La pizza cambia passo e linguaggio, a Milano. Il caso “Confine”

Con Confine la pizza cambia passo e linguaggio, spostando il confronto su alta ristorazione ed esperienza gastronomica, con un’idea di accoglienza autentica.

22 Dic 2025 - 15:17
La pizza cambia passo e linguaggio, a Milano. Il caso “Confine”

PIANETA PIZZA - Milano è una città che non concede molto tempo per spiegarsi, o trovi il tuo posto oppure vieni assorbito, masticato e restituito sotto forma di rumore. Nel panorama ipercompetitivo della ristorazione cittadina la pizza ha impiegato anni per emanciparsi dall’idea di comfort food veloce, conviviale, senza ambizioni narrative, eppure da qualche tempo qualcosa è cambiato.

Confine” nasce in questo contesto, nel punto esatto in cui due ragazzi salernitani, Francesco Capece e Mario Ventura, decidono di esportare nella capitale meneghina la loro esperienza nel mondo del disco lievitato e del beverage, muovendosi dal primo momento su un piano di confronto nuovo, spostando concettualmente e strutturalmente il focus sulla ristorazione e non come provocazione, come conseguenza.

Varcando la soglia dei locali il paradigma si respira: non c’è folklore, scenografia napoletana, non c’è la rassicurazione del già visto. La sala è composta, il ritmo misurato, l’accoglienza è calda ma strutturata, ti senti a tuo agio, ma non sei semplicemente “a casa”, sei in un luogo pensato, progettato, governato, un dettaglio sottile ma decisivo perché l’informalità in quel tipo di cornice non è casuale, è una scelta.

Il servizio è uno degli elementi che più spostano l’asse percettivo: attento, puntuale, mai invadente, omette il tono complice bandendo al tempo stesso la rigidità del fine dining più ortodosso e la gestione dei tempi, non a caso, è chirurgica. Il percorso degustazione non è un vezzo ma il centro dell’esperienza e non perché obbligatorio ma perché tutto è costruito per portarti lì, dove Confine racconta davvero chi è.

Il menu: non pizze, ma piatti

Il menu è un manifesto: “Una terza dimensione inaspettata”, “Pizzaiolo di Confine”, “Signature” sono strutture narrative centrate e identitarie. 

Si inizia dal “fritto senza tempo” che è già un atto gastronomico asciutto, preciso, pensato come apertura di un percorso e non come concessione al comfort, con la forma che è quella del finger sostenuta da un pensiero che è da cucina.

"Salerno Milano", per esempio, lavora sulla memoria, condensando distanze geografiche e affettive in una sfera fritta con ossobuco servita su una spuma di patate al midollo e zafferano che richiama il ragù domenicale campano e lo ricompone in una forma controllata.

"Ceci n'est pas(t)a e ceci" parte da un riferimento immediatamente riconoscibile e lo conduce altrove, affidandosi alla qualità del baccalà e a un equilibrio che non ha bisogno di essere spiegato.

Visivamente il linguaggio è quello delle geometrie nette, dei volumi calibrati, impiattamenti che cercano chiarezza oltre l’effetto e anche quando la materia è pizza l’occhio legge piatto, prima ancora che fetta. 

“Semplice non vuol dire facile” o “Umaminara” lavorano su stratificazioni gustative, la Margherita c’è, ed è impeccabile, ma non è il fulcro del racconto. Il pomodoro – San Marzano, ma anche “antico pomodoro di Napoli” – arriva prima al naso che al palato. L’olio è scelto per monocultivar, le fermentazioni sono pulite, il morso è pensato per sostenere il percorso, non per saturare. 

Semplice non vuol dire facile (fritta e al forno) Antico pomodoro di Napoli, mozzarella di bufala Campana, Parmigiano Reggiano 36 mesi, olio extravergine di oliva Chianti Classico DOP, Basilico.

Umaminara Pizza al padellino farcita con pomodoro San Marzano affumicato, crema d'aglio rosso di Nubia, gel di basilico, crema di datterino, pasta e colatura di alici di Cetara, polvere d'aglio nero, capperi, origano, polvere di olive nere.

“Fuori di zucca” riscopre i giochi delle consistenze, l’esplorazione di sapori in equilibrio armonico con la dolcezza progressiva, mai piatta della zucca sostenuta dal tartufo nero che accompagna senza imporsi e dalla nocciola di Giffoni, capace di dare profondità e una chiusura quasi tattile. 

Fuori di Zucca (Pizza napoletana) Crema di zucca Mantovana, fiordilatte, variazione di porcini, zucca lunga napoletana marinata, timo, maionese alla nocciola tonda di Giffoni, tartufo nero uncinato, olio extravergine monocultivar itrana.

Tatufo nero uncinato

“Botox” si muove lavora su un registro diverso, che vira sull’indulgenza. La fonduta di caciocavallo crea una base avvolgente, il blue di bufala introduce una vena più verticale, mentre la confettura di fichi bianchi del Cilento interviene come elemento di equilibrio, non di contrasto. Il risultato è una pizza che gioca sulla profondità e sulla persistenza, costruita per restare al palato senza stancare.

Botox (Pizza Napoletana) Fonduta di Caciocavallo stagionato, fiordilatte, blue di bufala, chips di Parmigiano e confettura di fichi bianchi cilentani.

Agnello Atto I: la sintesi

L’approccio della convergenza con il fine dining trova oggi una delle sue espressioni più compiute in “Agnello Atto I”. 

Il calzone, spesso relegato a una dimensione marginale nella tradizione pizzaiola, viene qui ripensato come struttura aperta e leggibile, arcuata con architettonica precisione, capace di sostenere una costruzione complessa.

Al suo interno spalla e coscia di agnello cotte sottovuoto, friarielli napoletani ripassati con aglio, olio e peperoncino serpentino, provola di Gragnano. A parte, un cucchiaio di tartare di sella d’agnello, da inserire nel boccone.

Agnello Atto I - Il Calzone

 

Tartare di sella d’agnello

Il contrasto tra crudo e cotto, freddo e caldo è elemento strutturale e scelto significativamente, gesto che appartiene a un’esperienza distante da quella della pizzeria e che richiede attenzione, partecipazione, consapevolezza.

Temperature, consistenze e sapori si incontrano in modo naturale, restituendo una sintesi in cui la pizza assorbe il linguaggio della cucina senza perdere la propria identità.

A completare il racconto arrivano le coscette di agnello fritte, servite su aghi di rosmarino come piccoli gesti rituali. La frittura, che richiama l’immaginario della cotoletta alla milanese, è asciutta, controllata, essenziale, lontana da qualunque imprintig rustico o compiacente, una preparazione che lavora sulla memoria senza indulgere nella nostalgia, chiudendo il percorso concettuale dell’Atto I con una nota netta, carnale, precisa. 

Coscette di Agnello fritte

Il pairing e la carta

La carta dei vini e il pairing firmato da Mario Ventura sono una presa di posizione netta: una parte importante della selezione è dedicata al mondo degli Champagne, con una profondità rara nel panorama delle pizzerie, affiancata da scelte mirate del territorio nazionale e da alcune etichette internazionali.

Il pairing analcolico, raro in questo contesto, rafforza ulteriormente l’idea di un’esperienza completa, governata, non lasciata al caso.

Non è una carta enciclopedica, ma di progetto. E come ogni progetto coerente, rinuncia a qualcosa per dire meglio ciò che vuole essere.

Il finale: anche il dolce parla la lingua della cucina

La chiusura conferma definitivamente il posizionamento con i dessert pensati come parte integrante del percorso e non come concessione finale. 

La “Tarte au citron” con frolla alla vaniglia, lemon curd, meringa all’italiana flambata, gel di limone e limone candito, è netta, precisa, senza indulgenze, lavorando più sulla tensione citrina che sulla dolcezza.

La “Torta di Rose” servita con gelato alle nocciole del Piemonte IGP viene completata al tavolo dal pastry chef, con un carrello di servizio che richiama chiaramente il mondo della ristorazione di alto livello.

A chiudere, un sorbetto al sedano, vegetale e asciutto, che ripulisce il palato e riporta equilibrio. 

Perché funziona

Confine funziona perché tiene insieme due mondi che solitamente non dialogano, la struttura del fine dining e l’ospitalità naturale della pizza. Ha importato rigore, metodo, costruzione dell’offerta dal mondo dell’alta ristorazione, ma ha mantenuto calore, accessibilità emotiva e piacere.

Qui il confronto non è con la pizzeria gourmet ma con l’esperienza da stellato, come, tra l’altro, conferma anche lo scontrino medio. Ed è per questo che a sedersi ai tavoli trovi lo chef di grido, il calciatore, il cliente internazionale, ma anche chi vuole semplicemente capire dove sta andando oggi la pizza italiana.

E forse è anche per questo che Confine è oggi candidata naturale a salire ancora più in alto, non perché faccia “la pizza migliore” in senso assoluto, definizione di per sé borderline, ma perché ha capito che a questo punto della storia gastronomica italiana la differenza non sta più solo nel prodotto ma nella visione. E Confine, quella visione, l’ha già attraversata.

Confine Milano
Piazza Cardinal Massaia 
20123 Milano
Tel 375 5426086

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