Tra sostenibilità e premiumization il tappo in sughero mantiene il suo primato nel mondo del vino
Nel mercato delle chiusure il tappo in sughero a livello globale mantiene il suo primato nel mondo del vino, spinto dal fattore sostenibilità e dal fenomeno della premiumization, nonostante l’avanzare di soluzioni alternative
Il mercato delle chiusure nel mondo del vino è stato caratterizzato negli ultimi anni da un certo fermento, spinto dalle congiunture socio economiche, dalla volontà dei produttori di sperimentare nuove soluzioni che possono avere uno stretto legame con la filosofia produttiva ed enologica, ma anche dall’approccio di alcune fasce di consumatori più propense al cambiamento.
In qualche modo si è iniziato a pensare che la leadership del tappo in sughero, perno della storia e della tradizione enoica, con il suo mercato su scala globale da circa 1,8 miliardi di euro, potesse essere messa in discussione dall’avanzata di alternative come il tappo a vite, in vetro o in silicone.
Non che queste soluzioni non avessero già avuto i loro mercati di penetrazione, in particolare il Nuovo Mondo che ha accolto ormai da più di trent’anni una rivoluzione che è soprattutto culturale, se si pensa ai passi avanti che ha fatto la tecnologia rendendole sempre più performanti.
Oggi il 95% di tutti i vini neozelandesi, compresi i rossi di fascia alta, impiegano il tappo stelvin, stessa cosa vale per il 70% dei vini australiani, ma gli altri mercati approcciano le alternative con maggiore cautela.
La pandemia ha influenzato questo processo, come conferma uno studio dell’International Wines and Spirits Record (IWSR) secondo il quale tra il 2019 e il 2021 a livello globale la quota dei vini fermi chiusi con tappo a vite sarebbe passata dal 31 al 33%, arrivando al 36% tra gli scaffali della GDO.
Il trend è stato dettato dai canali che hanno spinto maggiormente le vendite in quel periodo, in particolare la grande distribuzione con i suoi prodotti prevalentemente entry level, più facilmente convertibili a chiusure alternative. C’è stato anche un contributo dei consumatori più giovani meno legati alla ritualità del tappo in sughero e più aperti rispetto alle nuove esperienze.
Mercati come quello italiano o francese, fino a poco tempo fa radicalmente chiusi, hanno iniziato a prenderci confidenza, così come quello tedesco e spagnolo, ma gli osservatori sapevano bene che questa flessibilità poteva essere temporanea e sostenuta dalle contingenze.
Non a caso con il rientro dell’emergenza sanitaria e la ripresa dell’Horeca, la tendenza ha subito un ridimensionamento ma soprattutto sono emerse nuove priorità nei consumi come nella produzione di vino: in particolare la centralità del tema della sostenibilità e il consolidamento del fenomeno della premiumization, due fattori che sembrano aver favorito il tradizionale tappo in sughero la cui domanda risulta oggi in crescita tanto che si riesce a soddisfarla con grossa difficoltà.
Etico, versatile e riciclabile il tappo prodotto dalla corteccia del Quercus suber, coltivato in Spagna, Tunisia e Italia ma principalmente in Portogallo, paese che conta un terzo degli alberi da sughero del mondo, rappresenta infatti la soluzione sostenibile per definizione.
Le foreste di sughero hanno un ruolo fondamentale per l’ecosistema immagazzinando attraverso la fotosintesi grandi quantità di carbonio nelle radici e nei rami e, dal momento che sono tra le poche a non essere abbattute per la raccolta, la loro funzione si protrae per almeno 200 anni, arco temporale che consente di effettuare dalle 15 alle 18 decortiche.
Per ogni singola tonnellata di sughero prodotta si parla di 73 tonnellate di CO2 catturate, e ogni tappo assorbe 392 gr di carbonio, motivo per il quale si considera ad impronta carbonica negativa.
Sul lato della premiumization, tenendo fuori le performance tecniche delle chiusure che sono state estremamente migliorate e perfezionate per tutte le soluzioni presenti sul mercato, quella del tappo in sughero rappresenta l’opzione preferita, associata per motivi prevalentemente culturali a livelli qualitativi più elevati, non a caso 91 vini sui 100 migliori al mondo secondo la classifica di Wine Spectator 2022 abbracciano questa soluzione.
Inevitabilmente la consuetudine e il fattore psicologico giocano quindi ancora a favore del tappo in sughero che si ritrova in sette bottiglie su dieci di quelle distribuite a livello globale.
Trattandosi di un prodotto naturale, che rievoca il passato, la tradizione, e soprattutto lascia intatto l’affascinante rituale della stappatura, continua a conferire una sorta di valore aggiunto al prodotto cui è associato, per cui è quello si adatta soprattutto ai vini di fascia premium e superiori che non sarebbero altrettanto apprezzati nei mercati più conservatori in un packaging non tradizionale.
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