco di dare una veste nuova, texture differenti, ma facendo in modo che i piatti siano diretti, dando a chi mangia la possibilità e l’emozione di riconoscere quello che sta assaporando.
La tradizione si può sicuramente coniugare con il concetto di cucina gourmet purchè se ne dia la giusta interpretazione. Per me gourmet non è necessariamente un piatto realizzato con dieci elementi o con diverse tecniche o texture, è semplicemente un piatto riuscito bene. Si può definire tale anche uno spaghetto al pomodoro, come quello che abbiamo ancora in carta da quando abbiamo ricevuto il riconoscimento della stella, un piatto tradizionale, che nasce dalle nostre radici, quello che conta è che alla base ci siano ingredienti di massima qualità trattati nel modo giusto.
Come definirebbe la sua cucina con pochi aggettivi?
Diretta, riconoscibile, territoriale e contemporanea.
Cucina mai a casa?
No. Cucina mia moglie che tra l’altro è la mia più grande critica, soprattutto quando viene qui al ristorante.
E lei critica sua moglie per i piatti che le prepara?
Mai, mi toccherebbe cucinare e quando sono a casa preferisco dedicare il tempo ai miei figli.
In che direzione sta andando il fine dining?
Questo è un tasto dolente, credo che la soddisfazione dei clienti non sia più alta come quella di una volta. A mio giudizio uno dei fattori principali è che non si ha più la possibilità di scegliere al ristorante. Un tempo quando c’era un gruppo di persone si proponeva un menù degustazione e si cercava di portarli in quella direzione ma non era un obbligo. Ormai se si decide di andare a pranzo o a cena in uno stellato anche in due bisogna decidere cosa mangiare al momento della prenotazione.
Si dovrebbe riaprire alla scelta libera, per questo al Glicine oltre al menù à la carte abbiamo tre menù degustazione rispetto ai quali il cliente può scegliere di prendere anche meno portate, magari perché non riesce a mangiarne per motivi di abitudini personali o di salute.
È vero che in alcuni posti si va per fare delle esperienze, ma si esce anche per passare una bella serata, per stare con la famiglia, con gli amici e a volte si dovrebbe avere la possibilità di decidere più liberamente cosa mangiare.
Lo chef
Classe 1978, nato e cresciuto a Pagani, in provincia di Salerno, dopo aver conseguito il diploma alla Scuola Alberghiera di Nocera Inferiore inizia il suo percorso professionale all’estero: California, Asia, Australia e poi di nuovo Europa. Riapprodato in Italia si forma al seguito di numerosi chef stellati, Angelo Troiani, Bruno Barbieri, Agata Parisiella, Alfonso Pepe, Pino Lavarra, e dopo diverse esperienze come responsabile di cucina nel 2008 approda alla guida di Casa del Nonno 13 a Mercato San Severino, insignito nello stesso anno con una Stella Michelin, riconfermata per i due anni successivi. Nel 2011 prende il comando della cucina del Ristorante “Le Trabe” di Capaccio-Paestum, dove centra e bissa la stella Michelin nell’anno 2013 riconfermandola, fino a quando, a dicembre del 2018, alla ricerca di nuove sfide, si trasferisce nel cuore della costiera amalfitana diventando executive Chef del ristorante Glicine dello storico Hotel Santa Caterina di Amalfi.
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