Firenze chiama Almaty: la voce del Kazakistan tra i 500 Top Bars

Nicole Cavazzuti intervista Arina Nikolskaya, ambasciatrice della mixology kazaka nel mondo.

10 Nov 2025 - 14:14
Firenze chiama Almaty: la voce del Kazakistan tra i 500 Top Bars

BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - Succede che a Firenze in via de’ Ginori, a La Ménagère — uno di quei bar dove il design si beve prima ancora del cocktail — spunti il Kazakistan. No, non è uno scherzo geografico. È stata una guest internazionale nell’ambito della 50Top Bars Week, dove a salire dietro al bancone non sono solo i soliti noti. Questa volta, l’invito è andato dritto ad Almaty: ospiti i ragazzi del Domashniy Bar, uno dei locali più noti del Paese. 

Ed è proprio in questa occasione che ho conosciuto Arina Nikolskaya, presidente dell’Academy dei 50 Best Bars per Europa orientale, Asia centrale e Paesi baltici: una donna dalle idee chiare e ambiziose.

L'intervista 

Partiamo dal principio, chi è Arina Nikolskaya?
Organizzo eventi in tutto il mondo da 12 anni. Il mio passato è fatto di bar show. Adesso, in Kazakistan, coordino un progetto che si chiama Shift Project: è uno scambio culturale, un ponte tra le regioni dimenticate e il resto del mondo.

In pochi oggi conoscono il Kazakistan. Come si muove la mixology lì?
È un mercato giovane e sorprendente. Ci sono luoghi nel mondo che non sono semplicemente da esplorare, sono da riscrivere. Il Kazakistan è uno di questi. È in Asia centrale, in mezzo alla Via della Seta, dove l’Eurasia si tocca. Era terra di nomadi: non hanno sviluppato bar e ristoranti alla maniera italiana, ma hanno un senso profondo dell’ospitalità. Perché accogliere, nella loro storia, significava sopravvivere.

E che tipi di drink vanno per la maggiore?
Da noi - come in Oriente e nell’Europa dell’Est - in generale piacciono i drink dolci. Il palato si forma nell’infanzia, ciò che assaggi da bambino sarà ciò che cerchi da adulto. In Kazakistan, la dolcezza è il conforto. Da noi, i bimbi non bevono bevande amare come il vostro chinotto.

Un cocktail emblematico su tutti?
Al Domashniy Bar di Almaty servono un cocktail che si chiama Cuppa Tea. È un highball a base di tè — ma non uno qualsiasi: è una tisana di montagna kazaka. È un modo elegante per dire: siamo qui, siamo nuovi, ma parliamo la lingua della mixology globale.

E quali format funzionano davvero da voi?
Per avere successo tutto l'anno i bar devono avere una terrazza. Ad Almaty, l’estate è una religione. Chi ha un locale in cantina, fatica. Chi ha una terrazza, invece, vince facile. Ti basti sapere che qui la gente beve il cappuccino all’aperto fino a dicembre, con il piumino addosso. Non amiamo chiuderci dentro. Ecco perché, da noi, gli speakeasy non funzionerebbero.

Tu sei anche presidente dell’Academy dei 50 Best Bars per Europa orientale, Asia centrale e Paesi baltici. Che obiettivi ti poni?
Beh, fare entrare quanti più bar possibile della mia regione sulla mappa. Il resto è competizione e la competizione serve. Ma non è l’unica cosa che conta.

Qual è la tua strategia per far entrare i bar in classifica?  
Non ce n’è una sola. Chi dice che ci sono scorciatoie, mente. L’unica via è lavorare sodo. Essere gentili. Accogliere. L'ospitalità non si impara, si affina: è una predisposizione naturale.

Quanto conta la formazione?
Lo chef può andare in università, il barista no. La mixology cambia troppo in fretta. Nessuno smette mai di imparare. Ogni volta che ti fermi, scivoli indietro. Soprattutto se sei il migliore: rischi di diventare una statua di marmo. E il mondo corre.

E le competizioni internazionali quanto contano?
Sono buone occasioni per mettersi alla prova. Ma non sono tutto. Se costruisci una carriera solo su quello, rischi di non costruire nulla. Noi dieci anni fa dicevamo: c’è il bartender da gara, e poi c’è il barista vero. E sai una cosa? Lo diciamo ancora.

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