Il turismo del vino punta sui grandi Hub Enogastronomici
Nel mondo si moltiplicano i progetti per lo sviluppo di spazi polifunzionali sul modello della Citè du Vin di Bordeaux che possono avere una valenza strategica per lo sviluppo dell’enoturismo. Nuovi villaggi internazionali del vino in cantiere, dall’Universal Wine Museum di Pechino al Muvin di Verona, e studi come il Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano di Roberta Garibaldi, evidenziano la necessità di una focalizzazione su soluzioni discontinue rispetto al passato, spazi e strutture che soddisfino le esigenze di un turista evoluto, Hub enogastronomici che possano fungere da “link tra urbano e rurale”, capaci di unire mondi geograficamente distanti, strumenti di promozione e commercializzazione dell’offerta territoriale in grado di creare un contatto diretto con i produttori e le eccellenze locali.
Negli ultimi anni sta crescendo significativamente il numero di progetti per la realizzazione di grandi Hub enogastronomici, considerati tra i principali attrattori di flussi enoturistici.
Il successo del modello della Citè du Vin di Bordeaux, nota anche come “Guggenheim del vino”, ha fatto luce sul potenziale di questi spazi polifunzionali che possono avere una valenza strategica per i paesi in cui il business del vino gioca un ruolo centrale nell’economia.
Costata 81 milioni di euro e classificata da National Geographic al settimo posto tra i migliori musei del mondo, la realtà espositiva francese, con la sua architettura unica, vanta una superficie di 3mila metri quadrati suddivisa in 19 aree tematiche, una narrazione multimediale e interattiva del mondo enoico senza precedenti, e registra la presenza di 500mila visitatori annui.
La visibilità presto conquistata a livello mondiale ha spianato la strada allo sviluppo di progetti similari in contesti distanti, sia dal punto di vista geografico che culturale. È il caso del prossimo grande Museo a tema enoico che sarà inaugurato nel 2024 in Cina, nella valle di Fanghsan, a sud-ovest di Pechino.
L’Universal Wine Museum, di cui si è iniziato a sentir parlare nel 2018 e la cui realizzazione ha subìto rallentamenti a causa della pandemia, nasce per iniziativa franco-cinese. Ispirato dalla città medioevale di Saint Emilion, ma studiato per essere continuo alla cultura e alle tradizioni locali, sarà un vero e proprio villaggio internazionale del vino, un parco tematico che include vigneti biologici, un hotel termale e ristoranti.
Si svilupperà su una superficie di 18mila metri quadrati, di cui 3.5mila destinati alle esibizioni permanenti, con sale esperienziali, un anfiteatro con oltre 400 posti, uno spazio di degustazione con circa mille etichette provenienti da tutto il mondo e una scuola di formazione dedicata.
Da un punto di vista architettonico sarà caratterizzato da una sequenza alternata e intrecciata di volumi e scatole di forme differenti con l’obiettivo di fornire ai visitatori punti di vista diversi nella scoperta del mondo del vino.
Ma qual è il segreto del successo di questi progetti? Il vero potenziale di questi straordinari musei del gusto consiste da un lato nella capacità di offrire percorsi esperienziali finalizzati ad accrescere passione per il vino e cultura enoica, dall’altro nella possibilità di mettere in campo servizi che favoriscono la scoperta dei territori, creando un contatto diretto con i produttori e le eccellenze locali.
Indicati tra le tendenze emergenti in occasione della Sesta Conferenza Mondiale dell’Enoturismo promossa dalla World Tourism Organization, gli Hub enogastronomici sono stati definiti come “nuovo link tra urbano e rurale”, capace di unire mondi geograficamente distanti.
Ne è una grande sostenitrice anche Roberta Garibaldi, Amministratore Delegato di ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo), tra le maggiori esperte in materia che nel suo ultimo Rapporto Sul Turismo enogastronomico italiano sottolinea come oggi nel Belpaese e nel resto del mondo sia fondamentale fornire una assistenza piena al turista, metterlo nelle condizioni di trovare facilmente le proposte, prenotarle e parteciparvi, non solo prima della partenza, ma anche durante il viaggio.
Gli Hub enogastronomici in tal senso possono diventare un grande volano, strumento di promozione e commercializzazione dell’offerta territoriale, e gli italiani li immaginano come prima tappa, quasi obbligata, di un percorso di scoperta.
Secondo i dati raccolti dallo studio infatti il 60% degli enoturisti nostrani vorrebbe avere la possibilità di svolgere tour che dall’Hub li conducano alla visita delle aziende locali, il 51% gradirebbe potervi noleggiare biciclette ed e-bike per poi recarsi dai produttori, il 67% vorrebbe accedere ad informazioni di dettaglio sulle esperienze enogastronomiche da vivere ed avere la possibilità di prenotarle direttamente e il 75%, trovare degli spazi dedicati all’acquisto dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli locali.
Oggi il nostro paese conta 129 musei del gusto e 103 Strade del Vino e dei Sapori, un “patrimonio culturale diffuso” sul territorio, con quasi tutte le regioni italiane che accolgono almeno una struttura. Le relative dimensioni sono però spesso modeste e ci sono grosse carenze in materia di digitalizzazione, solo 36 musei su 129 hanno infatti un proprio sito web.
C’è ancora molto da fare, e come emerge dal Rapporto sul Turismo enogastronomico la riconfigurazione di tali luoghi in Hub potrebbe essere una possibile soluzione in ottica futura soprattutto per quelle realtà presenti nelle aree rurali. Anche la creazione di una grande struttura sul modello della Citè du Vin di Bordeaux darebbe il suo contributo alla crescita del settore.
In questa direzione va il progetto del Muvin, il Museo del Vino di Verona, che si candida ad essere punto di riferimento nazionale ed internazionale, luogo di cultura ma anche di divulgazione. Con i suoi 19mila metri quadrati di superficie, di cui 5mila destinati ad una struttura espositiva, metterà a disposizione dei visitatori percorsi esperienziali, focus sulle eccellenze di vitigni italiani e internazionali, approfondimenti sul cambiamento climatico, il tutto in chiave digitale.
Il progetto è ancora sulla carta, ci vorranno almeno tre anni per la sua realizzazione e probabilmente nuove soluzioni di dimensione territoriale prenderanno corpo, linfa per un settore, quello dell’enoturismo, che in Italia prima dell’emergenza pandemica valeva 12 miliardi di euro, il 5% del Pil e che oggi si trova a dover recuperare terreno e soddisfare i bisogni di un turista nuovo, molto più curioso e consapevole, esigente, iperconnesso, desideroso di essere guidato alla scoperta dei territori, della cultura e di uno dei patrimoni enogastronomici più ricchi del pianeta.
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