Vino e Mixology: il binomio che fa storcere il naso ai puristi ma anima il mercato Wine & Spirit
Il vino è sempre più protagonista della Mixology. Nella ricerca e sperimentazione protagoniste non solo le bollicine ma anche vini fermi
Quella del vino italiano è da sempre considerata una realtà fortemente tradizionalista e conservatrice, restia all’innovazione, eppure, di tanto in tanto, si apre, anche con forti accelerazioni, a contaminazioni che ne scuotono gli equilibri.
È il caso della crescente interazione con il mondo della Mixology, l’arte di creare drink con raffinatezza ed estro, che sta destando molta curiosità ed interesse, oltre a qualche polemica.
È significativo che i due più grandi eventi italiani del settore, Vinitaly e Merano Wine Festival, per l’edizione 2021 vi abbiano dedicato un’intera sezione con masterclass, approfondimenti e seminari volti a svelarne i segreti e le grandi potenzialità agli operatori della ristorazione, dell’ospitalità, dell’intrattenimento, delle enoteche e della grande distribuzione.
Per molti appassionati quella della miscelazione è una pratica difficile da accettare, considerata in antitesi con il loro naturale approccio al mondo enoico, che mette al centro l’esplorazione delle caratteristiche visive, olfattive e gustative del vino in modo integralista.
Ma a voler essere oggettivi non è poi una gran novità che il nettare di Bacco venga utilizzato per la preparazione di alcuni long drink, cocktail di bassa e media gradazione alcolica, dove un liquore o distillato viene combinato con un elemento analcolico o poco alcolico.
In altri termini, per quanto alcune voci parlino di una tendenza contraria alla tradizione enoica italiana, di fatto, piaccia o meno, la miscelazione ne è legittimamente parte integrante ed è stata ampiamente sdoganata, perché di famose alchimie a base di vino se ne sente parlare già da un po’ oltre a farne largo consumo.
Dallo Spritz, di derivazione austro-ungarica, che in Friuli Venezia Giulia era già diffuso alla fine dell’Ottocento, miscela a base di vino bianco e acqua gassata, che intorno al 1920 vide le varianti a base di Seltz e l’aggiunta di bitter, al Bellini di Giuseppe Cipriani primo barman all’Harry’s Bar, che nel 1948 diede vita ad un drink a base di prosecco e purea di pesca, così chiamato perché il colore ricordava la toga di San Francesco in una famosa opera del pittore Giovanni Bellini.
Oltre le resistenze, a favorire la convergenza tra i due mondi e a movimentare l’interesse dell’universo Wine & Spirits, sono probabilmente l’evoluzione dell’uno e dell’altro, dalla quale sono emersi diversi punti di contatto e, neanche a dirlo, opportunità di mercato.
Dal cocktail alla Mixology
Per comprendere cosa ci sia alla base di questo nuovo trend bisogna partire dalla considerazione della filosofia che ispira la Mixology che va oltre la semplice e tradizionale miscelazione per creare cocktail. Si tratta di una pratica, per non dire di un mix di arte e tecnica, che vuole creare esperienze di degustazione uniche che coinvolgano tutti i sensi, un po’ quello che accade nel mondo del food con la cucina gourmet. Il Mixologist è uno studioso e ricercatore di tecniche, di prodotti, di profumi ed essenze. Approfondisce ed applica temi scientifici come termodinamica, onde sonore, accelerazione centrifuga, mutuati dai laboratori di chimica per creare esperienze sensoriali che diventano estreme nelle versioni molecolari e high-tech. Utilizza strumenti di ricerca e sperimentazione come il sonicatore, per estrarre sapori e aromi non conosciuti da erbe, ortaggi e fiori, sfrutta la forza di rotazione della centrifuga per separare le miscele in strati di densità differente, utilizza tecniche di chiarificazione, riduzione, fermentazione per creare drink che esplorino nuove dimensioni e frontiere, come accade nell’alta ristorazione. È attento alla territorialità, ricerca prodotti locali che diventano centrali nella narrazione, stimolando il desiderio di conoscere la storia oltre le peculiarità dei luoghi. Il Mixologist è un alchimista che crea tensione e attenzione intorno ai suoi gesti lenti e misurati, molto diversi da quelli ai quali ci avevano abituati i bar tender con la loro preparazione acrobatica dei cocktail a base di mixer e bottiglie roteanti. In più è un narratore, un comunicatore che stabilisce un legame emotivo con il cliente, che non spiega tutti i dettagli tecnici ma lavora alla costruzione di fragranze e sapori evocativi anche coinvolgendolo, rendendolo così protagonista di un processo creativo unico e irripetibile. La Mixology come si intende oggi è quindi qualcosa che ha a che fare con l’accoglienza e l’esperienza, dove è l’ospite ad essere al centro, per questo motivo trova spazio nei bar di tendenza, nelle degusterie e nei migliori ristoranti del mondo.Mixology e mondo del vino: le sinergie e le opportunità
Date queste premesse si può comprendere come fosse inevitabile che il mondo del vino e quello della Mixology diventassero sempre più connessi e osmotici. Va da sé che da un punto di vista puramente commerciale in termini di volumi l’utilizzo del vino nel bere miscelato moltiplica le occasioni e i momenti di consumo. La riduzione della gradazione alcolica, che favorisce l’effetto “uno tira l’altro”, traina anche in termini di ampliamento di mercato, creando attrattività soprattutto rispetto ai più giovani, sensibili ai temi del basso contenuto alcolico e dell’alimentazione sana. E ci sono anche altri aspetti della Mixology che coinvolgono questo target: dalla ricerca della qualità, partendo dalla materia prima, dal suo studio, dalla riscoperta di elementi che esaltano la territorialità e la sostenibilità. In ultimo, ma non per importanza, il modo in cui la Mixology incontra il suo pubblico, fatto di attenzione al contesto, al racconto, all’approfondimento delle caratteristiche dei territori e del loro background attraverso la degustazione. Questo approccio diventa un punto di contatto molto forte con il mondo del vino dal momento che quest’arte potrebbe fungere da amplificatore della narrazione dei terroir di provenienza della componente enoica dei cocktail, un amplificatore di messaggi identitari e valorizzanti le denominazioni, i distretti, le produzioni autoctone. Un messaggio che tra l’altro con il nuovo approccio alla miscelazione fatto di sperimentazione e ricerca, non si limiterebbe solo alla realtà delle bollicine, fino a qualche anno fa protagonista indiscussa nella pratica della creazione di long drink, ma si estenderebbe anche ai vini fermi, rossi, bianchi e rosati. Alcuni consorzi, come quello dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti, stanno già portando avanti progetti finalizzati a posizionare le proprie specialità nel mondo della Mixology, con l’obiettivo di rendere l’immagine e l’utilizzo dei propri prodotti più dinamica e contemporanea. La corsa alla conquista di visibilità nell’ambito di una tendenza destinata a lasciare il segno nel prossimo futuro è quindi aperta, sta alle realtà del mondo vitivinicolo saper interpretare e cogliere al meglio questa nuova opportunità. [contact-form-7 id="1103" title="Form Articoli"]
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