Intervista esclusiva ad Ajit Gurung, cofondatore di The Savory Project

Intervista a Ajit Gurung: la visione dietro The Savory Project, il bar premiato tra i migliori dell’Asia

17 Ottobre 2025 - 10:50
Intervista esclusiva ad Ajit Gurung, cofondatore di The Savory Project

BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - C’è un angolo nel quartiere di Soho ad Hong Kong — una strada stretta, Staunton Street — dove l’osservatore distratto vedrebbe soltanto luci soffuse e segnali discreti. Ma chi sa cosa cercare — e chi ha il desiderio di lasciarsi sorprendere — scorge dietro la porta un laboratorio del gusto: The Savory Project.

L’idea nasce dal medesimo team che ha animato COA, bar già celebre nel panorama internazionale: Jay Khan e Ajit Gurung. Dopo il successo di COA, la loro ambizione è stata ridefinire il concetto stesso di mixology. E ci sono riusciti.
Nel menu di The Savory Project trovi, per esempio, il Thai Beef Salad — un cocktail che mescola rum, essenza di manzo, arachidi, cocco, peperoncino e lime makrut.

L’ambiente, senza eccessi scenografici, privilegia materiali caldi — legno, pietra, metallo — e un bancone di forma esagonale che abbatte le barriere fra chi prepara e chi gusta. 
In un tempo record — il bar ha aperto nel 2023 — The Savory Project si è guadagnato riconoscimenti internazionali: nel 2024 ha ottenuto il premio “Best New Opening” all’evento Asia’s 50 Best Bars. Per l’edizione 2025 figura al numero 32 della classifica asiatica dei migliori bar

Intervista ad Ajit Gurung, cofondatore di The Savory Project, Hong Kong

Gin Martini: è il tuo drink preferito?
Sì, assolutamente. È il cocktail che bevo più spesso. Mi piace la semplicità, la pulizia e la precisione che richiede. È un drink che non ammette errori.

Quando non sei dietro al bancone, dove ti troviamo?
All’aperto. Vengo da una città di lago, quindi sono cresciuto in mezzo alla natura. Mi piace stare fuori, camminare, fare escursioni, andare in spiaggia. Mi rilassa e mi ricarica.

Oggi hai 31 anni, hai appena avuto un figlio. Che direzione vuoi dare al tuo futuro?
Cerco un equilibrio tra famiglia e lavoro. Voglio costruire fondamenta solide, non solo per me ma anche per chi lavora con me. Il mio obiettivo è formare uno staff giovane che un giorno possa prendere in mano i nostri bar e portarli avanti, mantenendo la visione e i valori che abbiamo costruito.

Guardando la scena globale, quali città ti sembrano centrali per la mixology?
Londra e New York resteranno sempre dei punti fermi per la loro storia e cultura del cocktail. Ma negli ultimi dieci anni l’Asia è cresciuta tantissimo. C’è più movimento, più eventi, più connessioni. È un continente che sta diventando protagonista.

Lo stile speakeasy ha avuto molto successo a Hong Kong. Com’è oggi la situazione?
Ha avuto un boom circa 7-8 anni fa. Poi con il Covid e le proteste molti locali hanno dovuto cambiare approccio. Ma credo che ogni concetto possa funzionare, anche lo speakeasy, se è fatto bene. Il pubblico a Hong Kong è molto aperto a idee nuove, se sono eseguite con cura.

Quanto conta il nome di un cocktail?
Un nome accattivante può aiutare a vendere la prima volta. Ma se il drink non è buono, non lo riordineranno. Il gusto e l’esecuzione sono tutto. I nomi devono essere semplici, familiari, facili da ricordare. Poi è il sapore che fa la differenza.

C’è un libro che consideri fondamentale per chi lavora dietro al bancone?
Non ne esiste uno solo. Dipende da cosa vuoi imparare. Liquid Intelligence è ottimo per la tecnica, The Art of Fermentation per chi vuole esplorare quel mondo. L’importante è non smettere mai di studiare e tenere la mente aperta.

Il dialogo tra bar e cucina oggi è diventato centrale. Come lo vivi?
È fondamentale, anche se non abbiamo una cucina interna. Collaboriamo con il ristorante italiano accanto. Preparano pizze speciali per noi. È un rapporto basato sul rispetto reciproco, sulla comunicazione. Non bisogna mai essere arroganti, ma fare domande, capire, costruire insieme.

Il bar ha una struttura particolare. Cosa si nasconde dietro questa scelta?
Non abbiamo un backbar tradizionale pieno di bottiglie. Tutte le preparazioni complesse avvengono al piano superiore, come in una cucina. Al bancone teniamo solo gli alcolici essenziali per i classici. Così possiamo accontentare tutti senza compromettere la nostra identità.

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