Export vino negli USA: l'Italia deve puntare sui prodotti premium
L'Italia non è più il primo paese esportatore di vino negli Stati Uniti. Al primo posto c’è ora la Francia che, secondo i dati dell’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies - Nomisma, su dati delle dogane, ha visto aumentare il valore complessivo delle esportazioni mettendo insieme vini fermi e spumanti. I vini francesi hanno realizzato nei primi dieci mesi del 2017 una performance da 1,393 miliardi di euro (+16,4%) contro 1,352 miliardi dell’Italia, (+1,4%). Anche l’Italian Wine & Food Institute certifica un calo delle esportazioni del vino fermo italiano, che rappresenta il prodotto di settore più forte all’estero. Le elaborazioni realizzate dall’Istituto mostrano come l'Italia sia ferma ai valori del 2016 con 2,1 milioni di ettolitri per 1,1 milioni di dollari mentre crescono le esportazioni da parte dei maggiori competitor come Portogallo, Germania e Australia. La ricetta per recuperare la posizione di leadership è emersa da una ricerca realizzata da Wine Monitor di Nomisma per conto dell’Istituto Grandi Marchi (il consorzio che mette insieme 19 tra i principali brand del vino italiano da Antinori ad Gaja, da Biondi Santi a Masi, da Tenuta San Guido a Tasca d'Almerita) e presentata nelle settimane scorse a Roma: puntare sui “fine wines” ovvero sui vini premium con un prezzo superiore ai 20 dollari a bottiglia. Intervistando 2.400 consumatori provenienti dagli stati dove si concentra maggiormente l’export, è emerso che ciò che gli appassionati statunitensi di vino ricercano è la qualità e l’esclusività del prodotto. Come precisa Denis Pantini, direttore del Wine Monior Nomisma “su quel mercato è in atto una fase di ‘premiumisation' ovvero una tendenza a ricercare vini di sempre maggiore qualità. D’altro canto il prezzo dei vini fermi importati dagli Usa è cresciuto in dieci anni del 10% passando da 5,32 a 5,82 euro al litro. In questo trend l’Italia può giocare un ruolo da protagonista considerato che gode di una reputazione molto elevata tra i consumatori Usa che sono guidati nell’acquisto di vini 'fine' proprio da reputation del brand aziendale e dalla notorietà di specifici territori”. Questa ricerca di qualità si sposa benissimo con le etichette made in Italy, che da sempre sono sinonimo di pregio e raffinatezza; si deve ancora insistere su questi valori per poter recuperare terreno in un mercato in crescita che può rappresentare una grande opportunità per il nostro Paese.