Dazi Stati Uniti sul vino: le previsioni e riflessioni di Wine Monitor
Fino ad ora la “mannaia” delle gabelle americane ha risparmiato i vini. Nomisma Wine Monitor fa il punto nel caso gli scenari dovessero cambiare
Si è conclusa l’ennesima consultazione pubblica indetta dall’USTR (United States Trade Rapresentative) per il nuovo “giro di giostra” che dovrebbe indicare i prodotti soggetti a dazi aggiuntivi – a partire dal prossimo 12 agosto - da parte dell’amministrazione degli Stati Uniti nell’ambito dell’ormai tristemente noto “contenzioso Boeing-Airbus”.
Fino ad ora la “mannaia” delle gabelle americane ha colpito l’Italia principalmente sul fronte dei formaggi e degli spirits, risparmiando – al contrario di tutti gli altri produttori europei – i vini, ma il rischio di un loro coinvolgimento è sempre più forte.
Per capire gli impatti negativi di un inasprimento nei dazi all’import è utile analizzare quello che è successo nelle esportazioni di vini fermi francesi sul mercato americano a partire dalla fine dello scorso anno. Considerando l’export di tali vini nel periodo novembre 2019 – marzo 2020 (vale a dire dal primo mese di applicazione piena del dazio aggiuntivo all’ultimo pre-Covid – e quindi non influenzato dagli effetti economici della pandemia) e confrontandolo con lo stesso intervallo di tempo dell’anno precedente, si evince un calo del 24% a valori e del 14% a volumi. Per dare un termine di paragone, si pensi che nello stesso periodo di tempo, le importazioni a volume negli Stati Uniti della stessa categoria di vini sono diminuite per meno del 2%, restando praticamente stazionarie per quanto riguarda l’Italia (-0,4%) e addirittura in crescita in merito alla Nuova Zelanda (+8%).
“Un eventuale dazio sulle esportazioni di vini fermi italiani andrebbe a colpire soprattutto quelli di fascia alta, già fortemente penalizzati dalla chiusura dell’Horeca in gran parte degli USA, il principale canale di vendita dei nostri fine wines ”, dichiara Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor.
In effetti, il calo subito dalle esportazioni francesi non ha avuto eguali, ad esempio nei vini spagnoli (anch’essi penalizzati dal dazio di ottobre 2019 ma contraddistinti da un posizionamento di prezzo medio notevolmente più basso): nello stesso periodo di tempo, la riduzione dell’export di vini fermi dalla Spagna negli USA si è limitata ad un -3%.
“Un’ulteriore dimostrazione del fatto che gli eventuali dazi aggiuntivi andrebbero a colpire soprattutto i nostri fine wines la si desume dal crollo nell’export dei vini rossi Dop della Borgogna che nel medesimo periodo di tempo analizzato è stato del 34%. E tali vini presentano un prezzo all’export superiore del 210% a quello medio dell’intera categoria di vini fermi francesi esportati negli USA” ha aggiunto Pantini.
Il danno inferto dai dazi all’export di vini fermi francesi è stato quindi doppiamente rilevante: se da un lato ha ridotto le quantità esportate, dall’altro ha costretto i produttori transalpini ad una rimodulazione verso il basso – in termini di prezzo - dell’offerta di vendita, nel tentativo di preservare la quota di mercato. Basti infatti pensare che il prezzo medio all’export dei vini fermi francesi negli Stati Uniti è crollato dai massimi di maggio 2019 quando superava i 9,4 euro/litro ai 6 euro di marzo 2020, con un calo di oltre il 36%.
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