Gennaro Pucci (Qura Bar): ''Fare esperienza all’estero oggi? Hong Kong meglio di Londra''
Nicole Cavazzuti da Hong Kong intervista Gennaro Pucci, bar manager del prestigioso Qura Bar, per scoprire la sua visione della mixology
BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - Calabrese, trent’anni, Gennaro Pucci è bar manager del Qura Bar, restaurant cocktail bar all’interno del Regent, il più prestigioso hotel di Hong Kong. Giunto due anni fa nella città cinese a statuto speciale, dopo un decennio di esperienze a Londra, in questa intervista per Horecanews – a margine di un evento collaterale alla finale dei World’s 50 Best Bars con Giancarlo Mancino e Salvatore Calabrese – racconta quali sono le difficoltà e le opportunità offerte da Hong Kong per un italiano che voglia farsi strada nel mondo dell’ospitalità. E non ha dubbi: “Oggi è meglio qui che a Londra”.
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L’intervista a Gennaro Pucci
Partiamo dal “tuo” Qura Bar: come è organizzata la drink list?
Cambia in base alla stagione. Ci sono i nostri tre signature che rimangono fissi, ai quali si affiancano sei cocktail seasonal che vengono rinnovati ogni 3-4 mesi.
Quali sono i drink più richiesti dalla clientela internazionale?
I signature: Framed Emotion, Chromatic Cascade – un mezcal Sour con Pinot nero, frutto della passione e latte fermentato – e Kismet, un tequila highball, twist del Paloma con aromi di ananas e edamame beans (baccello di soia acerbo, tipico della cucina orientale, ndr). Naturalmente prepariamo anche i classici, dal Negroni all’Old Fashioned, ma sono meno richiesti: di Last Word, il mio preferito, ne serviamo sì e no una decina al mese.
E il menù food?
Attualmente è basato sul concept della Riviera – Riviera francese, italiana, mediterranea –, al centro anche della lista vini, in cui proponiamo tra le altre etichette provenienti da Israele, Marocco o Grecia. Peraltro lo chef si ispira in maniera particolare all’Italia, fra spaghetti, ravioli, fritto misto…

Viene anch’esso rinnovato con cadenza regolare?
Il concept cambia annualmente e ogni 3-4 mesi lo chef apporta un restyling, sostituendo alcuni piatti in base alla stagionalità.
I piatti preferiti dalla clientela?
Sono molto richiesti il polpo alla griglia, gli spaghetti al gambero rosso e il Black Angus M5, bistecca di carne australiana
Quali sono gli orari in cui è possibile mangiare?
La cucina e il bar aprono alle 5:30, i piatti caldi vengono preparati fino alle 22:30 (le 23:30 da venerdì a domenica), dopodiché c’è ancora un’ora in cui possono essere ordinati i drink.
In generale, che cosa cerca la clientela a Hong Kong? Quali sono gli elementi su cui puntare per fidelizzare i frequentatori locali?
Come a Londra o negli Stati Uniti, conta innanzi tutto il consumer quality service. Peraltro negli ultimi anni la frequentazione dei locali è cambiata: stando a quanto raccontano quanti lavorano qui da molto tempo: ci sono meno expat, gli americani sono quasi scomparsi e anche chi è ancora qui, non beve più come una volta, c’è più attenzione al rapporto qualità-prezzo. E sono state introdotte nuove accise sugli alcolici che hanno aumentato i prezzi limitando la varietà di prodotti disponibili.
Anche di quelli italiani?
I brand italiani sono sempre molto apprezzati: prodotti come il maraschino Luxardo, Mancino vermouth, Amaro Del Capo o Jefferson sono ben presenti a Hong Kong, anche se magari non li trovi in tutti i locali.

Quali sono le difficoltà che deve affrontare un italiano che volesse lavorare nell’ospitalità a Hong Kong?
L’unico vero svantaggio è la lontananza da casa. In ogni caso è consigliabile avere già una posizione manageriale, perché a Hong Kong gli affitti costano cari. Ma è una città che offre molto, se vuoi fare carriera in questo settore, qui l’industry dell’ospitalità è molto connessa in cui c’è grande rispetto fra chi vi lavora. Certo, c’è anche molta competizione, più ancora che a Londra, perché in fin dei conti è una città piccola.
Quali sono le differenze culturali più evidenti?
Il cibo, senza dubbio. Inoltre i rapporti umani sono più freddi rispetto a come li intendiamo noi mediterranei. Però c’è molto rispetto per gli stranieri e la città è sicura anche di notte. È anche evidente l’influenza inglese: l’Hong Kong Milk Tea, ovvero l’English Breakfast con un po’ di latte, la guida a sinistra, il sistema della metropolitana
C’è un supporto reciproco, all’interno della comunità italiana?
Certo, io stesso sono arrivato a lavorare qui grazie a Giancarlo Mancino, che ho conosciuto quando lavoravo al Goring Hotel a Londra, bartender e imprenditore di grande fama che da molti anni opera a Hong Kong.
Quante ore lavori, in una settimana?
Dalle 8 alle 12 ore al giorno, cinque giorni a settimana. Il lavoro di notte non ha orari fissi.
Come sono gli stipendi?
Prendendo ancora Londra come paragone, qui sono molto più elevati. E le spese, affitto a parte, sono forse più contenute. Quindi ci sono maggiori possibilità di poter mettere da parte dei soldi.
E quanto paghi di affitto?
Il corrispondente di 1.600 euro al mese per circa 70 metri quadri, a 10 minuti da dove lavoro.
La lingua non è un problema, se non si conosce il mandarino?
Hong Kong oggi è Cina ma è un’ex colonia e protettorato britannico: quasi tutti parlano inglese, soprattutto nell’ospitalità.

Se il Last Word è il tuo cocktail preferito, qual è quello che proprio non riesci a bere?
Il Mary Pickford.
Il distillato del cuore.
Tequila
E quello che ti piace di meno?
Vodka, ma in generale ho un pessimo rapporto con i distillati bianchi e secchi. Non a caso, nella famiglia dei Martini, apprezzo solo il Dirty Martini.
Non sembri un grande bevitore…
Mi piace bere, ma senza eccedere, lavorando fra gli alcolici tutti i giorni…
La tecnica di miscelazione che prediligi?
Lo stirring, per nulla scenica ma molto elegante.
Un libro fondamentale che consiglieresti a chiunque faccia questo mestiere.
Ne ho letti tanti e ne leggo tuttora, anche se non ho molto tempo per farlo. Se devo indicarne uno, direi “The Botanical Garden” di Roger Phillips e Martyn Rix.
Quali sono stati i passaggi fondamentali per la tua formazione?
Prima di approdare nel bar d’hotel al Goring, ho lavorato per tre anni allo Sky Pod Bar del ristorante Sky Garden, un posto da grandi volumi dove ho imparato a lavorare in velocità
Se dovessi citare i bartender italiani che consideri punti di riferimento?
A parte nomi storici come Salvatore Calabrese e Alessandro Palazzi, direi Giancarlo Mancino e Simone Caporale per l’autorevolezza conquistata su scala internazionale, non solo a livello di mixology ma anche di brand identity. Ma anche Luca Cinalli e Agostino Perrone, quest’ultimo fra i più forti in assoluto sul piano dell’ospitalità.
Obiettivi per il futuro?
Mi piace lavorare nell’hotellerie, tanto nel food quanto nel beverage: ho iniziato come cameriere e non mi dispiacerebbe in futuro diventare food and beverage manager in una grande struttura.
Dove?
Da quanto vedo oggi, Honk Kong è fra i luoghi che offrono di più in fatto di life balance. Ma non escluderei di tornare in Italia, per ritrovare stile di vita e abitudini del mio Paese.
Londra?
È la città dove più mi piacerebbe vivere, dopo l’Italia, ci sono arrivato a 17 anni e lì sono cresciuto, ho imparato molto. Purtroppo però non è più quella di un tempo, il mercato non offre le stesse opportunità di allora.
Sognando a occhi aperti, non immagini di tornare un giorno in Calabria e investire in una tua attività?
Di certo non a breve: 12 anni fa partii per Londra dicendo ai miei che andavo a imparare l’inglese per qualche mese e sono ancora lì che mi aspettano… Però, in prospettiva, perché no? Magari aprirei un birrificio: ho un diploma in brewing, a Londra ho fatto esperienza anche in una brewery e mi piace molto fare la birra. Quindi, se devo sognare…
Sei fidanzato?
No. Nei dieci anni che ho trascorso a Londra sono stato due anni con un’italiana e cinque con una francese, ma è davvero difficile coltivare una relazione stabile facendo questo mestiere. Non a caso, vedo tanti colleghi più anziani di me che si separano.
Hai qualche rimpianto per avere sacrificato la vita sentimentale per il lavoro?
Al momento no. In futuro vedremo. D’altra parte si dice “moglie e buoi dei paesi tuoi”, no?
Amicizie?
Qui come a Londra, gli amici te li fai per lo più nell’ambito di lavoro e anche quando esci, lo fai soprattutto con i colleghi del bar. Italiani, ma anche qualche local.
A proposito, tre bar dove bere bene a Hong Kong, a parte il Qura?
Sugar King, Mizunara: The Library e naturalmente il Bar Leone del mio amico Lorenzo Antinori.







