Fipe: somministrazione e servizio al tavolo non sono la stessa cosa
Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi interviene per commentare e chiedere un chiarimento sulla normativa a seguito della recente sentenza del Consiglio di Stato a beneficio di un'attività commerciale romana che pratica somministrazione non assistita.
I giudici si sono espressi sul caso di un locale romano di gastronomia (non si tratta, quindi, di un ristorante) sito a Roma in via Urbana, che era stato sanzionato perché si riteneva stesse svolgendo attività di ristorazione abusiva in quanto dotatosi di sedie e tavolini (ma senza servizio al tavolo). Mentre i vigili avevano proceduto a multare il titolare, i giudici si sono successivamente espressi in senso contrario, perché l'arredo viene considerato come una parte coincidente con la serie di "attrezzature necessarie alla somministrazione ai fini del consumo dei pasti da parte degli avventori" e, per questo, l'attività veniva a coincidere con la somministrazione e non con la ristorazione, tanto meno ristorazione abusiva.
In questi termini, i giudici hanno sottolineato come l'assenza di servizio al tavolo da parte di personale impiegato nel locale rappresenti in effetti una condizione discriminante che determina la differenza tra somministrazione e ristorazione.
La risposta di Fipe
Per la Federazione Italiana Pubblici Esercizi è necessario mettere bene in chiaro che somministrazione e servizio al tavolo non sono la stessa cosa. Questa confusione può seriamente mettere a rischio i pubblici esercizi, nonché la qualità dei centri storici, in primis Roma. "Quando si parla di attività di somministrazione serve chiarezza per evitare distorsioni sul piano giuridico e normativo - è il commento di Giancarlo Deidda, Vice Presidente di Fipe e Commissario di Fipe Roma -. Se la differenza tra un negozio alimentare, una pizzeria al taglio e un pubblico esercizio passa per l'assenza di camerieri che fanno il servizio al tavolo allora 100mila bar in Italia non sono pubblici esercizi". "La recente sentenza del Consiglio di Stato - prosegue Deidda - scava un solco profondo tra interpretazione delle norme e realtà, ma soprattutto rischia di accelerare il già avanzato processo di dequalificazione dell'offerta commerciale di molte città in Italia, e di Roma in primis. Ci piacerebbe che i giudici che hanno espresso la sentenza ci spiegassero perché ci sono norme che impongono ad un qualunque bar, con e senza servizio al tavolo, l'obbligo del bagno, la sorvegliabilità dei locali e sanzioni penali in caso di alcol somministrato a minorenni, mentre gli stessi obblighi e sanzioni non sono previsti per negozi alimentari o pizzerie al taglio". "Riteniamo doveroso un chiarimento su questo aspetto - conclude Deidda -, per evitare che si generi una confusione potenzialmente in grado di mettere a repentaglio il nostro stesso sistema e la qualità dell'offerta commerciale dei centri storici".
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