Le sfide del mondo enoico si giocheranno sulle percentuali di alcol?
Il mercato dei vini dealcolati o a basso contenuto alcolico desta grande interesse per le prospettive che, secondo gli analisti, sarebbero più che rosee ma è anche foriero di grandi polemiche, come quelle esplose in occasione dell’ultima edizione di Vinitaly.
Quello dei vini dealcolati o a basso contenuto alcolico è un mercato che desta grande interesse per l’evoluzione avuta negli ultimi anni e per le prospettive che, secondo gli analisti, sarebbero più che rosee.
Una ricerca Nielsen evidenzia come la prima metà del 2021 abbia fatto registrare un incremento delle vendite del 43%, rendendo quella dei vini alcol free la seconda categoria del comparto enologico in più rapida crescita.
Nonostante fino ad oggi tra gli alcolici sia stata la birra a conquistare i risultati più lusinghieri, costituendo la fetta maggioritaria del mercato totale dell’analcolico o a basso contenuto alcolico, una recente indagine di IWSR anticipa come entro il 2025 l’intera categoria aumenterà dell’8% e il segmento dei vini, che oggi in volume rappresenta il 3,5%, è destinato ad una crescita in egual misura.
Di fronte a questo scenario particolarmente favorevole viticoltori, puristi, critici e addetti ai lavori del mondo enoico continuano a storcere il naso, specialmente in Italia e in Francia, non accettando che l’alcol free sia messo in relazione a quello che i più definiscono come il mercato vero, autentico, l’unico in cui la parola “vino” potrebbe essere utilizzata propriamente.
La querelle è sbarcata anche a Vinitaly, in occasione dell’ultima edizione della fiera, complici le scelte di alcuni produttori italiani, Martin Foradori Hofstätter e Sandro Bottega in testa, di presentare le loro novità in tema di prodotti dealcolati. In tanti hanno gridato allo scandalo e suggerito che per il futuro gli eventuali espositori di prodotti alcol free siano relegati in padiglioni ad hoc per rimarcare l’estraneità rispetto alla filiera vitivinicola.
Provocazioni che i due imprenditori, eccezione del panorama italiano, hanno fatto scivolare, dichiarando di aver intrapreso questa strada tenendo conto del cambiamento dei tempi e dei comportamenti di consumo, convinti che i dealcolati e i low alcol non siano in concorrenza con il vino ma con gli altri prodotti analcolici da aperitivo, e rappresentano uno dei più promettenti trend da cavalcare.
Foradori e Bottega li considerano come rientranti a pieno titolo nella filiera enoica perché fatti con l’uva, quindi parte integrante del comparto vitivinicolo, e mentre si attende che in Italia se ne sblocchi la produzione, al momento in stand by a causa di alcune disposizioni della normativa vigente, non si dovrebbe rifiutare di riconoscerli come una sfida strategica per le aziende nostrane.
Ma come orientarsi per la produzione e la scelta dei pubblici e mercati di riferimento?
Un’analisi di Wine Intelligence punta il dito su cinque fattori chiave.
In primo luogo bisogna partire dalle motivazioni funzionali che spingono al consumo di vini senza o a basso contenuto di alcol: una maggiore attenzione al benessere e alla salute rappresentano per quasi tutti i mercati la spinta principale che potrebbe portare con sé l’effetto di far passare in secondo piano la qualità del prodotto, storicamente considerata elemento centrale nella scelta del vino alcolico.
Questo aspetto è particolarmente importante perché sulla base di quanto evidenziato dall’indagine sembrerebbe che i consumatori sarebbero disposti ad accettare un prodotto che veda ridimensionate le proprie caratteristiche in termini di qualità a fronte del soddisfacimento di bisogni considerati primari: ciò che conta è che se un prodotto si presenta come vino ma con livello alcolico inferiore o nullo, deve comunque assomigliare al vino, a partire dal packaging, essere contenuto in una bottiglia che lo faccia sembrare vino, e avere un sapore il più possibile vicino al vino. Ciò si traduce ovviamente anche nelle aspettative di gusto e nella percezione del valore.
Altro dato sotto osservazione sono le occasioni di consumo per comprendere quali si prestano maggiormente per il segmento dei vini senza o a basso contenuto di alcol. La maggior parte delle prove di nuovi vini senza alcol riguarderebbero il consumo entro le mura domestiche, quindi occasioni informali come il drink a casa dopo la giornata lavorativa, prima, durante e dopo cena, rispetto alle quali c’è una maggiore propensione alla sostituzione dei vini a contenuto alcolico pieno.
Per quanto riguarda invece le aspettative di gusto per lungo tempo hanno rappresentato una delle maggiori barriere all’acquisto di questi prodotti e per certi versi possono esserlo ancora perché, nonostante le tecniche di produzione e la qualità dei vini dealcolati e a basso contenuto alcolico siano notevolmente cresciuti, il ricordo di esperienze deludenti del passato tendono ancora a condizionare le scelte del presente.
Nota dolente è rappresentata poi dal valore percepito di questi prodotti: la loro scelta rispetto ai vini a pieno contenuto di alcol si accompagna al convincimento che il prezzo da pagare debba essere rispetto ad essi pari o inferiore, condizione non certo favorevole per i produttori che sono tenuti a sostenere costi considerevoli e ad attendere i dovuti tempi per la rimozione dell’alcol. La soluzione potrebbe ritrovarsi in un corretto confezionamento, nella riconoscibilità del marchio e nel giusto posizionamento nell’ambito degli spazi della distribuzione.
Con riferimento al mercato potenziale le possibilità di convertire l’interesse per i vini alcol free o a basso contenuto alcolico in una prova di questi prodotti sono particolarmente alte.
Partendo dal presupposto che la conoscenza della loro esistenza è abbastanza diffusa, andando dal 66% dei consumatori abituali del Regno Unito al 25% di Giappone e Spagna, il loro utilizzo è minimo attestandosi ancora sul 5-6% dei consumatori abituali di vino in parte perché c’è una percezione di bassa qualità, in parte perché non se ne percepisce ancora effettivamente il valore, e infine perché non sempre risultano facilmente reperibili nell’ambito della distribuzione.
Ma si tratta di aspetti sui quali nel prossimo futuro per produttori e distributori sarà possibile lavorare sia in termini di comunicazione che di posizionamento per favorirne un maggiore consumo e per un ridimensionamento dei punti deboli, quali il valore percepito e la propensione all’acquisto.
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