Confimi Alimentare: pmi industria alimentare subiscono la crisi del settore Horeca
Conducendo un'analisi presso i propri associati, Confimi ha rilevato che le pmi alimentari hanno subito forti contrazioni a causa del blocco del canale Horeca
Confimi Industria Alimentare ha condotto un'indagine intervistando i propri associati e chiedendo loro di tirare le somme dell’anno appena trascorso. Ciò che emerge è che le piccole e le medie imprese del made in Italy hanno subito la crisi dell’Horeca, abituate a portare le loro eccellenze sulle tavole di ristoranti, bistrot, bar, pizzerie – in Italia e nel Mondo -, ora devono fare i conti con il blocco del settore che ha ridotto drasticamente i volumi.
Il 54% delle aziende, infatti, ha chiuso il 2020 con una forte riduzione dei fatturati. Giù anche la produzione, contratta di oltre il 20% per 1 pmi su 2.
Complice il blocco “ristorazione” quasi in tutta Europa, le aziende alimentari che servono principalmente il canale horeca, hanno perso in 7 casi su 10 tra il 20% e il 50% degli ordini.
Diversa, e più rosea, la situazione per le pmi del settore che lavorano con la distribuzione moderna.
Canale distributivo differente, diverse performance anche per quel che riguarda il mercato interno: un terzo delle imprese ha mantenuto stabile il numero degli ordinativi, un terzo ha registrato una leggera flessione e un ultimo terzo ha chiuso l’anno con un leggero incremento delle commesse.
Nonostante la perdita di ordini e fatturato – pur con le dovute differenze di distribuzione - il 64% del campione ha mantenuto stabile l'occupazione. Solo un'azienda su quattro si è vista costretta a dover lasciare a casa qualche dipendente.
Un campione d’indagine è invece composto da piccole realtà industriali ma che rappresentano il Made in Italy a tavola non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo. Si tratta di aziende – fa presente il Centro Studi della Confederazione - che nel 75% dei casi sono a conduzione familiare, fatturano in media fino a 10 milioni di euro, con picchi (circa il 10%) di aziende che raggiungono i 50 milioni di euro, e hanno un numero di dipendenti mediamente compreso tra i 15 e i 30 collaboratori. La loro forza? L’export: la maggior parte esportano almeno ¼ della loro produzione ma ce n’è una buona fetta che vende all’estero anche il 75% della propria produzione. Europa, Nord America e Cina i mercati di principale interesse.
E nel chiedere alle pmi dell’alimentare italiano cosa si aspettano dal domani, non si ottengono previsioni incoraggianti: viste le restrizioni protratte al momento fino ai primi di marzo, il 40% delle aziende vede una contrazione del fatturato anche per i primi mesi del 2021.
Positiva 1 pmi su 5: per il 20% del campione il primo semestre di questo nuovo anno porterà un segno più.
Su ordinati e produzione, il campione si spacca seguendo le logiche del mercato duale, GDO e Horeca: stabili per il 43% degli imprenditori, in crescita per un minoritario 20% e in decisa flessione per il restante 37%. Anche oltralpe non sembrano esserci buone nuove: 4 aziende su 10 vedono in contrazione anche gli ordini dall'estero.
Stabile – ma è un buon segnale – l’occupazione: 8 imprese su 10 manterranno saldo il proprio organico. Incerto invece il restante 20% che attende la fine del blocco dei licenziamenti, e quindi la fine di marzo, per valutare se rinunciare o meno a qualche addetto. Ma c’è di più: il 32% degli imprenditori intervistati prevede nuove assunzioni nel primo semestre del 2021.
Permane la difficoltà di reperire figure professionali qualificate, problema riscontrato in 7 aziende su 10. Proprio per questo motivo l’alimentare è, tra i settori del manifatturiero, l’unico a credere fortemente nella formazione continua del proprio personale. Formazione considerata come valore aggiunto dalla quasi totalità del campione.
Relativamente agli ammortizzatori sociali solo 4 aziende su 10 continueranno ad utilizzarli anche nei primi mesi del 2021.
In uso ancora anche lo smart working per circa 1 pmi su 5. Ma il lavoro agile non sembra convincere il settore: solo il 5% degli intervistati crede che lo smart working rimarrà in uso presso la propria azienda anche a pandemia finita.
Rimarranno in azienda invece tutti quei meccanismi intrapresi nel corso del 2020: 6 aziende su 10 infatti manterranno i modelli organizzativi introdotti e le innovazioni di marketing relativamente alla commercializzazione dei prodotti, all'immagine del brand e al packaging.
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