Sustanza: la cucina mediterranea, contemporanea e militante di Marco Ambrosino

Da Sustanza, nella Galleria Principe di Napoli, lo chef Marco Ambrosino guida un viaggio sensoriale tra cultura, memoria e tradizioni del Mediterraneo.

10 Febbraio 2025 - 15:53
Sustanza: la cucina mediterranea, contemporanea e militante di Marco Ambrosino

RISTORAZIONE - Tra le esperienze che la vita ci riserva alcune sono così intense da richiedere tempo per poterle raccontare. Tempo necessario per trovare le parole giuste ma anche per ricostruire in modo intelligibile quel turbinio di sensazioni, pensieri ed emozioni che hanno scatenato. 

La tavola del ristorante Sustanza è una di quelle. Il viaggio inizia tra le volte della Galleria Principe di Napoli e le mura di ScottoJonno, locale frutto di un’operazione di recupero architettonico fortemente voluta dall’imprenditore Luca Iannuzzi. 

Gli ambienti di questo gioiello, pezzo di storia partenopea che, prima dell’abbandono, fu caffè letterario, ritrovo di artisti, intellettuali e politici, poi Tesoreria del Banco di Napoli, ospitano al primo piano, nella stanza di sù o “Sù-stanza”, il ristorante dello chef Marco Ambrosino.

ph. Letizia Cigliutti

Procidano, classe 1984, formatosi alla scuola di Libera Iovine al Melograno, Stella Michelin di Ischia, e a quella di René Redzepi al Noma di Copenaghen, per anni ha guidato le cucine del 28 Posti a Milano per poi rientrare nella terra d’origine e dare corpo al suo ultimo progetto.

ph. Letizia Cigliutti

Nello sfogliare il menù, distogliendo lo sguardo dalle sale i cui colori, tessuti e arredi sono finestra su fasti e atmosfere della Belle Epoque, si comprende subito, dalla lettura delle parole introduttive, che il transfer spazio temporale non si limiterà al secolo scorso ma assurgerà ad una dimensione molto più ampia che ispira da sempre la ricerca di Ambrosino.

Studioso di antropologia fin dalla giovane età, Marco fonde questa grande passione con la ricerca per la realizzazione dei suoi piatti conducendo gli ospiti in un’esplorazione alla scoperta del Mare Nostrum, delle tradizioni, dei sapori, delle usanze e delle contaminazioni dei popoli del Mediterraneo, forte degli strumenti acquisiti nel corso della sua carriera e considerando la tecnica funzionale alla piena espressione della sua “cifra stilistica”, prodromo che lascia spazio ad un’essenza culturale della sua proposta.

I tre percorsi di degustazione - Piccolo Cabotaggio da 5 portate (100 €), Medio raggio da 8 portate (130€) e Lungo corso da 10 portate (160 €) – rappresentano un racconto delle tradizioni dei popoli del Mediterraneo “militante”, nella misura in cui usi e costumi riscoperti, memoria custodita e condivisa sono dinamicamente reinterpetati in un processo continuo che guarda al futuro. 

La lista degli ingredienti, che varia a seconda delle stagioni, dà ampio spazio al vegetale e alle materie prime di prossimità. Quelle locali cui attingere sono molte e Napoli, da città di frontiera qual è, ne ha acquisite sempre di più nel corso dei secoli e alcune custodiscono substrati simbolici e ritualistici che attendono di essere esplicitati nel corso della degustazione. 

Si inizia il viaggio con l’amuse-bouche: flan di verdure con olive, miso, misticanza e olio siciliano, danubio alle erbe e burro fermentato, dado di radicchio rosso in conserva di mele e crema alle arachidi, macaron burro e acciughe. Il filo conduttore delle fermentazioni e delle acidità cercate, volute e perfettamente bilanciate si dipana dal primo impatto gustativo. A rimarcare la volontà di creare un clima rilassato in sala, sono invitata a lasciarmi tentare da una “scarpetta” intingendo il lievitato realizzato dal Pastry Chef Federico Andreini nell’oro giallo siciliano.

Si prosegue con la minestra di frutta e verdure, un brodo vegetale che si rinnova costantemente con aggiunta di nuova materia emulando il metodo Soleras per la produzione dello Sherry andaluso e del Marsala siciliano. Quello servito è frutto di un “brodo madre” che ha due anni di vita. Si conserva in frigo, si fa ribollire e si aggiungono giorno per giorno nuove verdure a rimarcare l’importanza di intendere l’unicità della materia nel suo divenire. Il brodo del giorno prima non sarà mai uguale a quello del giorno dopo e di quello ancora successivo pur nascendo dalla stessa matrice. 

Il carciofo alla brace, servito con ragù di gambi di carciofo e olive, cucunci, brodo di tartufo nero, noce moscata e maggiorana, aggiunge al tema delle fermentazioni quello delle affumicature che tornerà nel corso della degustazione come altro filo conduttore. Qui abbiamo un primo esempio di impiego integrale della materia prima, che lo chef prepara a tutto tondo, in diverse consistenze, senza scarto alcuno. Viene accompagnato da grissini di semola, pane realizzato con grano antico tumminia macinato e nutrito con lievito madre dal pastry chef, burro fatto per metà fermentare e per metà affumicare servito con una polvere di cipolla bruciata, monocultivar Nocellara del Belice presentato con origano siciliano. In abbinamento un cocktail che la sommelier Lucia Mauro, attenta e discreta, introduce declinandone le componenti: base gin con infusione di carciofo, melassa al topinambur, bitter contadino non alcolico (realizzato con 15 erbe), sakè (tra quelli più terrosi per andare a richiamare i sentori del tartufo). 

L’ostrica alla brace, vino di pasta, pigna e olio di lentisco rimanda ancora una volta al tema della trasformazione, in questo caso con un richiamo all’antica tradizione dei naviganti di utilizzare le pigne per tappare le anfore imbarcate sulle navi, con il vino che in virtù del contatto con le resine diventava un prodotto nuovo. Ambrosino utilizza questa tecnica facendo fermentare un mosto a base di pasta inoculato con spore di kogy con acqua e lieviti Sacchaaromyces. Con il vino di pasta ottenuto, unitamente a qualche goccia di lentisco, irrora l’ostrica prima di grigliarla e glassarla con un fondo vegetale al finocchio. Il risultato finale è una texture che lascia senza parole, la sensazione è quella di godere di un voluttuoso sorso di mare impreziosito da note affumicate, cui fa da contraltare nell’abbinamento “Artifice”, il Listan Blanco dell’Isola di Tenerife (il Palomino delle Canarie), figlio delle spiagge e del vulcano, dal naso intenso, salmastro e pungente.  

Arriva il momento del primo, una minestra di pasta mista condita con una salsa a base di pane raffermo grigliato e fermentato, olio dai sentori di erbe mediterranee e fette sottili di sgombro marinato. Si aggiunge il moretum di mandorle preparato in sala, la prima delle suggestioni da riproposizione di antichi rituali che lasciano il segno. La ricetta risalente agli antichi romani, originariamente a base di formaggio impastato con erbe aromatiche, è rivisitata utilizzando cagliata di mandorle, erbe di mare e aceto di pasta. In abbinamento si vola in Sicilia con Guancia Bianca di Fabio Ferracane, un catarratto macerato dalla grande sapidità.

Viene poi servito il pescato del giorno, la ricciola, marinata in erbe aromatiche, cotta sulla pelle (che si consiglia vivamente di non scartare) e sui carboni. È accompagnata da un’insalata di finocchi macerati condita con olio di noci e uno zabaione al finocchio di mare. A parte, una zuppa di carote in diverse consistenze, in crema dopo un passaggio alla griglia, a rondelle cotte brevemente a vapore, e in succo, sotto forma di riduzione. Eccellente il pairing con la Schiava “Sankt Anna” della cantina In Der Eben, un vino macerato elegante e scorrevole, dai sentori dominanti di frutti rossi seguiti da note terrose e speziate.

La riproposizione di piatti che accomunano i popoli del Mediterraneo nei giorni di festa con due ingredienti principali, pecora e agnello, di cui Ambrosino impiega ogni parte, si materializza in “Transumanza”. La coscia di agnello alle erbe è servita con rapa cotta al sale, stracotto di pecora, koji di orzo, ceci macerati, in aggiunta salsa menemen alle rose e olio al pul biber entrambi di origine turca così come il burek, torta salata preparata con altre parti dei due ovini, verdure alla brace, sciroppo di melograno. Lo spiedino di interiora di pecora e agnello è accompagnato dal cetriolo in salamoia. Un bouquet di insalate con una emulsione di erbe aromatiche e trucioli di musciska (carne di pecora essiccata) è servito con il suggerimento di mangiarlo rigorosamente con le mani per calarsi ancora di più nell’esperienza. Qui i profumi e sapori si fanno intensi, la materia densa e l’abbinamento con un insolito piedirosso irpino, Picaro di Casa Brecceto, è intrigante, un vino da vecchie vigne ottenuto con macerazione carbonica che ha carattere e consistenza per reggere il confronto, sostenerlo e arricchirlo richiamando boccone e sorso.

Il testimone passa al pastry chef Federico Andreini, che con Marco Ambrosino si è formato al 28 Posti di Milano mutuandone la passione per l’antropologia ed entrando in contatto con la sua visione, facendola propria e sedimentandola con successive esperienze.

Il predessert che presenta è fatto con foglie di fico, sale, olio all’alloro e racconta da subito la filosofia impegnativa che è alla base del suo lavoro: il dessert deve esprimersi in continuità con le portate che lo hanno preceduto, una coerenza che, soprattutto rispetto alla cucina di Ambrosino, non può contemplare il concetto di dolce.    

Un accenno che trova piena conferma in “Sa Scova Santa”, momento della degustazione in cui lo spazio per la ritualità si allarga e diventa suggestione richiamando un’usanza comune alle popolazioni del Mediterraneo, utilizzare le piante per apportare benefici alla parte fisica del corpo come a quella spirituale. Un ramo di elicriso viene bruciato da Federico per riproporre il rituale del “S’Affumentu” noto tra le popolazioni sarde e utilizzato per aiutare a superare traumi psicologici causati da eventi improvvisi, come uno spavento o un grande dispiacere. Sentori intensi che si diffondono accompagnano il dessert a base di battuto di cacomela e peschiole, spuma di leben (latte fermentato tipico dei popoli berbero magrebini), maggiorana, cenere di agrumi e sorbetto all’elicriso, al centro tavola la ferrattella, classica cialda abruzzese.

Il percorso si conclude con Mare Clausum, dessert dove il gioco resta sulle acidità aprendosi all’amaro ma mai in modo troppo spinto: raviolo farcito con erbe di costiera e marzapane, a completare il piatto un brodo alle alghe, olio di pino, agresto e baharat, granita di amaro mediterraneo. La locuzione latina chiamata in causa ha più accezioni, geografica, metereologica, ma viene circoscritta da Federico al punto di vista politico. Era infatti definito tale il mare in cui non si poteva commerciare liberamente. Quel vincolo paradossalmente diventava un trampolino per le contaminazioni. Le navi bloccate nei porti cedevano ai territori le loro preziose provviste, le materie prime, che andavano ad ibridarsi con quelle locali. Un esempio fra tutti proprio il marzapane, prodotto arabo ormai entrato a pieno titolo nella tradizione siciliana e italiana.

In abbinamento torna il cocktail, questa volta a base tequila, in aggiunta liquore allo yuzu e aceto di riso, una sorta di Margarita rivisitato in chiave orientale con il quale Lucia si congeda dopo avermi accompagnata in modo per nulla scontato in un itinerario fuori dal comune.

I saluti dello chef arrivano insieme alla piccola pasticceria: foglia di limone, spuma di ouzo (bevanda tipica greca a base di anice stellato) radice di scorzonera fatta fermentare per due settimane nell’acqua di governo delle mozzarelle, cialda di carrube con burro di mela cotogna, caramella gommosa al fico d’india e tabacco, tonica analcolica alle erbe amare.

Difficile tirare le fila di un’esperienza che non si limita a richiamare i soli sensi ai quali affida il compito di interpretarne il valore, di elaborarne un giudizio tanto più preciso quanta più competenza c’è nella lettura di un piatto, ma che scomoda ragione e coscienza perché veicolo di un messaggio e di un’idea resa edibile per mezzo di un processo trasformativo in continuo divenire che attraversa e contamina chi lo vive. Certo è che come ogni viaggio la tavola di Sustanza lascia tracce destinate a tornare nel tempo, stimolando il desiderio di intraprendere un nuovo itinerario al quale lo chef Ambrosino starà senz’altro già lavorando.

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