Le sfide dello champagne tra mercati in espansione, nuovi trend e cambiamento climatico. Intervista a Vania Valentini
La Champagne vive un periodo di grande fermento. Ne abbiamo parlato con Vania Valentini, tra le voci più autorevoli in Italia in tema di bollicine d’Oltralpe, per un approfondimento sull’attuale scenario e sulle prospettive.
Superata la pandemia il mondo dello champagne vive una stagione di vera e propria esplosione, soprattutto a livello internazionale, grazie all’apertura di nuovi mercati con previsioni estremamente ottimistiche per il futuro. Eppure non mancano criticità da affrontare per sostenere una crescita difficilmente gestibile senza intervenire su diversi aspetti della produzione, della conduzione in vigna, il tutto supportato da una comunicazione efficace che accompagni il cambiamento. Le novità sono quindi tante, dalle modifiche al disciplinare di produzione per la revisione dei limiti della “reserve individuelle”, all’introduzione del primo vitigno resistente autorizzato, alla riscossa di territori come Aube e cultivar come il Meunier che fino a qualche anno fa non godevano di grande fortuna. Ne abbiamo parlato con Vania Valentini per un approfondimento sull’attuale scenario e sulle prospettive. Vania in primo luogo raccontaci come nasce la tua passione per il mondo dello champagne e come sei arrivata a diventare una delle voci più autorevoli in Italia in tema di bollicine d’Oltralpe. La scintilla è scoccata a Londra alla fine degli anni 90, ho scoperto la passione per un mondo che a quell’epoca in Italia era di fatto quasi sconosciuto e che mi ha poi accompagnato nel percorso di formazione prima come sommelier in AIS e poi in ALMA, la scuola internazionale di cucina di Gualtiero Marchesi. Al termine del perfezionamento come degustatore ufficiale ho avuto la fortuna di conoscere personaggi importanti dell’enogastronomia come Andrea Grignaffini, Pierluigi Gorgoni e Alberto Lupetti, giornalista ed esperto a livello mondiale di champagne, con il quale è iniziata una collaborazione che non si è mai interrotta. Il primo viaggio alla scoperta delle grandi Maison risale al 2014 con visite da Krug, Salon, Dom Pérignon, un’esperienza che ha definitivamente segnato il mio percorso insieme alla scelta di Lupetti di volermi come suo braccio destro nella redazione della sua Guida. Da allora la Champagne resta il centro dei miei studi, delle ricerche e della condivisione attraverso seminari e lezioni che tengo in tutta Italia.
Veniamo all’attualità. Analizzando i trend non si può che parlare di una crescita esponenziale degli ultimi due anni dello champagne, soprattutto dopo lo stop imposto dalla pandemia. Come si sta gestendo questa impennata anche a fronte di una vendemmia, quella del 2020, non particolarmente proficua e come si inserisce in questo quadro il cambiamento del disciplinare di produzione previsto per fine anno che punta a rafforzare la “Reserve Individuelle”? Non è facile spiegare questo fenomeno ma sembra che nei periodi di crisi economica e sociale la passione per lo champagne esploda, in una sorta di ‘ricerca spasmodica di quel piacere che si teme di perdere per sempre’ (da Samuel Cogliati). Imperversa già dal 2008, quando l’economia mondiale entrò in una fase di grande sofferenza destabilizzando il mondo intero, ed è quanto accaduto in occasione della pandemia. Negli ultimi due anni abbiamo, infatti, assistito a un boom dello champagne, con un’esplosione di nuovi mercati come le Filippine, la Corea del Sud e di altri, come l’America, che hanno visto crescere addirittura le importazioni (+64%) diventando per la prima volta 1° mercato in assoluto. Se si fosse inserita in questo solco anche la Cina ci sarebbero state difficoltà ancora più significative con le scorte, anche perché per organizzare container per questi paesi c’è bisogno di grandi numeri, condizione che avrebbe penalizzato ulteriormente i consumatori abituali che già hanno assistito ad un ridimensionamento delle quantità distribuite. Proprio a tutela di una continuità distributiva si è pensato, ed è passata come modifica al disciplinare, di rafforzare la “reserve Individuelle” (una riserva di vino base non ancora spumantizzato che può essere tenuta in cantina ed utilizzata per produrre le annate future, fondamentale per compensare le annate più sfortunate n.d.r.) che è arrivata a 10 mila chili per ettaro a partire dalla vendemmia del 2023, scelta che ha soddisfatto tutti, sia i negociant che i vigneron, e questo per andare a colmare delle carenze quantitative che possono manifestarsi in futuro, non solo per emergenze come la pandemia ma anche a fronte di altri problemi come la flavescenza dorata che sta preoccupando molti e l’imprevedibilità del clima.
Oggi si assiste ad un riposizionamento di alcune aree di produzione come Aube, e ad una ribalta di vitigni come il Meunier in passato considerati minori. Come interpreti questa piccola grande rivoluzione? Posso dire con orgoglio che parlavo di Aube e del suo potenziale già diversi anni fa e avevo già verificato, toccato con mano, quanto potesse essere bello questo areale, ancora classificato da molti produttori del Nord come di serie B perché troppo a Sud, troppo lontano dalla Champagne tradizionale, con suoli molto diversi e a cui in particolare manca il gesso. In realtà l’Aube ha la grande fortuna di essere la culla della biodinamica che è nata proprio in queste terre grazie al lavoro di sapienti vigneron come Fleury, Erick Schreiber, Alain Reaut, il famoso trio di Courteron. Il loro approccio è di grande attenzione al suolo, al terroir, alla vigna, in un mondo che va in una direzione sempre più green, l’Aube è posizionata benissimo perché offre tutto quello che oggi si cerca, un vino salubre, organico, sincero. Anche gli scenari, opposti rispetto a quelli del Nord, sono un punto di forza: tanta vigna, croci votive e silenzio, nessun red carpet, né accrediti stampa o degustazioni con gli Chef de Cave. Bisogna sudarsela la scoperta di questa regione e io credo che oggi, in un mondo sempre più attento e sensibile verso la terra, l’Aube stia vivendo il suo momento di meritato successo, anche grazie a una nuova virtuosa generazione di giovani vigneron che hanno viaggiato, studiato e hanno voglia di fare. A tutto ciò si aggiunge la tutela dei vitigni antichi, sono pochi, si parla dello 0,3%, e la capacità di mettere in campo una diversità di stili, di colori, di interpretazioni veramente molto interessanti che spesso strizzano l’occhio alla Borgogna. Stesso discorso per la riscossa del Meunier, un vitigno che trova il suo ambiente pedoclimatico ideale a Nord, nella Vallée de Marne. La sua opportunità se l’è potuta giocare perché vigneron come Jerome Prevost, Egly Ouriet e il rinomato Eric Taillet hanno dimostrato con il loro lavoro che poteva dar vita ad un ottimo champagne anche quando, negli anni 60, le Maison lo snobbavano e non lo volevano nelle loro cuvée. Oggi il Meunier sta vivendo un momento d’oro, probabilmente perché prevale la ricerca del diverso, dell’eccezione, di un vino sotto certi aspetti ”stravagante” ma che abbia tipicità, singolarità, autenticità. Mi vien da dire che oggi è il tempo di Aube e Meunier perché siamo attratti da un mondo più vero e leale.
Poche settimane fa l’Institute National de l’Origine et de la Qualitè della Champagne ha approvato l’ammissione del vitigno resistente Voltis per la produzione di Champagne AOC, notizia che ha fatto un po’ scalpore, probabilmente perché nell’immaginario collettivo una svolta del genere in qualche modo potrebbe rappresentare una discontinuità rispetto alla tradizione. Cosa ha spinto i produttori ad accettare questa grande novità e a sostenerla? Per quel che ho potuto capire il Voltis è stato accettato di buon grado per più di un motivo. Per la Champagne è il primo vitigno resistente alla peronospera, all’oidio, e sarà il primo ad essere incluso nel disciplinare AOC. Potrà occupare fino al 5% dei vigneti di una singola proprietà e concorrere fino al 10% nella cuvée dello champagne. Ascoltando la voce dei vigneron che hanno avuto la possibilità di coltivarlo ma anche di assaggiarlo alla cieca in un panel ristretto di esperti e produttori, pare che nella cuvée che lo include non si perda per nulla la riconoscibilità dello champagne, quindi si tratterebbe di un vitigno che consentirà di ottenere degli champagne più autentici, salubri, organici e che non andrà assolutamente a snaturare la fisionomia della bollicina che siamo abituati a conoscere, anzi lo farà molto di meno di altri vitigni più antichi minori come l’Arbanne, il Pinot Blanc, il Petit Meslier o il Pinot Gris. Allo stesso tempo consentirà di intraprendere una viticoltura sostenibile più attenta al terroir e alla vigna, riducendo drasticamente i trattamenti fitosanitari contro le malattie fungine e riducendo il rischio di perdita del raccolto che, soprattutto per chi lavora biodinamica, è molto alto.
Guardiamo al futuro: il cambiamento climatico rappresenta una sfida molto dura per un territorio dove l’altitudine massima si aggira intorno ai 300 mslm, con poche possibilità di ricorrere ad una dislocazione dei vigneti per preservare i livelli di acidità delle uve. Quali sono secondo te le azioni, anche strategiche e di lungo periodo messe in campo e che riscontri nel tuo costante dialogo con i produttori?
Il cambiamento climatico è ormai sotto gli occhi di tutti, lo dimostra il fatto che il luogo comune dell’ottima annata perpetua ha iniziato a vacillare. In Champagne siamo a sette, otto vendemmie ad agosto negli ultimi 25 anni, mai accaduto prima, un territorio dove il surriscaldamento climatico si fa sentire particolarmente perché non c’è possibilità di optare per altitudini più significative come è avvenuto per esempio in Italia in Franciacorta, in Trentino e in altre zone dove invece c’è la possibilità di spostarsi più in alto alla ricerca di escursioni termiche più incisive. In termini di azioni messe in campo per fronteggiare questo scenario negli ultimi anni ho notato che si utilizza sempre di meno la malolattica, si abbassano sempre più i dosaggi ma, soprattutto che in occasione delle degustazioni, sono sempre più presenti i Coteaux Champenois, i vini fermi rossi e bianchi della Champagne che quest’anno inseriremo anche noi in guida. Sappiamo che lo champagne originariamente era un vino fermo, e qualcuno racconta che oggi c’è aria di un ritorno al passato o di esercizi stilistici dei produttori. I vigneron che amano raccontare le cose come stanno mi hanno invece confessato che stanno già guardando al futuro e alle generazioni che verranno dopo di loro, come da tradizione di queste terre, cercando di inserire affianco alle bollicine i vini bianchi fermi perché probabilmente in futuro, già fra 50 anni, non si potrà più spumantizzare in Champagne. Mi rendo conto che è una affermazione fortissima, che non sarà accettata di buon grado da qualcuno, però purtroppo probabilmente sarà così. L’annata 2022 ha visto una acidità particolarmente bassa, e se è vero che anche i Ph al momento rimangono bassi va considerato che si stanno alzando comunque. La preoccupazione c’è, è concreta, e inserire questi vini fermi, cominciare a farli entrare nel nostro gusto e far appassionare non può essere altro che un modo di trovare un‘ancora di salvezza rispetto alla questione clima. Altro problema però è che l’uva in Champagne costa tantissimo, siamo arrivati a quasi 10 euro al chilo per una Grand Cru Chardonnay, questo significa che i vini bianchi e rossi fermi della regione costano quasi come uno champagne e non sono tanti ad oggi quelli che spenderebbero certe cifre potendo optare per altre celebri denominazioni italiane, ma anche francesi. È un mercato da costruire, anche con fatica.
Sul fronte dei consumi si parla spesso della distanza tra i giovani e il mondo del vino, una considerazione che secondo te vale in assoluto e allo stesso modo anche per lo champagne? In prospettiva quale ruolo potrà giocare questo segmento del mercato? Io non credo che i giovani siano distanti dal vino, da osservatrice del mondo sparkling posso dire che oggi sono tanti a scegliere il calice di bollicine come aperitivo, cosa che fino a dieci anni fa era impensabile, all’epoca si vedevano solo birre o cocktail. Si stanno appassionando e avvicinando a questo mondo perché è bello, ricco di riferimenti culturali, parlare di vino può diventare anche un vezzo, parte naturale della gestualità, è bello saperne sempre di più e avere un calice tra le mani. Per lo champagne il discorso è particolare perché è sempre stato visto come molto elitario e costoso ma questo muro si è rotto grazie anche ai tanti giovani vigneron champenois che hanno portato sul mercato prodotti originali, territoriali, dalle etichette accattivanti e che hanno reso lo champagne più pop, giovane e dai prezzi più accessibili, condizione che ha costretto anche le grandi Maison a scendere dal piedistallo e cercare di avvicinarsi un po’ a questo segmento portando in bottiglia dei vini un po’ più semplici, immediati e con retroetichette in cui si racconta cosa accade in vigna e in cantina. Un approccio più moderno, trasparente.
L’inflazione insieme all’incremento del costo delle uve e delle materie prime in generale ha inciso moltissimo sul livello dei prezzi. Lo champagne diventerà definitivamente un lusso per pochissimi?
La domanda è aumentata, l’offerta è minore, le materie prime scarseggiano e di conseguenza i prezzi sono aumentati, ma c’è anche una forte volontà di riposizionarsi in un periodo che vede una grande riscoperta del mondo sparkling in senso più ampio. A causa dell’innalzamento delle temperature e del cambiamento degli stili di vita divenuti più salutisti abbiamo modificato le abitudini anche a tavola, mangiamo più verdure, pesce, meno carne e, di conseguenza, anche il vino che accompagna le nostre giornate, i nostri piatti lo cerchiamo meno impegnativo, più leggero. Gli sparkling in questo risultano vincenti, difficile che una bottiglia di bollicine resti piena, più facile per i fermi, ma se è vero che il segmento è in crescita va detto anche che i prodotti della Champagne si stanno riposizionando per essere riconosciuti sempre più come di fascia premium, distinti dagli altri. Lo champagne vuole rimanere ancora champagne: il mito, il sogno di chiunque.
Vania Valentini – BIO Master Sommelier ALMA e Degustatrice Ufficiale AIS, Vania Valentini è Vice-Curatore per la Guida Grandi Champagne, scrive di bollicine su Passione Gourmet, su diverse testate online e sul suo sito vaniavalentini.com. Tiene inoltre lezioni dedicate alla Champagne alla Fondazione Mach di Trento e conduce numerosi seminari in tutta Italia dedicati alla Champagne e agli Sparkling Wine.