È ufficiale! La cucina italiana iscritta al Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO
La cucina italiana diventa patrimonio UNESCO, un sapere vivo che unisce territori, memoria e futuro.
NOTIZIE E DINTORNI - "La cucina italiana, tra sostenibilità e biodiversità culturale" ottiene l'iscrizione alla Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO. Il riconoscimento è stato attribuito durante la ventesima sessione del Comitato Intergovernativo della Convenzione del 2003, attualmente in corso a Nuova Delhi, in India, celebrando una pratica quotidiana che racchiude conoscenze, rituali e gesti tramandati nel tempo.
Secondo quanto indicato nella documentazione presentata per la candidatura, la cucina italiana rappresenta un insieme di pratiche che hanno generato un uso creativo e artigianale dei materiali, contribuendo alla formazione di un'identità socio-culturale condivisa e al contempo variegata dal punto di vista cronologico e geografico. Il riconoscimento UNESCO evidenzia la capacità della tradizione culinaria nazionale di fungere da veicolo culturale attraverso saperi che vanno oltre l'aspetto strettamente gastronomico.
L'organizzazione internazionale riconosce la rappresentatività della cucina italiana come insieme di competenze non soltanto culinarie, ma anche conviviali e sociali, trasmesse di generazione in generazione su tutto il territorio nazionale. Attraverso la condivisione del cibo, la creatività gastronomica e la dimensione comunitaria del pasto, la tradizione culinaria italiana si configura come portatrice di valori di inclusività e sostenibilità ambientale.
L'iscrizione corona un percorso articolato di studio e coordinamento condotto dalle comunità proponenti, finalizzato a valorizzare le molteplici sfaccettature culturali e territoriali di un elemento distintivo dell'intero Paese. Il processo si è sviluppato in un'ottica di apertura e ospitalità, in coerenza con i valori fondanti dell'UNESCO
La cucina italiana è Patrimonio UNESCO. Cosa succede adesso?
C’è un momento, nelle culture, in cui il quotidiano smette di essere semplice abitudine e diventa forma. Nel nostro Paese questo accade in cucina, territorio mentale prima ancora che geografico, dove il gesto è memoria, la materia diventa racconto e la continuità non è ripetizione ma fedeltà a un modo di pensare il cibo come relazione.
Il riconoscimento dell’UNESCO coglie esattamente questo punto, non celebra un’estetica né un repertorio di ricette, ma la profondità di un sapere che vive nella sua capacità di trasformarsi senza perdere il suo asse.
Non si tutela un modello, ma ciò che lo rende possibile, la pluralità dei territori, la trasmissione familiare, la biodiversità che detta il ritmo della nostra identità alimentare. Viene protetta la dinamica, non la formula, la postura culturale, non il dogma.
Ed è qui che si comprende perché la candidatura italiana abbia convinto più di altre. Non abbiamo presentato un rituale codificato, compiuto, definito una volta per tutte. Abbiamo proposto un sistema aperto, vivo, un linguaggio gastronomico che cambia rimanendo sé stesso. La cucina francese aveva tentato la strada del rito, la nostra ha scelto quella del respiro ed è questo movimento plurale e inclusivo, non imitabile, non replicabile, ad aver incontrato i criteri dell’UNESCO.
Ma la tutela immateriale non congela, espone, rende visibile ciò che normalmente resta sullo sfondo: il tempo dedicato alla preparazione, la fragilità dei territori agricoli, la cura degli artigiani, la continuità dei gesti che si trasferiscono da una generazione all’altra. Proteggere questo patrimonio significa interrogarsi sul suo futuro, non sul suo passato.
E un riconoscimento internazionale, oggi, comporta ricadute concrete, non solo simboliche, non solo narrative. L’attenzione globale che l’UNESCO porta con sé amplifica il ruolo culturale della cucina italiana nel mondo e apre, inevitabilmente, un nuovo scenario economico. Accresce il desiderio di esperienze immersive, aumenta il peso culturale della ristorazione italiana all’estero, rafforza la responsabilità delle filiere agricole. L’Italia è chiamata a garantire strumenti di tutela reale, educazione alimentare, formazione professionale, sostegno ai produttori e agli artigiani, promozione di modelli di qualità che non tradiscano la loro funzione originaria.
Il riconoscimento diventa così un impegno, una promessa da mantenere. La nostra cucina non entra nei patrimoni dell’umanità per ciò che è stata, ma per ciò che può continuare a essere e questa continuità non si misura nel numero delle ricette tramandate, ma nella capacità di restare viva senza irrigidirsi, di assorbire il cambiamento senza smarrire la propria origine.
Un patrimonio immateriale esiste solo se continua a muoversi, a contaminarsi, a parlare attraverso chi lo pratica, e così, la proclamazione UNESCO non chiude una storia ma la inaugura, ci consegna la responsabilità di custodire non un repertorio ma un modo di abitare il cibo, ci ricorda che la cucina italiana non è un’eccellenza da esibire, ma un organismo culturale che vive nelle case, nelle botteghe, nei territori, nei gesti quotidiani e che nel movimento sotterraneo e vitale riscrive giorno dopo giorno il suo futuro.






