La vigna metropolitana di San Martino, anima rurale della città di Napoli
Le antiche vigne urbane rappresentano un patrimonio di inestimabile valore, testimonianza del legame indissolubile tra l’uomo, la natura e la tradizione vitivinicola, quella di San Martino a Napoli è la seconda vigna metropolitana in Europa per estensione ed è un luogo davvero magico da visitare
Ci sono dimensioni in cui la presenza di un vigneto acquisisce una valenza che va oltre gli aspetti storici, paesaggistici e produttivi e arriva a toccare corde più profonde, ricostruendo, grazie ad un salto spazio temporale, il legame ancestrale tra uomo e natura, restituendo ai luoghi figli del processo di urbanizzazione un contatto forte con la loro essenza e origine rurale.
È il caso delle vigne metropolitane dove, con stupore quanto con immediatezza, il visitatore riesce a ristabilire una connessione con un passato anche molto lontano e a comprendere in modo concreto quanto sia importante preservarlo per dare una opportunità alla città, un’esperienza che dovrebbe accrescere la tensione per la difesa dell’ambiente.
Questo è il motivo per il quale si moltiplicano le iniziative volte a valorizzare queste vere e proprie opere d’arte incastonate nel tessuto urbano, attrattore turistico da custodire quanto i siti archeologici attraverso progetti di recupero, testimonianza di un tempo laborioso e autentico, avamposto di una cultura della sostenibilità che vuole ridefinire il perimetro e l’anima dell’urbe.
Napoli condivide con pochi altri centri al mondo il privilegio di accogliere in centro, in particolare nel quartiere del Vomero, una delle più significative oasi vitivinicole metropolitane, la Vigna di San Martino, la seconda per estensione in Europa, miracolosamente sopravvissuta al saccheggio edilizio, luogo magico raggiungibile attraverso un accesso che di fatto si rivela come un vero e proprio portale in grado di catapultare il visitatore direttamente nel 1300.
Nessuno potrebbe pensare che dietro un cancello di un antico quanto decadente palazzo, posto nel bel mezzo del Corso Vittorio Emanuele, tra le strade più trafficate, ad un certo punto la città smetta di essere tale per riproporsi in una veste inaspettata e sorprendente, quella di una tenuta agricola di 7 ettari e mezzo, la cui struttura è rimasta invariata per ben sei secoli, come testimoniano le antiche tele che immortalano Napoli ritraendo il polmone verde con i suoi terrazzamenti a ridosso della cinquecentesca fortezza di Castel Sant’Elmo.
Varcata la soglia del civico 340, svoltato l’angolo dopo una piccola salita, ci si trova a battere gli stessi sentieri che i monaci della Certosa di San Martino dal 1300 in poi hanno percorso assorti nel silenzio e nella preghiera, diretti a quei fazzoletti di terra opportunamente distribuiti tra agrumeti, vigneti, uliveti, boschi e orti dalla cui coltivazione si traeva ogni fonte di sostentamento oltre che di cura, grazie al lavoro degli speziali, abili conoscitori e trasformatori di erbe, fiori e radici.
Dal 1988 l’antico podere agricolo della certosa di San Martino è di proprietà di Giuseppe Morra, noto uomo d’arte, gallerista e imprenditore, che ha subito portato avanti interventi per la sua riqualificazione, ultimo di una serie di privati che hanno posseduto la vigna ceduta da quello Stato che dalla Chiesa l’aveva rilevata. In questi passaggi la destinazione delle terre non è mai stata tradita, grazie alla continuità di una gestione esclusivamente agricola che ha avuto i suoi alti e bassi ma non ha mai stravolto i seppur labili equilibri esistenti.
Dal 2010 la Vigna di San Martino è diventata Monumento Nazionale per decreto del Ministero dei Beni Culturali, emesso su proposta della Sovraintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Napoli e provincia, un territorio agricolo urbano dichiarato “Bene di interesse storico artistico” che su richiesta dello stesso proprietario è entrato a far parte del patrimonio materiale e immateriale italiano come una statua, una reggia, un’opera d’arte.
I vigneti sono sparpagliati, non adiacenti, e rappresentano 3,2 dei 7,5 ettari complessivi, quindi una quota considerevole dell’intera superficie della azienda agricola. Originariamente la coltivazione della vite era concentrata lungo un corridoio di diverse centinaia di metri, un pergolato a ridosso della Certosa dove i monaci pregavano o transitavano per raggiungere gli altri spazi della tenuta, in un secondo momento i terrazzamenti sono diventati d’ausilio a ciò che non bastava più.
Negli ultimi anni sono stati inseriti nuovi impianti, a sostituire quelli di origine beneventana per dar spazio a quelli di matrice flegrea, la ricerca si è infatti focalizzata su una banca del seme del territorio campano molto più tipica soprattutto in termini di vicinanza del mare rispetto a una cultivar dell’entroterra appenninico. Le varietà presenti in vigna sono l’Aglianico, il Piedirosso, la Falanghina e la Catalanesca e si producono intorno ai 4mila litri di vino l’anno.
Dal punto di vista naturalistico la Vigna di San Martino è la punta di un iceberg verde circondata da un mare bianco di cemento, in termini di biodiversità le criticità sono forti con il rischio di estinzione di un assetto agricolo che seppure esiste da sempre è molto fragile.
L’impegno quotidiano dell’Associazione “Piedi per la Terra” che si occupa da oltre vent’anni della sua gestione è proprio quello di mettere in campo tutte le azioni volte a sostenere questo giardino delle meraviglie così come a renderlo fruibile ai visitatori nel rispetto del suo sottile equilibrio.
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