Vino, inflazione e austerity. Dopo la GDO anche il mondo Horeca in sofferenza
Dopo un’estate di ripresa convincente dei consumi fuoricasa, dove bar e ristoranti hanno fatto da traino per la vendita di vino, il settore enoico italiano va incontro ad un autunno carico di incognite e dovrà fare i conti con una politica di austerity che influenzerà le scelte della maggior parte delle famiglie.
Il primo semestre del 2022, segnato dall’esplosione del conflitto in Ucraina, dall’impennata dei prezzi delle materie prime e dell’energia e da tensioni internazionali crescenti, ha registrato un forte calo delle vendite di vino nella Grande Distribuzione Organizzata.
Nel nostro paese, secondo i dati Iri, la contrazione ha toccato il 7,7% (1,3 miliardi di euro rispetto ai 1,4 miliardi del 2021), e non ha fatto meglio fuori dei confini nazionali, con una performance del vino italiano sugli scaffali di Stati Uniti, Regno Unito e Germania in calo del 10,6% rispetto all’anno precedente (dati Osservatorio UIV-Vinitaly elaborati su base Nielsen).
Lo scenario materializzatosi è stato diametralmente opposto a quello vissuto in piena pandemia, quando il canale aveva rappresentato un vero e proprio paracadute per le aziende vitivinicole, offrendo una via di uscita di fronte alla chiusura forzata di ristoranti, bar ed enoteche.
A controbilanciare la tendenza delle vendite di vino in GDO a partire dalla scorsa primavera è stato proprio il canale HORECA, con una ripresa dei consumi On-Premise dettata dal desiderio di assaporare una libertà da tempo attesa e finalmente riconquistata.
Per i consumatori, pur consapevoli che nei mesi a venire sarebbe stata l’incertezza a fare da padrona sui mercati, è prevalsa la voglia di evasione dopo due anni in cui l’emergenza sanitaria aveva reso le vacanze precarie.
Si è dato fondo ai risparmi per godere appieno dell’estate prima di affrontare gli effetti della crisi che non hanno tardato a farsi sentire, anche attraverso un ulteriore balzo in avanti dell’inflazione che ha ormai raggiunto i livelli dei lontani anni Ottanta.
Va detto che i prezzi del vino ad oggi in Italia sono cresciuti del 4,3%, un valore relativamente contenuto se si pensa che per i prodotti alimentari in genere l’incremento si attesta intorno al 10%. Interessante anche il confronto con gli altri paesi europei dove i prezzi del vino crescono in media del 6,1%: la Spagna è in testa con un +8%, la Germania con +7,1% e la Francia con un +5,3% (dati Nomisma Wine Monitor).
Ma il dato di contenimento dell’Italia, probabilmente determinato anche dalla chiusura della GDO rispetto alla revisione dei listini, seppur controbilanciata da una maggiore malleabilità del canale Horeca, non sarà sufficiente a contrastare l’inevitabile contrazione dei consumi.
Secondo il Rapporto Coop 2022 realizzato dall’Ufficio Studi dell’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori (Ancc-Coop) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il caro bollette e l’impennata dei prezzi starebbero spingendo gli italiani a rivedere il proprio stile di vita e nei prossimi mesi le evidenze di questa inversione di tendenza si toccheranno con mano.
Con una classe media sempre più in difficoltà e una netta crescita delle aree di povertà (+ 6 milioni nell’ultimo anno) è inevitabile che si percepisca fortemente il senso di precarietà e che questo si traduca nella necessità di fare delle rinunce, specie se si considera che alla crescita dell’inflazione non corrisponde un adeguamento dei salari, con conseguente riduzione del potere di acquisto.
E così nei prossimi mesi il 18% degli italiani si dichiarerebbe costretto a rinunciare all’abitudine, fino a poco fa consolidata, di andare a mangiare al ristorante, o consumare vino al bar e in enoteca e addirittura il 36% avrebbe intenzione di ridimensionare il consumo anche casalingo di cibi e bevande, optando per quantità minori ma comunque con attenzione alla qualità, con ripercussioni anche sul carrello della spesa.
In questo contesto i vini di fascia premium si candidano ad essere tra quelli che meno risentiranno della contrazione delle vendite, sia perché la spending review non tocca i consumatori alto spendenti, sia perché anche tra chi dovrà ridimensionare i consumi potrebbe consolidarsi la tendenza a bere “meno ma meglio”.
Nonostante possano dunque ipotizzarsi delle sacche di resistenza alla crisi e alla deriva inflazionistica, per il comparto vitivinicolo si attendono mesi difficili dove bisognerà resistere ancora una volta alla turbolenza di un mercato incerto.
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